Scheda film
Regia: Jean-Marc Vallée
Soggetto e Sceneggiatura: Craig Borten e Melisa Wallack
Fotografia: Yves Bélanger
Montaggio: Martin Pensa, Jean-Marc Vallée
Scenografia: John Paino
Costumi: Kurt and Bart
Musiche: Danny Elfman
USA, 2013 – Drammatico – Durata: 117′
Cast: Matthew McConaughey, Jared Leto, Jennifer Garner, Griffin Dunne, Steve Zahn, Denis O’Hare, Dallas Roberts
Uscita: 30 gennaio 2014
Distribuzione: Good Films
Nel 1985 Ron Woodroof, elettricista con la passione del bull-riding, scopre di essere stato contagiato dal virus dell’HIV e di avere solo trenta giorni di vita. Mentre al Dallas Mercy Hospital si sperimentano le prime cure con l’AZT, Ron si mette alla ricerca di terapie alternative, scontrandosi con la burocrazia della Food and Drug Administration e con l’ostilità delle case farmaceutiche.
Affrontare con metodi inusuali un tema che si dimostra sin dall’inizio convenzionale nella sostanza, sembra essere l’obiettivo del franco-canadese Jean-Marc Vallée in Dallas Buyers Club, ispirato alla vera storia di Ron Woodroof. Se la sceneggiatura di Craig Borten e Melisa Wallack si appoggia su un topos cinematografico radicato, che solitamente si traduce in un peana all’individualismo americano, ovvero la lotta del singolo contro lo strapotere delle multinazionali e/o delle istituzioni, lo stile sporco e naturalistico del regista ci riporta al miglior cinema “politico” degli anni ’70, quello di Hal Ashby o di Sidney Pollack.
Nei primi anni ’80, con la tragica fine di Rock Hudson sulle prime pagine di tutti i giornali, l’AIDS era ancora considerata la “malattia dei gay”, tanto che alcuni predicatori americani affetti da turbe mentali la definirono un castigo divino per punire il “peccato” dell’omosessualità. Ron Woodroof, “redneck” omofobo incline al sesso promiscuo e all’uso di alcol e droghe, sperimenterà sulla propria pelle quegli stessi pregiudizi, quando si ritroverà ostracizzato dai suoi compagni di lavoro e di bevute. Dopo aver verificato in prima persona gli effetti tossici dell’AZT, un farmaco in fase sperimentale, Ron prenderà la via del Messico dove, sotto la guida del dottor Vass, inizierà a curarsi con farmaci a base di vitamine e integratori naturali. Il suo traffico di medicine “non autorizzate” attraverso la frontiera attirerà però l’attenzione delle autorità. Ron e il suo amico Rayon, un transessuale eroinomane sieropositivo, metteranno allora in piedi il “Dallas Buyers Club”, un’associazione che garantisce cure gratuite ai suoi tesserati, a fronte del pagamento di una quota d’ingresso. Nel frattempo il combattivo Woodroof aprirà un contenzioso con la FDA, scontrandosi con i medici del Dallas Mercy, inclini ad assecondare le mire economiche delle case farmaceutiche.
E qui scatta un meccanismo ben collaudato che solleva un tema ancora attuale, ovvero il diritto del singolo, soprattutto se affetto da una malattia terminale, di decidere come meglio curarsi, in barba alle occhiute regolamentazioni dello Stato “etico”. Ben saldi sulle spalle di un filone consolidato e ai limiti dello stereotipo, i diritti inalienabili dell’individuo e la sua lotta contro le istituzioni per vederli riconosciuti, Borten e Wallack non rifuggono dal ricorrere a un secondo luogo comune: la crescita interiore del protagonista, il quale abbandona i suoi pregiudizi da omofobo reazionario, grazie all’amicizia di Rayon, e al contatto quotidiano con le sofferenze dei sieropositivi. L’empatia e la comprensione, insomma, soppiantano il disprezzo e l’odio nei confronti del “diverso”.
Se i presupposti di Dallas Buyers Club non riservano grandi sorprese, bisogna sottolineare come la convenzionalità della sceneggiatura venga ridotta in cenere e sublimata dalla superlativa performance di Matthew McConaughey, un interprete che da Magic Mike in poi, passando per Killer Joe, The Paperboy, Mud e la serie della HBO True Detective, non ha mai smesso di sorprendere, confermandosi il miglior attore americano della sua generazione. Stordito dall’alcol o sotto l’effetto delle metamfetamine, rabbioso ed emaciato come un Cristo di El Greco trapiantato in Texas, McConaughey è l’anima pulsante del film, se non la sua sola ragione di esistere. Se l’attore impressiona per l’assoluta aderenza fisica e psicologica al personaggio, sono degni di nota anche l’ottimo Jared Leto, leader dei “30 Seconds to Mars”, nel ruolo di Rayon e Jennifer Garner nella parte di Eve Sacks, la dottoressa del Dallas Mercy che arriverà a condividere le ragioni di Woodroof.
Il regista Jean-Marc Vallée restituisce miracolosamente lo spirito del tempo, con la complicità delle canzoni di Marc Bolan e dei T.Rex. Lo stile ruvido, abrasivo e semidocumentaristico, con frequente utilizzo della camera a mano, gli permette infatti di scansare sia le trappole tese dai suoi sceneggiatori, che quelle altrettanto nocive del pietismo o del sentimentalismo ricattatorio, che in questa tipologia di film fanno la parte del convitato di pietra. E dopo il Golden Globe, non resta che augurare a Matthew McConaughey anche un meritatissimo Oscar.
Voto: 7
Nicola Picchi