Scheda film

Regia: Jia Zhang-ke
Sceneggiatura: Jia Zhang-ke
Montaggio: Matthieu Laclau, Lin Xudong
Fotografia: Yu Likwai
Scenografie: Liu Weixin
Musiche: Lim Giong
Cina/Giappone, 2013 – Drammatico – Durata: 133′
Cast: Zhao Tao, Jiang Wu, Wang Baoqiang, Luo Lanshan, Zhang Jiayi, Li Meng, Liu Lu
Uscita. 21 novembre 2013
Distribuzione: Officine Ubu
Sale: 13

Negli anni ’60 il compagno Lei Feng, soldato modello glorificato dalla propaganda maoista, incitava a “individuare la disparità” per porvi rimedio. Dopo più di quarant’anni, e a trenta dalle riforme economiche avviate da Deng Xiaoping all’insegna dell’”Arricchirsi è glorioso”, la disparità fra le fasce deboli della popolazione cinese e i nuovi ricchi si è trasformata in una voragine. Il proverbiale gatto di Deng ha acchiappato i topi, anche troppi, ma così facendo si è lasciato alle spalle una scia di cadaveri. Alla faccia della “società armoniosa” di stampo confuciano auspicata da Hu Jintao non molto tempo fa, il distacco tra le regioni arretrate e quelle sviluppate economicamente si è fatto sempre più marcato, così come il disprezzo per le libertà individuali, la disuguaglianza, la corruzione degli oligarchi del PCC, tutte conseguenze del passaggio tutt’altro che indolore dalla supremazia della politica a quella del denaro.
Dopo lo splendido I Wish I Knew (2010), Jia Zhang-ke torna alla fiction, sia pure ibridata con il documentario come in 24 City (2008); le quattro storie narrate sono infatti ispirate da altrettanti episodi di cronaca. Nella prima storia Dahai, minatore di una cittadina dello Shanxi, si ribella alle angherie del capo villaggio e del direttore della miniera, che durante la fase di privatizzazione si sono arricchiti accaparrandosi i beni della collettività. In seguito Zhou San, un lavoratore migrante che torna a Chongqing per il Capodanno cinese, accolto con indifferenza dei suoi familiari, scopre i vantaggi che possono derivare dal possedere un’arma da fuoco. Nella terza storia Zheng Xiao Yu, receptionist in una sauna a Yichang, viene molestata da un cliente, che la prende per una prostituta. Infine Xiao Hui, un ragazzo in cerca di lavoro, si trasferisce a Dongguan (zona economica a statuto speciale) sperando di garantirsi un futuro migliore.
Jia Zhang-ke ha inteso Il tocco del peccato, il cui titolo inglese allude al capolavoro di King Hu A Touch of Zen, come un “wuxia” contemporaneo, e se la definizione potrà spiazzare qualcuno, basti ricordare che il “wuxia”, a partire da un classico del genere “cavalleresco” come “Sul bordo dell’acqua”, ha sempre parlato di opposizione al potere costituito, assumendo il punto di vista del ribelle. E allora Xiao Yu, pettinata e abbigliata come un’eroina di King Hu, risponde alla prepotenza del cliente con un gesto da “wuxia pian”, cui si adeguano luci e taglio d’inquadratura, mentre Dahai avvolge la sua arma in un drappo che raffigura una tigre ruggente, come fosse un Guan Yu proletario.
Il regista, a proposito dell’enorme estensione geografica coperta dal film (Shanxi, Hubei, Chongqing, Guandong), ha anche sottolineato un’affinità con la tradizionale pittura cinese di paesaggio (da Zhu Da a Xu Wei), ma più che altro verrebbe da pensare a una versione moderna di un altro classico, “Il Libro dei monti e dei mari”, in cui alle molte meraviglie e tradizioni mitologiche descritte, si sostituiscano incidenti ferroviari e suicidi nelle fabbriche, delineando un panorama di macerie e cantieri edili, una terra desolata che alle volte si infiamma di inaspettato lirismo. Jia ha sempre descritto l’impatto dei mutamenti sociali sull’individuo, con un sommesso realismo che non disdegnava impennate surreali. Come sempre la sua preferenza va a personaggi precari, marginali, annichiliti dall’arroganza del potere e dei suoi simboli, che in questo caso scelgono di rispondere con la violenza al primato dell’economia.
Gli sgherri di Jiao Shengli, presidente del complesso minerario, malmenano Dahai con una mazza da golf (lo sport dell’élite); Xiao Yu viene percossa e umilitata con un fascio di banconote; il cliente nel bordello di Dongguan usa il potere dei soldi per dominare Lianrong, la ragazza di cui Xiao Hui è innamorato; Zhou San uccide a sangue freddo una coppia che ha appena ritirato del denaro dal bancomat. E qui il denaro non è certo lo “sterco del demonio” di stampo cattolico, ma solo la misura dello sviluppo dissennato della Cina e delle disuguaglianze sociali create dal capitalismo rampante. Nella cittadina nello Shanxi, ai simboli del passato ormai destituiti di senso (la statua di Mao, il Tempio buddhista), si contrappone un presente fatto di un aereo privato e di una Maserati, significativamente imbrattata di sangue. Persino le escort del Night Club di Dongguan, a disposizione dei facoltosi clienti provenienti da Taiwan e Hong Kong, indossano una versione sexy della divisa dell’Esercito Popolare. E Jia Zhang-ke rincara la dose con cavalli frustati a sangue, mucche portate al macello, anatre sgozzate, serpenti misterici che offrono un asilo provvisorio da una realtà insopportabile. La giustizia viene ormai celebrata solo nell’Opera cinese, che una troupe itinerante porta di villaggio in villaggio, perché solo all’interno di uno spazio finzionale l’individuo può veder riconosciuti i propri diritti. Ma nell’inquadratura finale, in cui una folla si riunisce per assistere alla rappresentazione di “Yu Tang Chun”, che narra di una ragazza ingiustamente accusata che riconquista la propria libertà, l’opera è negata allo sguardo dello spettatore, confinata in un fuori campo defiitivo.
Jia Zhang-ke ha girato il film in digitale, avvalendosi della smagliante fotografia di Yu Likwai (cui, per inciso, quest’anno il Torino Film Festival dedica una retrospettiva), rinunciando agli abituali “long take” a favore di una nervosa, solidale aderenza alle vicissitudini dei suoi protagonisti: attori non professionisti, esordienti (Luo Lanshan) o veterani quali Zhao Tao, moglie del regista e sua attrice abituale, Wang Baoqiang (The Equation of Love and Death, Lost in Thailand) e il sommo Jiang Wu (Let the Bullets Fly, Vivere). Coprodotto da Office Kitano, Miglior Sceneggiatura a Cannes 2013, Il tocco del peccato è anche il più efficace equivalente visivo possibile dell’amaro commento di Liu Xiaobo, premio Nobel tuttora in carcere: La Cina di oggi è come se fosse seduta su un vulcano. 

Voto: 7 e ½

Nicola Picchi