Scheda film

Regia: Lorraine Lévy
Soggetto: Noam Fitoussi
Sceneggiatura: Noam Fitoussi, Lorraine Levy, Nathalie Saugeon
Fotografia: Emmanuel Soyer
Montaggio: Sylvie Gadmer
Scenografia: Miguel Markin
Costumi: Valérie Adda
Musiche: Dhafer Youssef
Francia, 2012 – Dramma – Durata: 105′
Data di uscita: 14-03-2013
Cast: Emmanuelle Devos, Pascal Elbé, Jules Sitruk, Mehdi Dehbi, Areen Omari, Khalifa Natour, Mahmud Shalaby
Uscita: 14 marzo 2013
Distribuzione: Teodora Film e Spazio Cinema
Sale: 30

 Al di là del muro cosa c’è?

I figli sono di chi li genera (e/)o di chi li cresce?
Quante volte abbiamo ascoltato questa domanda nei dibattiti sulla fecondazione assistita, sulle adozioni o semplicemente sulla difficoltà umana insita nel rapporto genitori-figli e ognuno di noi cerca una risposta in cuor suo da figlio e/o da genitore qual è. Ma se a distanza di tempo, a circa diciottanni si scoprisse di esser stati scambiati dall’infermiere di turno?
Detta così potrebbe apparire come un preambolo a una commedia grottesca; non è certamente questo il tono de Il figlio dell’altra, l’ultimo lungometraggio di Lorraine Lévy che nei suoi precedenti film ha usato, invece, i toni della commedia. Noi, dal canto nostro, volevamo stuzzicarvi una riflessione e incuriosirvi sul film della regista francese, la quale con delicatezza sviluppa un forte tema scegliendo come protagoniti l’israeliano Joseph (Jules Sitruk) e il palestinese Yacine (Mehdi Dehbi) con le loro rispettive famiglie.
Per puro caso, effettuando la visita per il servizio di leva, Joseph scopre che il suo gruppo sanguigno non corrisponde con quello dei genitori; è Orith (Emmanuelle Devos), sua madre, ad andare a fondo di questa incongruenza. Durante la Guerra del Golfo, per i bombardamenti su Haifa, dove vivevano sia ebrei che arabi, Joseph è stato scambiato per errore con Yacine, palestinese dei territori occupati in Cisgiordania. La scena dell’incontro tra le due coppie di genitori trasmette tutto lo scombussolamento emotivo che una notizia del genere comporta, in particolare i due padri, Alon (Pascal Elbé) e Saïd (Khalifa Natour), si trattengono nelle reazioni e i due interpreti sono molto bravi nell’esprimere quel loro bollire dentro. Dall’altro lato ci sono le due madri, Orith e Leïla (Areen Omari), due donne che con dignità si scambiano la foto dei figli, poche parole, a parlare sono i volti e i gesti.
La Lévy costruisce insieme alle cosceneggiatrici (Nathalie Saugeon e Noam Fitoussi) una drammaturgia capace di non scadere nel retorico – rischio dietro l’angolo quando si deve fare i conti con un conflitto bellico (e non solo) come quello israeliano-palestinese, seppur in questo caso sullo sfondo. Ci emozioniamo perché Il figlio dell’altra colpisce al cuore pur partendo da quello che potrebbe apparire come un paradosso com’è lo scambio dei neonati dopo la nascita.
Il figlio dell’altra, forte anche dell’insegnamento dell’autore Amos Oz, ci dimostra come il rapporto instauratosi tra Joseph e Yacine grazie a una progressiva ricerca di se stessi, delle proprie radici e dell’altro nasca da un incontro umano e non da chissà quali congetture politiche.
Nella visione della Lévy il ruolo della donna assume un’importanza determinante nella presa di consapevolezza dei mariti rispetto al fatto che la vita sia dei ragazzi tanto che sono le due madri a veicolare al proprio figlio la notizia appena scoperta mentre sia Alon che Saïd digeriscono e assistono al momento rivelatore e saranno sempre le madri a organizzare l’incontro tra le due famiglie.
«Io sono quello che voglio» afferma Yacine, ma non è una forzatura immaginare che anche Joseph l’abbia pensato tra le tante domande che gli si affollavano in testa o che sottoponeva al rabbino nell’iniziale confusione dell’appartenenza religiosa dopo aver saputo che la sua madre naturale è araba. Yacine e Joseph sono come due metà, l’una complementare all’altra, proprio come se il muro divisorio tra i due popoli venisse abbattuto e si compenetrassero. La Lévy ci restituisce visivamente questa suggestione con una panoramica a 180° in cui Yacine è a destra del quadro, dopo meno di un’ora con un’altra panoramica completiamo il “giro” con Joseph a sinistra dell’inquadratura.
Strada facendo, valicando il confine innalzato da uomini, Yacine e Joseph scoprono che «l’identità non è solo un certificato di nascita» perché la si costruisce mattone dopo mattone, con l’incontro e il dialogo.
Con uno stile morbido la Lévy segue i piccoli grandi uomini della nostra storia in un percorso di formazione che abbraccia i giovani ragazzi e gli adulti, accompagna noi spettatori nell’incontro con una cultura altra propinataci spesso solo in chiave conflittuale durante i servizi al tg. Grazie alle riprese con macchina a mano ci sembra di essere fisicamente alle spalle e accanto a Joseph quando cerca la casa degli Al-Bezaaz e al contempo avvertiamo una certa inquietudine durante la sequenza notturna in cui da un lato Alon, dall’altro Bilal e Joseph costeggiano il muro che separa gli israeliani dai palestinesi.
Di fronte a una rivelazione che sconvolgerebbe chiunque, Il figlio dell’altra mette in scena e in discussione come le barriere possono essere attraversate anche se questo comporta dolore, ma in fondo è il prezzo da pagare per crescere.

RARO perché… già, perché?!

Voto: * * *½

Maria Lucia Tangorra

 #IMG#Due anime divise in quattro

L’adolescente Joseph (Jules Sitruk), ebreo residente a Tel Aviv, quando si reca alla visita di leva, che espleta per rispetto nei confronti del padre Alon (Pascal Elbé), alto membro dell’esercito, riceve un’inattesa sorpresa: il suo gruppo sanguigno non sembra corrispondere a quello dei propri genitori. Lo stupore nasconde però un’amara verità: la notte della sua nascita, a causa dei bombardamenti in vicinanza dell’ospedale, fu scambiato con un altro bambino, il vero figlio di quelli che ha fin lì ritenuto i suoi genitori, Yacine (Mehdi Dehbi), cresciuto in Palestina con quella che sarebbe dovuta essere la sua famiglia. Una volta riunitisi, padri e madri avranno l’arduo compito di comunicare il reale stato delle cose ai propri figli. Ma chi è veramente figlio di chi? E saranno in grado le due coppie di recuperare quasi venti anni di vuoto, simbolo di decenni di conflitto tra le due fazioni? Tra incredulità e discussioni, aspri confronti ed una disperata volontà di comprendere, i due ragazzi per primi tenteranno la via di un dialogo apparentemente impossibile…
L’ebrea Lorraine Lévy ha qui un’intuizione doppiamente geniale: quella dello scambio di esistenze e di destini, che a sua volta racchiude una metafora, la quale annulla già in nuce le annose tensioni israelo-palestinesi. Il suo significato è universale, ricordandoci che, qualunque esso sia, siamo tutti figli dello stesso dio e pure esseri umani, prima che individui rappresentati da etichette o razze, empiricamente catalogate, o ancora da religioni fabbricate da noi uomini.
Grazie all’ottima sceneggiatura scritta dalla regista insieme a Nathalie Saugeon e Noam Fitoussi (e supervisionata dallo scrittore algerino Yasmina Khadra, padre spirituale del film insieme all’israeliano Amos Oz, il cui libro “Imaginer l’autre” è stato distribuito a tutta la troupe), su un soggetto di Fitoussi, il conflitto diventa subito epidermico, quando ad esempio il fratello di Yacine (in realtà quello biologico di Joseph), appena appresa la novità, inizia ad odiare quello che per tutta la vita ha ritenuto sangue del suo sangue. Emergono così le prime tra le innumerevoli contraddizioni di una questione ben lungi dal risolversi, ma alla quale la pellicola può donare un minimo quanto importante contributo. In questo scenario, come già sintetizza il titolo, a salvare la situazione saranno le madri e i figli: le donne, che capiranno per prime di avere in realtà un dono, ossia una doppia prole, di non aver quindi perso niente, bensì di aver guadagnato qualcosa, anzi qualcuno; i ragazzi, che sembrano racchiudere dentro le loro giovani vite la speranza per il futuro.
Altra arma della Lévy, oltre alla metafora, è l’ironia, che pervade e rafforza una vicenda drammatica, ma paradossale, come nel momento in cui alla fine a Joseph chiedono se i suoi genitori sono stati avvisati dell’incidente occorsogli – che ha riunito per l’occasione tre fratelli-non-fratelli – e lui risponde: “Quali?”. La sua abilità registica inoltre le consente di osservare pudicamente gli avvenimenti, come anche di prodursi ad esempio in ampi movimente di macchina, compreso un paio di panoramiche a 180° gradi, una verso l’inizio della storia su Yacine e l’altra nel finale su Joseph, facendo così dei due ragazzi due metà di una stessa, unica persona.
Tra confini materiali ed immateriali, conferme e smentite, ne Il figlio dell’altra si piange e si ride, ma soprattutto ci si commuove, in un clima di costante tensione emotiva e drammaturgica, ben sostenuto dal meltin’pot linguistico fatto di ebraico, arabo, inglese e francese, cui l’ottimo cast contribuisce abilmente, ma che il doppiaggio italiano è purtroppo destinato ad appiattire in favore del solo nostro idioma. Un film da non perdere, soprattutto in versione originale sottotitolata.

Voto: * * * *

Paolo Dallimonti

Alcuni materiali del film:

Yacine sarà sempre tuo fratello
Le due madri
Joseph e sua madre

Clip1
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Trailer