Scheda film

Regia: Gianluca Petrazzi
Soggetto e sceneggiatura: Gianluca Petrazzi e Giorgio Savino
Fotografia: Marco Tani
Montaggio: Angelo D’Agata
Scenografie: Loredana Raffi
Costumi: Valentina Fragasso
Musiche: Massimo Filippini
Italia, 2013 – Poliziesco – Durata: 85’
Cast: Luca Lionello, Alessandro Borghi, Corrado Solari, Massimo Vanni, Simone Corrente, Simona Cavallari, Claudio Fragasso
Uscita: 6 dicembre 2013
Distribuzione: Explorer Entertainment
Sale: una decina

 Tutti contro tutti

Se da una parte film come Roma criminale contribuiscono per quel che è possibile a dare una certa continuità a un genere come il poliziottesco all’italiana, che tante soddisfazioni ha dato ai cinefili più “romantici” decenni or sono, che ha in Tarantino un esegeta, un appassionato e un profondo conoscitore, dall’altra progetti come quello scritto e diretto da Gianluca Petrazzi non si dimostrano all’altezza della situazione, o per lo meno il risultato ottenuto di fatto non è capace di strappare nemmeno una dignitosa sufficienza. Eppure il potenziale a disposizione c’era, così come le buone intenzioni. Ma si sa, non sempre alle buone intenzioni corrispondono esiti di eguale valore, proprio come in questo caso.
Nelle sale a partire dal 6 dicembre (il giorno prima a Napoli) in una quarantina di copie, Roma criminale segna contemporaneamente un duplice esordio, quello della neonata Explorer Entertainment di Giorgio Bruno (alcuni lo ricorderanno come regista di Nero infinito) nel turbolento scenario della distribuzione nostrana, e quello di Gianluca Petrazzi, qui alla prima esperienza dietro la macchina da presa dopo una lunga e significativa carriera da aiuto, stunt e maestro d’armi. La personale esperienza maturata sui set da un autentico mestierante del cinema come lui, figlio del più nobile artigianato old style e di uno dei più celebri addetti ai lavori come Riccardo Petrazzi, poteva sulla carta garantire all’operazione qualcosa di più di quello che, invece, è approdato sul grande schermo. I limiti palesati dal racconto, frutto di una sceneggiatura (scritta a quattro mani dal regista in collaborazione con Giorgio Savino) costellata da buchi piuttosto evidenti che destabilizzano l’impianto drammaturgico e l’architettura narrativa, si riversano in maniera determinante sulla messa in scena, la cui credibilità viene spesso meno. La facilità e la superficialità nella fase di scrittura, così come nell’approssimativo disegno dei personaggi e delle dinamiche che si vanno via via materializzando, non permettono al film di rimanere in piedi, tantomeno di trovare una personale chiave di lettura a un materiale drammaturgico ormai logoro e ciclicamente rimaneggiato. L’intenzione di rendere omaggio al poliziottesco che fu e ai suo indimenticabili esponenti (da Lenzi a Di Leo, da Massi a Castellari, passando per Corbucci) per fortuna non trova terreno fertile nel più becero dei rifacimenti più o meno fedeli. Nonostante tutto, Petrazzi dimostra rispetto per la materia e per coloro che in passato le hanno dato forma e sostanza. Quello di scimmiottare è, infatti, l’ultimo dei pensieri transitati nella sua mente, diversamente da quanto dimostrato in precedenza dal collega Francesco Campanini con Il solitario.
Nel portare sullo schermo una pericolosa partita a tre, che mette l’uno di fronte all’altro in un interessante faccia a faccia tra vecchia e nuova malavita, con la giustizia a fare a da terzo incomodo, gli autori dello script si sono semplicemente limitati a trasporre, senza re-interpretare assolutamente nulla, temi e stilemi già ampiamente decodificati da quello che dovrebbe essere il potenziale fruitore. L’indagine del giustiziere di turno, l’irascibile vice questore aggiunto Marco Lenzi, assume da subito i contorni della più classica delle vendette quando il passato torna a bussare alla sua porta. Ciò comporta una prevedibilità tanto nell’evoluzione del racconto quanto nelle one line dei singoli personaggi, quest’ultimi appena abbozzati e trasformati nelle vittime sacrificali immolate sull’altare dei cliché e degli stereotipi del pliziottesco anni Settanta, dei quali continueranno ad essere schiavi. Esattamente il contrario di quanto in Francia un Olivier Marchal ha saputo fare ad esempio con il polar, da lui ripreso e rielaborato.
Quindi se a giochi fatti bisognerebbe quantomeno ringraziare registi come Petrazzi e produttori come Gino Montegrande per avere provato a mantenere vivo un genere al quale, almeno noi (e come noi tanti altri), siamo molto legati, allo stesso tempo si dovrebbe a tantissimi come loro rimproverare il fatto di non avere dedicato più tempo alla scrittura. Perché non bastano una manciata di scene d’azione di buonissima fattura, con tanto di inseguimenti pirotecnici, conflitti a fuoco e spettacolari incidenti, come nel caso di quelle che aprono e chiudono Roma criminale, a tenere a galla un film. Ci vogliono prima di tutto una storia e un plot, dei personaggi e delle dinamiche all’altezza, per consentire al cerchio di chiudersi nel migliore dei modi. 

Voto: 4 e ½

Francesco Del Grosso