Scheda film
Titolo originale: Persian lessons
Regia: Vadim Perelman
Soggetto: dal romanzo di Wolfgang Kohlhaase
Sceneggiatura: Ilja Zofin
Fotografia: Vladislav Opelyants
Montaggio: Vessela Martschewski
Musiche: Evgueni Galperine e Sacha Galperine
Russia/Germania/Bielorussia, 2020 – Drammatico – Durata: 127′
Cast: Nahuel Pérez Biscayart, Lars Eidinger, Jonas Nay, David Schütter, Alexander Beyer, Andreas Hofer, Leonie Benesch
Uscita: 14 gennaio 2021
Distribuzione: Academy Two
Finché c’è Iran c’è speranza
Durante la seconda guerra mondiale, Gilles (Nahuel Pérez Biscayart), un giovane ebreo, si finge di origini iraniane per salvarsi la pelle. Un gerarca nazista del campo di prigionia dove è finito, Klaus Koch (Lars Eidinger), cerca infatti qualcuno che gli insegni il farsi, poiché, a guerra finita, vorrebbe raggiungere il fratello, dissidente, che si è rifugiato a Teheran. Il poveretto, che si farà chiamare Reza Joon, inizia ogni giorno ad inventare parole, ispirandosi ai nomi dei prigionieri che si troverà ad annotare, come suo compito, sui registri. Ma non sarà facile tenere in piedi il gioco fino alla fine…
Lezioni di persiano comincia dal finale, con il protagonista che percorre a piedi, in fuga, un sentiero nel bosco. I suoi occhi hanno visto tanto, troppo e fuori campo si odono le voci di chi lo starà interrogando sui misfatti di una guerra appena conclusa. Quindi sappiamo subito che, in linea di massima, dovrebbe avercela fatta.
Un po’ come il Guido de La vita è bella di Roberto Benigni, cui questo film è almeno in piccola parte debitore, anche Reza/Gilles inventa uno stratagemma linguistico per salvarsi la pelle e, come la Sharazade de “Le mille e una notte”, trova ispirazione nel racconto e in particolare nella parole. Quell’insieme di bizzarri fonemi, rubati ai nomi dei suoi compagni di sventura, che alla fine gli permetteranno anche di onorarne la memoria.
Vadim Perelman costruisce un racconto dall’incedere lento e maestoso, anche se sempre avvincente, con diversi colpi di scena che riescono a tenere alta l’attenzione dello spettatore. Non c’è spettacolarizzazione, mai, la morte non è mai in primo piano, ma in campi più o meno lunghi, però l’orrore della guerra e di quello che è stato l’olocausto arriva diretto agli occhi e al cuore di chi guarda.
Non manca il giudizio da parte del regista sui vari personaggi, perché non tutti si salveranno, anche quelli che avevano mostrato qualche minimo barlume di umanità. Perché anche la guerra non ha pietà per nessuno.
E la vicenda del piccolo grande uomo Gilles, col volto straordinario e curioso di Nahuel Pérez Biscayart, che inventa solo un innocente espediente per continuare a percorrere la sua strada su questo mondo, rimane indimenticabile. E quando nel finale inizierà incredibilmente a ricordare davanti agli alleati gli appellativi di circa 2800 persone passate per il campo e capiremo forse quale fosse l’altro risvolto di quelle “lezioni di persiano”, il suo monologo fatto di nomi e cognomi risuonerà come una preghiera necessaria e dovuta, tra il silenzio attonito di tutti gli astanti.
Curiosità: il film è stato proposto a rappresentare la Bielorussia come miglior film straniero agli Oscar 2021, ma è stato squalificato dall’Academy perché la maggior parte di staff e crew non era bielorusso.
Voto: 8
Paolo Dallimonti