Scheda film

Regia: Scott Waugh
Soggetto e sceneggiatura: George & John Gatins
Fotografia: Shane Hurlbut
Montaggio: Paul Rubell e Scott Waugh
Scenografia: Jon Hutman
Costumi: Ellen Mirojnick
Musiche: Nathan Furst
Usa, 2014 – Azione – Durata: 124’
Cast: Aaron Paul, Dominic Cooper, Imogen Poots, Michael Keaton
Uscita: 13 marzo 2014
Distribuzione: 01 Distribution

 Chi si ferma è perduto

Pit stop nelle sale nostrane in contemporanea con quelle a stelle e strisce il 13 marzo per Need for Speed, adattamento cinematografico dell’omonimo videogame di corse automobilistiche griffato Electronic Arts. Pietra miliare per gli appassionati del genere, lanciata sul mercato nel 1994 ottenendo numeri da capogiro a livello planetario (la serie è stata pubblicata in 22 lingue in 60 nazioni, vendendo oltre 150 milioni di unità per un fatturato di oltre 4 miliardi di dollari), a distanza di vent’anni quello che è considerato dagli addetti ai lavori uno dei videogiochi più acclamati della storia diventa un film.
A dirigerlo troviamo Scott Waugh, qui alla sua seconda esperienza dietro la macchina da presa dopo il barcollante war movie dal fastidioso retrogusto patriottico Act of Valor (2012), che sempre per la Electronic Arts ha firmato le campagne pubblicitarie di videogame di grande successo come “Battlefield 3” e “Medal of Honor”. Ed è proprio a questi due linguaggi, ossia il videogioco e lo spot, ai rispettivi stili mescolati senza soluzione di continuità con la frenesia e la ritmica tipici del videoclip musicale, che il regista americano, figlio dell’attore Fred Waugh che per primo interpretò il personaggio di Spiderman, si rifà per portare sul grande schermo uno dei titoli di punta dell’universo video-ludico.
Sul versante drammaturgico non si va oltre il classico menù che certe tipologie di progetto sono solite consegnare agli occhi e alle orecchie degli spettatori di turno. Un menù, la cui specialità della casa non può che essere la solita “maionese impazzita” di pixel e cinetica, dove la scrittura e il racconto devono giocoforza lasciare spazio alla componente visiva e allo spettacolo a buon mercato. Di conseguenza, anche nel caso di Need for Speed ci si trova al cospetto di un baricentro che ruota intorno al solito mix di piloti spericolati, donne mozzafiato, automobili velocissime, motori truccati, carrozzerie scintillanti, km di asfalto, corse pirotecniche, incidenti spettacolari e inseguimenti al cardiopalma, che alimenta per quello che può uno script narrativamente parlando già ridotto all’osso, pieno zeppo di snodi prevedibili, situazioni al limite dell’assurdo e personaggi appena delineati. Una serie di ingredienti che la Settima Arte e alcuni suoi esponenti hanno già propinato alle platee negli ultimi decenni: dalla saga di Fast and Furious al nostro Velocità massima, dall’orientale Initial D a The Transporter, da The Italian Job a Fuori in 60 secondi, passando per quei capolavori che rispondono ai titoli di Drive e Driver. Il risultato è una persistente sensazione di dejà-vu che caratterizza l’intera fruizione.
La sceneggiatura dei fratelli Gatins non è altro che un tappeto sul quale raccogliere le briciole di un plot che ha pochissimo da dire e molto da mostrare, dove l’aggettivo adrenalinico diventa di fatto l’elemento ricorrente al quale aggrapparsi per dare un senso ai singhiozzanti 124 minuti di trasposizione. Fragilità e povertà drammaturgiche che possono essere in parte giustificate dall’inesistenza di una trama vera e propria nella matrice originale, che ha costretto i sceneggiatori a inventare da zero una storia e i suoi personaggi, potendo contare solo su pochissime informazioni e su un immaginario video-ludico fatto di bolidi, ambientazioni esotiche e tracciati di gara da brivido. Ma se da una parte tale assenza, che resta comunque paradossale dato che ci si trova a fare i conti con quello che dovrebbe essere sulla carta un adattamento di qualcosa di pre-esistente e non di una libera trasposizione (a giudicare da quanto dichiarato dai produttori), la si può giustificare, dall’altra la stessa finisce inevitabilmente per mettere in evidenza la carenza di originalità nella scrittura da parte degli autori. Gap che quest’ultimi tentano disperatamente di ridurre rievocando e celebrando atmosfere di fine anni Sessanta e primi anni Settanta, che hanno fatto da cornice a pellicole cult appartenenti al ricchissimo filone del cinema su quattro ruote e alle quale si strizza continuamente e invano l’occhio: da Bullitt a Il braccio violento della legge, da Punto zero a Grand Prix, da Duel al già citato Driver.
Ne viene fuori il racconto di Tobey Marshall, un onesto meccanico che gestisce l’officina di famiglia e partecipa alle corse clandestine con gli amici di sempre, la cui esistenza va in mille pezzi quando viene incastrato per un crimine mai commesso che lo porta diritto in prigione. Scarcerato dopo due anni ha solo una cosa in mente, ossia la vendetta nei confronti di colui che lo ha privato della libertà e di un affetto. Marshall, interpretato dal divo di Breaking Bad Aaron Paul, è l’anti-eroe per antonomasia che non esce mai dal recinto psicologico e caratteriale dove è stato imbrigliato, così come i personaggi che lo sostengono e lo ostacolano nel suo percorso di vendetta. Vestito come lo Steve McQueen di annata finisce con l’esserne la fotocopia sbiadita e sfocata, in un palese tentativo di scimmiottare un Mito scolpito nell’immaginario comune. Il dolore lo rende più agguerrito e vendicativo, ma è un riflesso animale non il punto di partenza di un’evoluzione della sua one line. Diventa così la pedina da muovere in una storia che cuce senza particolari pretese il drag racing e il revenge movie, destinata a concedere pochi lampi, legati soprattutto alla messa in quadro come l’inseguimento con la polizia tra le strade di Detroit, la De Leon e la corsa a tre con i potentissimi prototipi europei. Waugh, infatti, dimostra di conoscere il potenziale dell’hardware girando un action in old style, puntando su veri stunt e bandendo l’uso del green screen. Ne guadagna la messa in scena, che si fa altamente coinvolgente (il 3D avrebbe dato qualcosa in più) con sequenze di ottima fattura che portano il pubblico dentro l’abitacolo delle automobili al fianco e persino al posto del pilota di turno con divertentissime soggettive che replicano la modalità di gioco in prima persona. Un potenziale purtroppo vanificato. 

Voto: 6 e ½

Francesco Del Grosso