Scheda film
(Tr. lett.: Nascondino)
Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Huh Jung
Montaggio: Kim Sang-bum e Kim Jae-bum
Fotografia: Kim Il-yeon
Scenografia: Chun Soo-a
Costumi: Yoon Mi-ra
Musiche: Kim Suk-won
Corea del Sud, 2013 – Thriller – Durata_ 107′
Cast: Son Hyun-joo, Chun Mi-sun, Moon Jung-hee, Jung Joon-won, Kim Soo-ahn, Kim Ji-young, Lee Joon-hyuk
Uscita nel paese d’origine: 14 agosto 2013
«Baek Sung-soo, proprietario di un Cafè con qualche pretesa, abita con la famiglia in un lussuoso appartamento di Seoul. Venuto a conoscenza della scomparsa del fratello Sung-chul, la pecora nera della famiglia, si reca in periferia per ispezionarne l’appartamento. Qui Sung-soo non trova tracce del fratello, ma fa la conoscenza di Joo-hee e di sua figlia Pyung-hwa, che gli riportano la voce secondo la quale alcuni appartamenti del condominio, in attesa di demolizione, sono occupati abusivamente dagli “squatters”. Prima di tornare a Seoul, Sung-soo nota dei graffiti incisi sul muro in corrispondenza dei campanelli, gli stessi segni che troverà alcuni giorni dopo presso la porta della propria abitazione.
Il filone della “home invasion”, riportato in auge da Ils (2006) di Moreau e Palud, è ormai diventato un vero e proprio sottogenere del thriller. Da The Strangers (2008) a Cherry Tree Lane (2010) fino ai recenti You’re Next (2013) e, in chiave distopica, The Purge (2013), proliferano le famigliole sotto assedio, minacciate da un mondo esterno caotico e pericoloso. Il genere ha prodotto anche varianti più brillanti e articolate, dai due Funny Games di Haneke a El habitante incierto di Guillem Morales (2005), da Mientras duermes (2011) di Balaguerò allo struggente Home Sweet Home (2005) di Soi Cheang, fino al nerissimo Dream Home (2010) di Pang Ho-cheung. Il filone sfrutta ingegnosamente paure che sono allo stesso tempo primordiali e legate alla contemporaneità. Il terrore della violazione della privacy, l’ansia della perdita dei beni materiali, il dissolvimento del nucleo familiare sotto gli urti di forze al di là del nostro controllo, si coniugano alla perfezione con l’ampliarsi del divario economico tra le fasce deboli e la classe media.
Huh Jung, regista e sceneggiatore esordiente, manipola con competenza tematiche già abbondantemente sfruttate, dimostrandosi efficacissimo nella millimetrica costruzione della suspense. In Hide and Seek, a giocare a “nascondino” con una famiglia coreana appena rientrata in patria dagli Stati Uniti, è una figura misteriosa che intende appropriarsi della loro casa e, forse, anche della loro vita. Secondo una leggenda metropolitana, infatti, molti “squatters” abitano nelle case altrui, senza che gli stessi inquilini ne siano consapevoli.
Jung costruisce il film su una dicotomia elementare ma efficace. Da una parte abbiamo Seoul come sfavillante epitome della modernità, dall’altra una Corea rurale infestata di tuguri fatiscenti e dilapidati, che stringono d’assedio la capitale come un esercito nemico. Le abitazioni di Seoul sono pulite, splendenti, nette come ospedali, mentre i degradati condomini della periferia sono ammassi di lerciume, spazzatura, focolai di infezione fisica e morale. Da un lato troviamo una folla minacciosa e indistinta di senzatetto, barboni, pazzi e disadatti, dall’altro la vita tranquillizzante e anestetizzata della media borghesia. Inutile aggiungere quanto tale contrapposizione possa essere reazionaria, anche perché l’interrogativo che ne consegue può essere soltanto uno: quanto ci vorrà perché questa massa di psicopatici potenziali decida di prendersi con la forza quei simboli del benessere che gli sono negati? La risposta finisce per tramutare la topografia urbana in un campo di battaglia. I rassicuranti complessi residenziali di Seoul, i parcheggi sotterranei, gli ascensori e i parchi-giochi si trasformano in trincee, dove si combatte all’ultimo sangue per il possesso di automobili, case, cellulari e cappotti “fashion”, per la salvaguardia dello stile di vita borghese contro i nuovi barbari che premono dal basso.
Sung-soo soffre di un disturbo di carattere ossessivo-compulsivo, e sterilizza nevroticamente tutte le superfici con cui viene a contatto. Ossessionato dalla sporcizia e dalla contaminazione, terrorizzato dai barboni che intravede per strada, Sung-soo nasconde però un segreto, un’antica colpa da cui non riesce a mondarsi, un’ingiustizia commessa che non gli dà pace. Quanto di quello che Sung-soo vede è reale, e quanto è invece dettato dal suo senso di colpa? Huh Jung cambia le regole dell’”home invasion” assegnando un peso specifico maggiore allo psicodramma personale del protagonista, utile anche a disseminare falsi indizi che possano depistare lo spettatore prima dell’obbligatorio twist finale. E se il regista, che abbonda in plongèe, grandangoli e inquadrature oblique, dimostra di conoscere alla perfezione la grammatica del thriller, non si può dire che abbia lo stesso talento in veste di sceneggiatore. Nella parte conclusiva, Hide and Seek si abbandona a un convulso parossismo che ha il sapore della farsa involontaria più che della tragedia, e l’impalcatura hitchockiana crolla fragorosamente, lasciando spazio a una deriva slapstick che è arduo prendere sul serio.
Presentato al Florence Korea Film Fest, il film ha avuto un buon successo di pubblico raggiungendo la settima posizione tra gli incassi del 2013, mentre Huh Jung è stato premiato come Miglior Regista Esordiente dall’Associazione dei critici coreani, i quali si saranno sentiti in dovere di chiudere un occhio sulle eventuali ingenuità di scrittura.
Voto: 6
Nicola Picchi