Scheda film

Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Uberto Pasolini
Fotografia: Stefano Fallivene
Montaggio: Gavin Buckley e Tracy Granger
Scenografie: Lisa Hall
Costumi: Pam Downe
Musiche: Rachel Portman
Suono: Kieron Teather
G.B./Italia, 2013 – Drammatico – Durata: 87′
Cast: Eddie Marsan, Joanne Froggatt, Karen Drury, Andrew Buchan, Neil D’Souza, David Shaw Parker, Michael Elkin
Uscita: 12 dicembre 2013
Distribuzione: BIM
Sale: 19

 “Si nasce e si muore soli. Certo in mezzo c’è un bel traffico.”

John May (Eddie Marsan) è un grigio impiegato comunale addetto a rintracciare i parenti di persone trovate morte e sole che nessuno ha reclamato. È spesso anche l’unico a presenziare a quei funerali che lui stesso si trova costretto ad organizzare. Quando si imbatte in Billy Stokes, il suo dirimpettaio deceduto in completa solitudine e naturalmente mai notato, inizia a seguirne alcune tracce, via via sempre più numerose. Nel frattempo il suo capufficio gli preannuncia il licenziamento, in quanto le sue mansioni sono ritenute troppo costose e gestibili in maniera più spiccia. Così quello di Billy, uomo diversissimo da lui, diventa per John l’ultimo caso della sua carriera. Mentre inizia a cambiare le proprie rigide abitudini, decide perciò di condurre le indagini fino in fondo, mettendoci anima e corpo, trovando persino uno spiraglio di luce in un’esistenza senza clamori. Ma il destino beffardo dovrà dire ancora la sua ultima parola…
Di Uberto Pasolini, nessuna parentela con lo scrittore e cineasta Pier Paolo, si parlò quindici-vent’anni fa quale produttore di due pellicole molto vitali e scanzonate come Palookaville e Full Monty, che raccontavano imprese fuori dall’ordinario condotte da due bande di simpatici cialtroni. Col suo esordio alla regia, Machan, del 2008 porta sullo schermo un altro gruppo di disperati che si spaccia per la nazionale singalese di pallamano al fine di emigrare in Germania.
Stavolta la banda non c’è: in Still life c’è soltanto un omino sol(itari)o, piccino piccino e pervaso da malinconia. O, meglio, la banda di senza famiglia l’ha messa su egli stesso nei lunghi anni di impiego al comune: John May conserva difatti in un apposito album tutte le foto delle numerosissime persone cui ha dovuto organizzare le esequie, perché non è stato possibile rintracciare nessuno o perché nessuno ha desiderato venirci.
Uberto Pasolini ci conduce attraverso i piccoli tic e le sottili manie di un uomo forse più solo dei “casi” che si ritrova a seguire, cosicché non sarà difficile per lo spettatore immaginare quale possa essere il futuro a lui riservato. Ma riesce a spiazzarci grazie alla regia attenta a registrare e mostrarci ogni benché minimo elemento (ad esempio, mentre John segue i “suoi” morti, al cimitero vediamo svolgersi funerali più gremiti, come alla fine quello di Billy Stokes sarà altrettanto affollato, proprio grazie ai suoi sforzi…). E se pure il prefinale ci destabilizza un po’, pur essendo l’unico possibile, l’ultima scena, tra la metafora ed il fantastico, ci colpisce dritti al cuore.
E se nella vita di John May non sembra trovar posto neanche l’amore, forse è proprio perché non ne ha più da dare, avendolo rateizzato in tutte quelle esistenze abbandonate di cui, egli solo, ha deciso nel corso degli anni di prendersi ostinatamente cura.
Still life è un racconto esemplare, che si muove tra le ombre di Pirandello, Kafka e Chaplin: il primo per le vite anonime inseguite da May che fa di ognuno di loro un potenziale Mattia Pascal; il secondo per il grigiore del lavoro – e non solo – dell’impiegato comunale; il terzo per il personaggio stesso del protagonista che ne fa un novello Charlotte, trafitto dagli strali di un’amara ironia e stritolato in mezzo ai meccanismi di quella burocrazia di cui è sempre stato un ingranaggio, ora stridente. Però nelle vicende narrate da Uberto Pasolini alcuni raggi di sole, comunque le si guardi, riescono a filtrare, anche se nuvole nere si affretteranno presto ad oscurarli. Ed è questa la forza di una storia equilibrata, che si sviluppa tra dolcezza e malinconia, non risparmiandoci qualche risata, per congelarle infine tutte in un ghigno. 

Voto: 7 e ½

Paolo Dallimonti