Scheda film
Regia: Gabriele Salvatores
Soggetto: tratto dell’opera lettararia di Nicolai Lilin
Sceneggiatura: Rulli e Petraglia, Salvatores
Fotografia: Italo Petriccione
Monyaggio: Massimo Fiocchi
Scenografia: Rita Rabassini
Costumi: Patrizia Chiericoni
Musiche: Mauro Pagani
Italia, 2013 – Drammatico – Durata: 110′
Cast: John Malkovich, Arnas Fedaravičius, Vilius Tumalavičius, Eleanor Tomlinson, Peter Stormare, Jonas Trukanas, Vitalji Poršnev
Uscita: 28 febbraio 2013
Dsitribuzione: 01 Distribution
Liberamente tratto dall’omonimo romanzo d’esordio di Nicolai Lilin…
Liberamente tratto dall’omonimo romanzo d’esordio di Nicolai Lilin, viluppo inestricabile di fiction e autobiografia, Educazione Siberiana è un tentativo, imperfetto ma comunque coraggioso, di uscire dall’angusto provincialismo che affligge da decenni il cinema italiano. Il problema è che non si potrebbe immaginare un regista meno adatto di Gabriele Salvatores per tratteggiare sullo schermo in maniera credibile i “criminali onesti” della Transnistria, discendenti dei siberiani deportati da Stalin negli anni ‘30. E’ risaputo come alcune cose vadano perdute durante il processo di trasposizione dal romanzo alla sceneggiatura, ma nel caso specifico quello che si perde sono le asperità e le crudezze del testo originale, edulcorate dal tocco fin troppo “gentile” e conciliatorio di Salvatores, tanto più evidente quanto più il regista si impone di essere ruvido. Quello che si acquista, invece, è uno sguardo forzosamente alieno sugli avvenimenti narrati, che fa scivolare il film nel folcloristico e nell’artificioso. Circola, insomma, un forte sentore di finzione, come se l’impatto con una realtà tanto diversa possa essere risolto solo accentuando l’inverosimiglianza della messa in scena. La distanza geografica e culturale diventa un handicap oneroso, e non si riesce a credere nemmeno per un attimo a questo “turistico” romanzo di formazione criminale, in cui gli elementi salienti (il significato dei tatuaggi, la mistica delle armi, la diffusa religiosità, un’etica alternativa al potere costituito) vengono affrontati con sconcertante superficialità, e risse e omicidi risolti con impaccio evidente.
Gli sceneggiatori Rulli e Petraglia individuano, in un libro dalla struttura fortemente episodica, una linea narrativa che gli permette di portare a casa il risultato, contrapponendo al protagonista Kolima l’amico/nemico Gagarin. Entrambi cresciuti nella comunità degli Urca siberiani di Fiume Basso, una comunità ristretta e gelosa delle proprie tradizioni, nel corso del tempo si allontaneranno l’uno dall’altro, finchè la loro amicizia arriverà a un drammatico punto di svolta. Questo permette di seguire i due protagonisti nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza, e poi all’età adulta; tre fasi dell’esistenza a cui corrispondono epoche storiche assai differenti, considerando che nel frattempo si verificano mutamenti epocali quali la caduta del muro di Berlino e la dissoluzione dell’Unione Sovietica, tre momenti a cui Salvatores fa corrispondere diversi registri narrativi, che però stentano ad amalgamarsi l’uno con l’altro. Kolima è ligio alle tradizioni culturali e all’etica dei siberiani, di cui è massimo depositario il patriarca nonno Kuzja, mentre Gagarin crede solo al profitto e al potere del denaro, e non esita a mescolarsi ai criminali di Seme Nero, la nuova mafia immune agli scrupoli morali. In una società arcaica in procinto di scomparire sotto l’urto della globalizzazione, l’attaccamento di Kolima agli insegnamenti ricevuti contiene in sé i germi della malinconia che si riserva alle cose perdute, mentre il cinico laicismo di Gagarin appare assai più adeguato al mondo che verrà. L’etica rigorosa e conservatrice dei “criminali onesti” è infatta destinata a svanire, a sfaldarsi in contemporanea con il crollo delle ideologie, dato che solo in presenza di un’ideologia dominante e condivisa è possibile elaborare delle norme antagoniste. Nel rapporto tra Kolima e Gagarin s’inserisce un terzo personaggio, quello di Xenja, la “voluta da Dio”, la quale diventerà suo malgrado l’elemento destinato a innescare il conflitto tra i due protagonisti. E qui Salvatores mostra una certa propensione all’epica, almeno sulla carta, perché in fin dei conti si tratta di un’epica azzoppata e con il fiato corto, azzerata da inquadrature sciatte e asfittiche, dal sapore più televisivo che cinematografico. Nelle intenzioni si aspira a David Lean o a Sergio Leone, citati dal regista in conferenza stampa, ma poi ci si ritrova, senza colpo ferire, dalle parti di Alberto Negrin e Giacomo Battiato.
Questo non significa che in Educazione Siberiana sia tutto da buttar via. Salvatores indovina alcune sequenze suggestive, quali lo straripamento notturno del fiume, l’ingresso nella prigione o la scena fin troppo simbolica della giostra accompagnata dalle note di “Absolute Beginners”, che però si sente in dovere di vanificare con un ralenti che grida vendetta, così come rattrista per ovvietà l’insistita sequenza dei colombi in volo (sempre al ralenti), già bella e pronta per uno spot del Mulino Bianco (siberiano). Un’altra nota dolente è quella della scelta del protagonista, che soggiace alle consuete logiche edulcoranti del cinema italiano. Il marmoreo e impassibile Arnas Fedaravičius sembra reduce da una sfilata di moda più che dalle fatiscenti costruzioni sovietiche di Fiume Basso, un po’ come se Winding Refn avesse deciso di far interpretare la trilogia di Pusher a modelli di Dolce&Gabbana. A forza di smussare gli spigoli, insomma, si rischia di ritrovarsi al cospetto della piattezza assoluta, e a poco valgono gli sforzi di uno ieratico John Malkovich o della luminosa Eleanor Tomlinson. Tra l’altro il doppiaggio italiano, tranne che per Malkovich, lascia molto a desiderare e si rimane con la blanda curiosità di vedere il film nella versione originale. Dispiace che Salvatores abbia fallito, ma gli si rende onore al merito per il tentativo. E intanto ci si domanda oziosamente cosa avrebbe tirato fuori dal libro di Lilin un regista come il finlandese Antti Jokinen, che con il potentissimo e pluripremiato Purge (2012), ambientato nella Lituania prima sovietica e poi post sovietica, aveva frequentato territori consimili con ben altra urgenza e verosimiglianza.
Voto: * *¾
Nicola Picchi
#IMG#Un’educazione “sentimentale” tutta particolare
«Meglio prendere un sasso in testa a dieci anni e una coltellata a sedici, che una pallottola in testa a venti».
«Un uomo non può possedere più di quanto il suo cuore possa amare».
Per quanto apparentemente scollegati, abbiamo voluto accostare simmetricamente il detto russo a un insegnamento di nonno Kuzja (John Malkovich) per esemplificare subito l’ossimoro insito nell’educazione siberiana ed immergervi nella contraddizione umana – e culturale – che Gabriele Salvatores ha cercato di mettere in scena in Educazione siberiana. Per quanto l’ultima pellicola del regista premio Oscar sia tratta dal libro omonimo di Nicolai Lilin (edito da Einaudi nel 2009), ci preme sottolineare che non si tratta di una trasposizione pagina per pagina e questo non è necessariamente un difetto, tanto più se lo stesso autore del romanzo sceglie di mettere da parte il proprio ego di scrittore per creare una storia ex novo messa sottoforma di sceneggiatura cinematografica da Stefano Rulli, Sandro Petraglia e dallo stesso Salvatores. Quello che è innanzitutto apprezzabile dell’operazione cinematografica è l’ennesima messa in gioco del regista milanese, sempre pronto a sperimentare, a frequentare nuovi generi provando anche l’avventura di lavorare con un cast internazionale senza però venir meno all’eleganza che lo ha contraddistinto nella sua carriera (vedi, per esempio, il modo di mettere in scena la violenza che può arrivare a prenderti di pancia, ma senza mai essere esibita per mero “piacere” estetico o esercizio di stile).
Non si può negare che a ipnotnizzare nell’impatto col primo fotogramma sia la fotografia curata da Italo Petriccione, suggestiva nel rendere un mondo così lontano da noi, quasi affabulatoria nello sfruttare il potere delle immagini che ben sanno esprimere il mistero di una cultura “altra” raccontando più di tante parole.
Kolima (Arnas Fedaravicius) e Gagarin (Vilius Tumalavicius) vivono in una città-ghetto per criminali di varie etnie, intorno respirano il clima della Madre Siberia, ma in questo locus – a suo modo “horridus” – si viene allevati come “criminali onesti”. Un altro ossimoro, un’altra contraddizione, eppure anche i “criminali onesti” hanno un cuore, a modo loro, secondo la loro legge – non possono possedere soldi in casa, non portano rispetto verso la polizia, i banchieri e gli usurai – e secondo la legge della giustizia fai da te.
Due bambini crescono insieme, condividendo lo stesso codice d’onore, poi qualcosa si sgretola dentro uno di loro insieme alla caduta del Muro e le prospettive cambiano proprio come il mondo intorno a sé. Dentro una comunità in cui si vive come se si fosse un branco, nasce teneramente un amore impossibile col bel personaggio di Xenja (Eleanor Tomlinson), la figlia del dottore con gravi problemi psichici (da loro è vista come «voluta da Dio»), una bambina racchiusa in un corpo da donna. Col dipanarsi degli eventi Xenja finisce per rivelarsi un capro espiatorio e sarebbe stato bello approfondire ancor più ciò che l’elemento femminile e di purezza scatena in Kolima e Gagarin.
In una costruzione narrativa che interseca vari piani temporali (l’infanzia dei protagonisti, prima della caduta del Muro di Berlino, i loro vent’anni e gli episodi tra le montagne del caucaso nel ’97) ci si sarebbe potuti perdere, ma non è questo il caso – onore al merito al montaggio (Massimo Fiocchi) e alla scelta di sottolineare i diversi momenti di vita con stili di ripresa caratterizzanti sempre in unione con la fotografia. Un incastro riuscito anche se probabilmente Educazione siberiana non spicca completamente il volo come i colombi che nonno Kuzja libera, ma esprime il potenziale di una storia “altra” grazie a una messa in quadro all’altezza di Salvatores, il quale, conoscendolo, saprà trarre frutto per superare ulteriormente i propri limiti in una nuova impresa internazionale.
A conti fatti è forse inevitabile che emerga meno la visione personale del regista in quanto si pone a servizio di uno sguardo altro (e certo lo aveva fatto anche nel caso di Ammaniti con Come Dio comanda e Io non ho paura) e, facendo un passo in più, di una cultura altra, che non gli appartiene direttamente e che ha provato ad avvicinare coi propri modi e mondi di indagine artistica marcando ancor più il tratto di romanzo di formazione.
Ci piace pensare che il regista di Mediterraneo abbia voluto con la sua artisticità intagliare nello schermo (sarebbe più romantico dire sulla pellicola) i percorsi di questi due ragazzi pensando al maestro Ink (un magistrale Peter Stormare) che insegna a Kolima come scrivere la storia personale sul proprio corpo e quello dell’altro (di qui l’importanza dei tatuaggi). Educazione siberiana ci ha restituito la nostalgia di un mondo che è stato (vedi la Russia del Comunismo), ci ha avvolto un po’ nel mistero di quei paesaggi e delle luci-ombre degli uomini e ci ha attraversato anche con temi universali che ci auguriamo possano penetrare ancora più in profondità magari col prossimo film. Resta un affresco interessante, capace di incuriosirci nello scoprire tempi e mondi distanti dal nostro cantuccio.
Voto: * * *½
Maria Lucia Tangorra
Alcuni materiali del film:
DOWNLOAD Clip ‘Rissa’
DOWNLOAD Clip ‘Fiume’
DOWNLOAD Backstage
DOWNLOAD Featurette ‘Ink’
DOWNLOAD Featurette ‘Colonna Sonora’
DOWNLOAD Clip ‘Kolima e Gagarin’
DOWNLOAD Clip ‘Xenja’
DOWNLOAD Clip ‘IL ruolo dell’attore’
DOWNLOAD Clip ‘Nonno Kuzja’
DOWNLOAD Clip ‘Valori Educazione Siberiana’
DOWNLOAD Clip ‘Il lavoro degli stunt’