Scheda film

Regia: Aida Begic
Soggetto: Aida Begic
Sceneggiatura: Aida Begic
Fotografia: Erol Zubcevic
Montaggio: Miralem Zubcevic
Scenografie: Sanda Popovac
Costumi: Sanja Dzeba
Suono: Igor Camo
Bosnia-Erzegovina/Germania/Francia/Turchia, 2012 – Drammatico – Durata: 90′
Cast: Marija Pikic, Ismir Gagula, Nikola Duricko, Stasa Dukic, Velibor Topic
Uscita: 3 Gennaio 2012
Distribuzione: Kitchen Film
Sale: 3

 La memoria negli occhi

Superare una guerra non è facile, se poi sei orfana, poco più che ventenne e con un fratello quattordicenne scapestrato a cui badare, lo è ancor meno. Rahima e Nedim sono sopravvissuti alla guerra in Bosnia ma la guerra la portano negli occhi. Specialmente lei, il cui volto è protagonista assoluto della pellicola. Buon anno Sarajevo, presentato al 65° Festival di Cannes nella sezione “Un Certain Regard”, è l’opera seconda della talentuosa regista Aida Begic, nata e residente proprio a Sarajevo. Sniijec (neve), il primo film della Begic, narrava di un gruppo di donne che avevano perso i loro uomini durante i massacri in Bosnia orientale, la storia seguiva la loro lotta per la sopravvivenza dopo la guerra, nel 1997. “Durante lo sviluppo di Snijeg”, racconta la regista, “abbiamo parlato molto di ciò che chiamiamo ‘il sogno bosniaco’. In quel momento credevamo nella ricostruzione della nostra società. Quando ho pensato al soggetto del mio secondo film, ho cercato di capire la società attuale e mi sono resa conto che oggi non crediamo più nella ricostruzione e abbiamo sostituito i nostri sogni con i nostri ricordi. La Bosnia è in un periodo di transizione che non arriva a compimento da sedici anni, viviamo ancora in un infinito presente e abbiamo sempre paura del futuro”.
La necessità di raccontare questo spaesamento è la peculiarità del film, l’intimità della narrazione è data dall’uso quasi esclusivo della macchina a mano che, sostanzialmente, segue senza sosta Rahima nella sua quotidianità restituendoci una Sarajevo filtrata dagli occhi e la memoria della protagonista. Perchè gli occhi di Rahima contengono la memoria di quello che ha vissuto: la guerra, la perdita dei genitori, la scelta di convertirsi all’islamismo e ciò che questo comporta, ossia discriminazione. Come lei viene emarginata a causa del velo, così suo fratello viene deriso e picchiato a scuola in quanto orfano. Nel ristorante dove lavora, la ragazza vive una situazione di stramba familiarità, ognuno, a modo suo, si differenzia dalla norma sociale: il capocuoco appartiene alla minoranza croata ed è omosessuale, il cameriere Dino è drogato, Vedrana, la proprietaria del ristorante ha perso la custodia dei figli a causa del marito, radicale wahabita. Nelle mura domestiche, invece, sembra che Rahima non riesca a fare con Nadim l’unica cosa di cui entrambi avrebbero bisogno: oltrepassare il muro del silenzio. Non è detto che la soluzione sia ricordare e se andare avanti sia possibile è un interrogativo troppo doloroso. Restare uniti mentre tutto si sgretola, però, quello è necessario. E l’unico momento in cui la ragazza riesce ad avvicinarsi al fratello è proprio quando sceglie di ribellarsi a quel dolore cristallizzato che impediva ad entrambi di agire. Con un bel pugno anche il dolore può arrivare a spezzarsi e, da lì, forse, si può iniziare a respirare.

Voto: * * * *

Laura Sinceri