Scheda film

Regia: Silvio Soldini
Soggetto: Silvio Soldini, da un’idea di Silvio Soldini e Giorgio Garini
Fotografia: Ramiro Civita e Silvio Soldini
Montaggio: Giorgio Garini
Musiche: Luca Casella
Suono: Giovanni Isgrò
Italia/Svizzera, 2013 – Documentario – Durata: 95′
Uscita: 9 ottobre 2013
Distribuzione: Lumière & Co.
Sale: 20

 Oltre il buio

Quanto accaduto a Sacro Gra è la dimostrazione tangibile di come un documentario possa competere ad armi pari con il cinema narrativo, tanto da riuscire a strappare ai rivali di fiction di turno persino un Leone d’Oro. Sull’onda di questo clamoroso e inaspettato riconoscimento maturato all’ultima edizione della Mostra di Venezia, che ha calamitato sull’opera di Gianfranco Rosi l’attenzione e la curiosità persino di quella vastissima fetta di pubblico solitamente estranea alla suddetta tipologia di cinema, il docu-film sui “mondi” invisibili e sommersi che attraversano e costeggiano il Grande Raccordo Anulare capitolino ha raccolto, e continua a raccogliere, buoni risultati anche al botteghino. È l’ennesima riprova che il documentario ha tutte le carte in regola per ritagliarsi il suo spazio, oltre che nel circuito festivaliero e nei palinsesti dei canali televisivi specializzati, anche nelle sale. Tuttavia, bisogna rimanere con i piedi saldi al terreno ed essere lucidi nonostante la sbronza, o perlomeno coscienti quanto basta per comprendere che per abituare lo spettatore alla visione di un modo diverso di fare cinema attraverso il reale o le sue ibridazioni, occorre pazienza e soprattutto un percorso di educazione alla fruizione. Di conseguenza, per portare i documentari in sala, dare ad essi i giusti spazi, servono strategie distributive ben precise e mirate (ad esempio quella portata avanti da alcuni anni da Feltrinelli Real Cinema con la distribuzione per tre giorni nel circuito The Space Cinema), per fare in modo che non si smarriscano negli affollati cartelloni pieni zeppi di blockbuster a stelle e strisce o commedie spacca box office.
A questo sembrano avere pensato Lionello Cerri e Silvio Soldini nel momento stesso in cui hanno deciso di auto-distribuire sul grande schermo l’ultima fatica dietro la macchina da presa del regista milanese, scritto con Giorgio Garini. Si tratta di Per altri occhi – Avventure quotidiane di un manipolo di ciechi, opera che segna il ritorno di Soldini al cinema del reale a tre anni di distanza da Il sole non ignora alcun villaggio. Dopo le presentazioni nelle passate edizioni del Biografilm Festival e di Visions du Réel, il docu-film approda al cinema con un’iniziativa molto interessante che, se dovesse dare risultati soddisfacenti, potrebbe avere sviluppi e aprire nuovi scenari per quanto riguarda la diffusione del genere nel circuito ufficiale. L’iniziativa prevede un’unica proiezione contemporaneamente su una molteplicità di schermi sparpagliati in tutto il territorio nazionale il giorno 9 ottobre (l’indomani si celebrerà la Giornata mondiale della vista promossa dall’Organizzazione mondiale della sanità, sulla prevenzione di malattie oculari), alla quale seguirà la trasmissione via satellite dall’Anteo Spaziocinema di Milano dell’incontro moderato da Gianni Fantoni con gli autori, gli interpreti e alcuni importanti testimonial provenienti dal mondo dello spettacolo e dello sport come Gianna Nannini e Giovanni Soldini.
Debitore della lezione di Antonioni come di quella di Kieslowski, rigoroso e coerente, il cineasta milanese, continua a spaziare tra fiction e reale, occupando con la sua filmografia una posizione inconfondibile nel panorama contemporaneo nostrano per l’originalità con cui sa fondere una raffinata ricerca figurativa con un’inesausta riflessione morale. Per altri occhi è la cartina tornasole di una volontà di perseguire, con il linguaggio del documentario e la scansione narrativa della finzione, la medesima strada di fusione. L’estetica mai fine a se stessa, in questo caso epurata, diretta e non filtrata, si mette al servizio di temi importanti come quello che anima questa pellicola. Soldini ci porta al seguito di un gruppo di non vedenti che hanno deciso di non arrendersi all’handicap che ha segnato o cambiato in corsa indelebilmente le loro esistenze. Ci racconta, attraverso le voci dei diretti interessati, esperienze di vita vissuta al buio all’insegna della caparbietà e della determinazione, contro l’inesistenza perenne di un confine reale in una Società che pensa alla disabilità e non alle disabilità, come se ce ne fosse una sola con le medesime esigenze e gli stessi impedimenti. Riporta tutto su un piano di normalità, sfondando con la spontaneità e la voglia di vivere degli interpreti tutte le barriere erette da chi non sa o non vuole sapere, a causa della diffidenza e della stupidità imperante. Lo fa senza spettacolarizzare, enfatizzare e sottolineare, perché non vi è alcuno spazio nel film per la parola compassione. Le videocamere catturano momenti, pedinano, interagiscono, osservano in silenzio gli eventi, persino ci catapultano in spaventosi brandelli di buio (l’entrata in metro in soggettiva di Enrico il fisioterapista), così da restituire sullo schermo un’esperienza sensoriale prima che audiovisiva. Il tutto affrontato con umorismo e una bella dose di auto-ironia. Sta in questa chiave che avvolge e inebria l’opera, ma soprattutto nella capacità degli autori di mettere alla porta i facili luoghi comuni e soprattutto il pietismo, la bellezza di un racconto fatto di immagini e parole viscerali, che permette a chi ignora e a chi è ignorante di aprire gli occhi su coloro che hanno dovuto fare a meno degli occhi stessi, che hanno trovato il modo di fare luce lì dove la luce non è mai penetrata o ha smesso un giorno di filtrare.
Le storie al centro di Per altri occhi appartengono a dieci persone vitali e appassionate, accomunate sì dall’handicap della cecità, ma che in realtà andrebbero ascoltate e vissute cienmatograficamente come le storie di uomini e donne che ce l’hanno fatta ad essere felici, a esaudire i propri desideri, al di là della disabilità che li ha privati della possibilità di vedere ciò che li circonda (si consiglia anche la lettura del libro di Mauro Marcantoni dal titolo “I ciechi non sognano il buio – Vivere con successo la cecità”). Non è un film sulla sopravvivenza, ma sulla voglia di vivere, sull’orgoglio e la forza di resistere alle avversità. Forse per questo, al termine della proiezione o nel momento stesso in cui Soldini mostra un non vedente che scia, suona il violoncello, scolpisce, compone musica, gioca a baseball, fa escursioni o va in barca a vela, lo spettatore non dovrebbe chiedersi come riesce a farlo, piuttosto come riesce a fare tante cose in generale, cose che per difficoltà e numero spesso nemmeno un vedente riuscirebbe a fare.

RARO perché… la tematica è ancora di quelle indigeste.
Note: il film esce SOLO il 9 ottobre 2013, ma a Milano verrà riprogrammato dal 13 al 16 all’Apollo Spazio Cinema.

Voto: 8

Francesco Del Grosso

 #IMG#Lo sguardo del cuore

Abbiamo mai riflettuto su come svolgiamo in automatico le nostre azioni quotidiane?
È un pensiero che ci assale quando ci troviamo di fronte al limite dell’altro e ci si ritrova a riflettere su come chi ha un handicap (in questo caso la cecità) sappia trasformare quel limite assumendo uno sguardo nuovo verso se stesso e il mondo circostante.
Per altri occhi, il docu-film di Silvio Soldini e Giorgio Garini, si distingue come perla rara nel panorama dei film che scelgono come (s)oggetto la cecità perché ci mostra come il loro approccio verso la vita risulti a noi straordinario, ma guardando attraverso altri occhi la routine assume una connotazione ordinaria. Ci stupiamo nel vedere chi si sbarba guardandosi allo specchio o che il pianista (Luca Casella) sappia scattare delle magnifiche foto guardando nell’obiettivo della macchina fotografica. Ce ne sarebbero di esempi da fare, ma un elenco non potrebbe supplire minimamente la visione del film con le emozioni e i sorrisi che provoca – la cifra del film ideato da Soldini e Garini risiede anche nell’unire delicatezza e leggerezza. Col dipanarsi delle storie di Enrico, Giovanni, Gemma, Luca, Felice, Mario, Aldo, Daniela, Claudio, Michela, Piero e Loredana siamo noi che ci sentiamo “poverini” e piccoli davanti a uomini e donne che hanno saputo reagire a un limite che gli è arrivato come una doccia fredda – nella maggior parte delle storie proposte, la cecità è comparsa nel corso della vita e non dalla nascita. Nessuno di loro nega come l’impatto col buio (o con la luce bianca) sia stato forte, eppure tutti sono riusciti a intraprendere con determinazione e umorismo una strada serena per loro stessi e gli altri.
Lo scultore Felice Tagliaferri si mette a nudo davanti a quella macchina da presa che lo sta inquadrando, immaginiamo che avverta lo sguardo rispettoso del regista (Soldini), e ci guarda mentre racconta che dopo questo fulmine a ciel sereno si è chiesto cosa potesse fare lui per gli altri ed è arrivata la cosiddetta vocazione artistica. Per noi, che guardiamo con gli schemi mentali, è quasi impensabile che una persona toccata da un handicap possa chiedersi cosa possa fare per l’altro così come ci risulta impossibile poter fare quei lavori, gli sport che praticano senza l’apparato visivo e (sor)ridiamo con loro per lo spirito che sprigionano.
Tutti loro si mettono a nudo e l’obiettivo li inquadra senza mai invadere il confine, ascoltandoli e accogliendo le loro vite diventa, infatti, portatore del loro sguardo fino a fondersi con esso.
Per altri occhi va oltre quello che sapevamo sui non vedenti, trascende il mostrare “scientificamente” come siano costretti a sviluppare altri sensi perché sa parlare al cuore di chi guarda il film senza premere l’acceleratore sul pietismo (parola bandita, non per mero moralismo, ma perché l’approccio di Garini-Soldini va naturalmente in un’altra direzione, immaginiamo sia per l’indole degli autori, sia grazie alla guida di persone che non vogliono ricevere pietà). «L’importante è far capire che noi siamo delle persone» dice il musicista Luca Casella. Dovrebbe essere ovvio, ma è innegabile che ai nostri occhi chi ha un handicap appaia “diverso”. Ancora una volta grazie al cinema ci ritroviamo a fare i conti con la domanda: cosa vuol dire normale? Chi lo è?
«Quello che non si conosce crea sempre un pochino di diffidenza» ed è vero, ma Per altri occhi sembra dirci che forse chi avrebbe più diritto di essere diffidente sarebbero proprio loro che non possono vederci nel senso canonico del termine, eppure sono lì pronti a fidarsi, a buttarsi in una nuova avventura, a immaginare mondi di fronte ai quadri e ai paesaggi naturali. «Non so se tu chiudi gli occhi e vedi le cose. Non so quanto ti dura un’immagine, a me dura poco» ed è lì che scatta l’immaginazione che sa varcare i confini visibili.
Senza neanche accorgercene, accade che durante quei 95′ guardiamo la vita per altri occhi non solo seguendo i loro racconti, ma immedesimandoci per qualche istante (per quanto sia impossibile sostituirsi a loro) merito di un accorgimento cinematografico. Di botto l’unica immagine sullo schermo è il nero, siamo in metro, ma lo sappiamo solo grazie a ciò che sentiamo e ci domandiamo: è questo lo straniamento che prova un non vedente di fronte alla frenesia del tram tram quotidiano dove la massa può anche investirti pur di entrare al volo in metro?
Con un tatto e una sensibilità di sguardo, Per altri occhi va a scardinare tanti luoghi comuni (e sono le parole dei non vedenti a farlo). Si dice: “chi è cieco è più sensibile”, ma «se tu non sei una spugna e sei una pietra non puoi assorbire l’acqua» e questo vale sia per i vedenti che per i non vedenti o per chiunque abbia un handicap… oppure si sa che la reazione della gente di fronte a un cieco che sale in autobus (riconoscibile dal bastone bianco o dal cane guida) è il più delle volte: “poverina”, ma «perché poverina, forse faccio più di lei» è il commento di Loredana.
Non resta che dire: la parola e gli occhi a loro, accompagnati dalle musiche di Luca Casella (pianista e compositore) e di Gemma Pedrini (violoncellista).
«Tu con i tuoi occhi, resti solo qua, io con altri occhi cerco novità»*. 

Voto: 8

Maria Lucia Tangorra

 #IMG#*Dalla canzone originale “Altri occhi” di Gianluigi Carlone e Pietra Magoni, cantata da Pietra Magoni.