Scheda film

Regia e Sceneggiatura: Ben Lewin
Soggetto: ispirato all’articolo “On Seeing a Sex Surrogate” di Mark O’Brien
Fotografia: Geoffrey Simpson
Montaggio: Lisa Bromwell
Scenografie: John Mott
Costumi: Justine Seymour
Musiche: Marco Beltrami
USA, 2012 – Commedia – Durata: 95′
Cast: John Hawkes, Helen Hunt, William H. Macy, Moon Bloodgood, Annika Marks, Adam Arkin, Rhea Perlman
Uscita: 21 febbraio 2013
Distribuzione: 20th Century Fox
Sale: 17

 La prima volta non si scorda mai

Non sono poche né tantissime le volte che un regista è stato capace di affrontare un tema delicato come l’handicap senza scivolare nella spettacolarizzazione della malattia, rigettando le facili concessioni alla retorica lacrimosa, al pietismo e alla compassione. Così come altrettante sono le volte in cui ci si è imbattuti in film dove il sesso e i meccanismi che lo “regolano” sono argomentati senza ricorrere a sciocchi imbarazzi e inutili ipocrisie. Presi singolarmente gli esempi non mancano e non stiamo qui a elencarli, ma il numero calerebbe in maniera drastica se le due tematiche andassero a confluire nella medesima sceneggiatura. In effetti, solo di rado ci si è trovati al cospetto di opere alle quali si può attribuire entrambi i meriti. Queste si contano sulle dita delle mani e restringendo il campo al recente passato, film come Un sapore di ruggine e ossa e Quasi amici rendono perfettamente l’idea di quali strade si possano percorrere per fare in modo che ciò si verifichi. Da una parte l’ultima fatica di Audiard ha scelto una commistione tra dramma e melò per dare vita a un plot, tanto rabbioso quanto intenso, che permette allo spettatore di fare i conti con il ventaglio delle emozioni; dall’altra il fenomeno cinematografico del 2011 firmato dalla coppia Nakache-Toledano che ha dimostrato a tutti che si può ridere e far ridere di e su certi temi senza mancare di rispetto o toccare la suscettibilità di nessuno, puntando sulla chiave della leggerezza, che in questo caso non è affatto sinonimo di superficialità, ma di un’ironia intelligente e mai irrispettosa.
Partendo da questa ripartizione si può pertanto incanalare, in questa o quell’altra categoria, le pellicole che hanno nel proprio DNA la suddetta alchimia e che via via si affacciano nel circuito distributivo, tenendo ovviamente conto degli esiti degni di nota. The Sessions è una di queste. Dopo aver strappato un meritato riconoscimento alla passata edizione del Sundance, il nuovo film scritto e diretto da Ben Lewin, nelle sale nostrane a partire dal 21 febbraio con Fox, sposa in gran parte l’approccio di Quasi amici, lasciando spazio anche a cambi di registro che introducono nella narrazione folate di dramma comunque misurate che restituiscono alla platea momenti di sincera commozione, un po’ come accaduto anni fa con Piovono mucche di Luca Vendruscolo o Hasta la vista di Geoffrey Enthoven, commedie intrise di risvolti di grotteschi e di anarchica allegria. Il regista polacco-australiano, non nuovo a un certo tipo di commedia ironico-satirica (Un pesce di color rosa) che fanno della diversità veicolo di unione e non di allontanamento (Lucky Break), porta sul grande schermo la storia vera di Mark O’Brien, poeta e giornalista americano che ha trascorso parte della sua vita all’interno di un polmone d’acciaio a causa della poliomielite. Il cinema si era già interessato alla sua storia con il documentario breve di Jessica Yu dal titolo Breathing Lessons, vincitore dell’Oscar di categoria nel 1996. Da parte sua Lewin si affida alla finzione ma non firma un biopic a tutto tondo, piuttosto una rievocazione degli ultimi anni di vita di O’Brien partendo da un articolo battezzato “On Seeing a Sex Surrogate”, realizzato dal giornalista quando in seguito a una serie di interviste sul rapporto tra sesso e disabilità decise di esplorare il piacere fisico ingaggiando una terapista sessuale con la quale svilupperà una relazione che cambierà il corso della vita di entrambi.
Il risultato è un film che come quelle pagine scritte da O’Brien ha il sapore di una confessione liberatoria che fa dell’ironia uno strumento di comprensione. È la prova tangibile che il sorriso può non avere solo valore terapeutico, ma tramutarsi in “arma” per esorcizzare il dolore senza doverlo giocoforza cancellare dalle parole e dalle immagini che animano il film e la sua storia. A modo suo, con delicatezza e dolcezza, sfrecciatine e tocchi di poesia (l’immaginazione del protagonista che prendono forma sullo schermo), The Sessions seguendo traiettorie diverse ci riporta alla mente le emozioni incancellabili di Mare dentro o Lo scafandro e la farfalla. Non raggiunge le vette toccate dalle opere di Amenábar o Schnabel, ma sa come scaldare e toccare le corde del cuore con le carezze di un sorriso. Lo schermo a sua volta restituisce alla platea una profonda umanità e una genuina gioia di vivere, grazie al lavoro di scrittura e direzione degli attori di Lewin costruito sugli opposti e sulle affinità elettive: fragilità e forza d’animo, umorismo e delicatezza, rispetto e amore, lacrime e sorrisi, vita e morte.
Lo script ha la rara forza di abbattere senza volgarità e presunzione persino i tabù sessuali e religiosi senza metterli in discussione (il prete confessore di O’Brien dalla morale piuttosto tollerante, interpretato magnificamente da William H. Macy), puntando su alcuni presupposti ben precisi: raccontare i disabili come persone non determinate dal loro handicap, riconoscere che esistono “stili” infiniti nell’essere disabili e nei modi di aiutarli (i volontari che si occupano negli anni di lui) e soprattutto non rimuovere la loro sessualità. Lewin è bravo a trasferire il tutto nella messa in quadro e nella messa in scena, valorizzando al massimo il potenziale empatico della storia senza però calcare la mano su certe dinamiche. La regia è sobria, misurata ma non priva di slanci tecnici. La coppia formata da Helen Hunt e John Hawkes arricchiscono con le loro splendide e toccanti performance il testo di Lewin, che a sua volta li mette nelle condizioni di rendere al meglio l’alchimia innescata tra i due personaggi, non a caso giustamente insigniti delle nomination all’Oscar (Hunt) e ai Golden Globe (Hawkes).
RARO perché… un film su sesso e disabilità?!

Voto: * * * *

Francesco Del Grosso