Scheda film
Regia: Pawel Pawlikowski
Soggetto e Sceneggiatura: Pawel Pawlikowski e Rebecca Lenkiewicz
Fotografia: Ryszard Lenczewski e Lukasz Zal
Montaggio: Jaroslaw Kaminski
Scenografie: Marcel Slawinski e Katarzyna Sobanska-Strzalkowska
Costumi: Ola Staszko e Agata Winska
Musiche: Kristian Eidnes Andersen
Suono: Miroslaw Makowski
Polonia/Danimarca, 2013 – Drammatico – Durata: 80′
Cast: Agata Kulesza, Agata Trzebuchowska, Joanna Kulig,
Uscita: 13 marzo 2014
Distribuzione: Parthenos
Storia di una nazione
Polonia, 1962. Anna è una giovane orfana cresciuta tra le mura del convento dove sta per farsi suora: poco prima di prendere i voti apprende di avere una parente ancora in vita, Wanda, la sorella di sua madre. L’incontro tra le due donne segna l’inizio di un viaggio alla scoperta l’una dell’altra, ma anche dei segreti del loro passato.
Questo lavoro, scritto e diretto dal regista Pawel Pawlikowski (My Summer Of Love, Last Resort), parte da subito con un preciso intento di testimonianza spirituale di una nazione: durante tutto il suo svolgimento infatti le vite delle due protagoniste risultano assolutamente funzionali al racconto degli anni più difficili che la Polonia ha dovuto affrontare, ossia quelli della Seconda Guerra Mondiale e successivamente della Guerra Fredda, durante i quali lo stato dell’Est Europa si vedeva assoggettato all’egemonia russa. L’impressione che si ha da subito è quella di un dipinto di una nazione stanca e rassegnata ad un’esistenza contrassegnata dalla sofferenza e dal rimpianto, e ad evidenziare questa traccia lasciata dal regista in tutto il film, sono le interpretazioni degli attori, volutamente sottotono e fatte di sguardi opachi che si perdono nel vuoto , e una notevolissima fotografia in bianco e nero che sfiora la perfezione estetica, con delle inquadrature che creano degli spazzi vuoti di fianco ai protagonisti, per creare quell’effetto di solitudine ed isolamento che tutto il film ci racconta, trasformando spesso le persone quasi in statue di marmo bianco, bellissime, ma immobilizzate dal loro passato.
Ma l’aspetto che è forse il più ammirevole di tutto il lungometraggio, è la gestione del dolore che Pawlikowski mette in atto, grazie ad una sapiente direzione degli attori, dell’uso della macchina da presa e dell’assenza quasi totale di una colonna sonora. Andare incontro a facili pietismi era un rischio assai alto, raccontando una storia così pregna di eventi tragici, ma la gestione dei dialoghi e delle inquadrature (che non si soffermano mai a lungo su situazioni che potrebbero creare commozione, ma preferiscono spostarsi sugli sguardi vuoti dei protagonisti) riesce ad evitare accuratamente questo tipo di messa in scena, rendendo sottotono anche il dolore stesso.
Sembra quasi che per i pianti, per le risate e per qualsiasi forma di emozioni, non ci sia più spazio nella Polonia degli anni 60. Troppe vite strappate, troppe famiglie divise, troppe fedi smentite, ora resta solo il vuoto e la domanda se un’esistenza così valga la pena di essere vissuta.
Voto: 7 e ½
Mario Blaconà