Scheda film
Regia e Soggetto: Diego Quemada – Diez
Sceneggiatura: Diego Quemada – Diez, Gibràn Portela, Lucìa Carreras
Fotografia: Marìa Secco
Montaggio: Paloma Lòpez
Messico, 2013 – Drammatico – Durata: 102’
Cast: Brandon Lopez, Rodolfo Dominguez, Karen Martinez, Carlos Chajòn
Uscita: 7 Novembre 2013
Distribuzione: Parthènos
Sale: 7
Realmente
Emigrano i semi sulle ali dei venti, emigrano le piante da continente a continente portate dalle correnti delle acque, emigrano gli uccelli e gli animali e, più di tutti, emigra l’uomo (…). Queste parole di Beato Giovanni Battista Scalabrini delineano più che bene il nocciolo centrale di questo film: il diritto naturale dell’uomo di emigrare nel mondo per inseguire le propria felicità e di contrasto, la negazione più subdola e repressiva che questo diritto fondamentale deve subire.
La Gabbia Dorata racconta la storia di Juan, Sara e Samuel, tre adolescenti dei quartieri poveri del Guatemala che cercano di raggiungere gli Stati Uniti d’America, alla ricerca di una vita migliore. Lungo il loro cammino attraverso il Messico incontrano Chauk, un indio del Chiapas che non parla lo spagnolo e gira senza documenti. Il viaggio è lungo, a bordo dei treni merci o seguendo a piedi i binari delle ferrovie, e porterà i ragazzi verso un’imprevedibile realtà.
Realtà è proprio la parola chiave di questo lavoro di Diego Quemada – Diez, che ha lavorato molto nel cinema americano e come assistente di Ken Loach e che ora punta tutto su una messa in scena molto realista, al limite del documentario. Gli scenari e in generale tutto il percorso di migrazione che compiono i tre ragazzi è lo stesso che viene percorso dagli emigranti sud americani per giungere negli USA. La sceneggiatura è impostata in modo tale che l’empatia fluisca spontanea nello spettatore, grazie solo alla semplice documentazione del tragico viaggio compiuto dai ragazzi. I dialoghi sono secchi, lo stile recitativo anche e le inquadrature non sono da meno, con un’alternanza di primi piani e panoramiche (in questo Quemada – Diez si ispira molto a Loach).
Una scelta narrativa adottata in questo lavoro è quella, inoltre, di non svelare quasi per niente (se non nella scena iniziale e finale per pochi minuti) il mondo da cui arrivano ed il mondo che devono raggiungere i personaggi, ma di evidenziare invece il lungo viaggio in treno, che va a simboleggiare il progresso (come spesso è stato nel cinema mondiale, che usa questo mezzo di trasporto come innovatore e portatore di un futuro migliore), ma che al suo interno porta persone profondamente povere e ignorate o sfruttate dal sistema occidentale. Una metafora chiarissima su come il capitalismo continui, anche nel 2013, a isolare e sfruttare i più poveri.
L’identificazione con i protagonisti fa sì che ci si distacchi dalla propria quotidianità e ci si immerga nel pericolosissimo viaggio verso un futuro diverso (non per forza migliore) e la critica sociale aspra e radicale ci fa porre delle domande su per quanto ancora questo sistema di sfruttamento dei paesi più disagiati possa andare avanti. Questi due forti temi passano dunque attraverso un realismo integerrimo e molto ben curato, riportandoci alla concezione di un cinema come specchio della realtà, come sua estensione ontologica, come suo alter ego.
Voto: 8 e ½
Mario Blaconà