Scheda film

GIURIA
Jeff Nichols – PRESIDENTE
Timnur Bekbambetov
Valentina Cervi
Chris Fujiwara
Leila Hatami
P. J. Hogan
Egardo Cozarinsky

 

Eccola, finalmente è arrivata la nuova Festa del Film di Roma che, per l’occasione, riacquista la dignità, almeno nominale, di Festival. Merito del suo nuovo curatore, Marco Müller che, andato via da Venezia, ha subito puntato verso la capitale, sovvertendo l’establishment precedente, che vedeva al suo posto Piera Detassis. Chi è meglio, chi è peggio? Lo scopriremo. Certo è che la direttrice di Ciak stava cercando di dare una forma a questa manifestazione, nata nel 2006 per volontà dell’allora sindaco Walter Veltroni, noto cinepatico, forma nella quale Muller è intervenuto come una palla da bowling dritta sui birilli. Vedremo come andrà a finire.
Il primo film, Fuori Concorso, ad aprire il Festival quest’anno è V OZIDANII MORJA (Russia, 2012) di Bakhtiar Khudojnazarov, tradotto in italiano come Aspettando il mare. La storia è quella del marinaio Marat che, persi moglie ed equipaggio in una tempesta di sabbia che s’è portata via il mare, torna, malvisto, nel villaggio originario dopo aver scontato la pena che la giustizia gli ha comminato, col desiderio di riportare in acqua la propria nave. Definito il Kusturica centrasiatico, il regista tagiko delude alquanto le aspettative, con un film che parte bene, poi promette, quindi non mantiene, disperdendosi in mezzo a scelte narrative non proprio felici, non riuscendo a creare empatia tra personaggi e spettatori.
In giornata sono passate anche tre opere portoghesi o, meglio, sette cortometraggi ed un lungo, che trovano ragione d’esistere nelle celebrazioni per Guimarães, sita nel distretto di Braga, eletta a città della cultura 2012.
I primi quattro, riuniti sotto il titolo CENTRO HISTÓRICO (Portogallo, 2012), vedono le firme celebri di Aki Kaurismaki, Pedro Costa, Víctor Erice e dell’immancabile centenario Manoel De Oliveira: il regista finlandese con “O tasqueiro” regala una consueta perla della sua arte in un segmento pressoché muto, protagonista il suo attore abituale Ilkka Koivula, che vede un insolito barista confrontarsi col fallimento della propria “arte”; Pedro Costa dirige il secondo, lunghissimo ed insopportabile “Sweet Exorcism”, con protagonista un anziano uomo di colore, ormai prossimo alla morte, che fa i conti col proprio passato; Erice invece si dedica con “Vidros Partidos” alla cronaca documentaria di una fabbrica di filati ormai chiusa da una decina di anni, lasciando parlare molti degli ex-lavoratori; infine “O conquistador conquistado” di Manoel De Oliveira è un piccolo gioco, ma molto gustoso che mostra come i turisti abbiano ormai devastato tutto, persino la Storia di cui sono golosi. Sul podio, nell’ordine: Erice, Kaurismaki, De Oliveira; mentre Costa è non classificato o, meglio, non classificabile.
Gli altri tre cortometraggi, cui è stato appiccicato il titolo “Historias de Guimarães”, godono invece di vita autonoma, pur essendo davvero poco digeribili. Concepiti anch’essi al fine di illustrare le bellezze della cittadina, tradiscono – come tutti e sette i film di quest’angolo portoghese – il loro concepimento “su commissione”: O dom das lágrimas di João Nicolau racconta di un cacciatore che incontra una principessa che non riesce a smettere di piangere; O bravo som dos tambores di João Botelho illustra le Feste Nicoline, tipico rituale locale, che hanno come colonna sonora il battito di rumorosi tamburi, un toccasana per il mal di testa; infine il meno dispiacevole è Vamos tocar todos juntos para ouvirmos melhor, in cui a partire dalle campane di chiesa tutta la città risuona di note e canti, in un vivace inno alla vita.
L’ultimo, il vero lungometraggio, è O FANTASMA DO NOVAIS (Portogallo, 2012) di Margarida Gil, che, attraverso il pretesto della ricerca della laureanda Ana ripercorre l’esistenza di Joaquim Novais Teixeira (1899-1972), fine intellettuale portoghese, originario di Guimarães, ma vissuto per gran parte della sua esistenza in esilio, tra il Brasile e Parigi. Attraverso interviste a persone che lo hanno conosciuto, si delinea la curiosa ed interessante figura di un uomo dall’inguaribile sorriso, che amava tanto il baccalà quanto il cinema.
#IMG#La giornata si conclude con il primo film in concorso: l’anteprima mondiale di LESSON OF THE EVIL (Aku no kyôten, Giappone, 2012, foto a lato) di Takashi Miike, in uscita domani stesso in patria, che riceve dal pubblico in sala Sinopoli una vera e propria ovazione. Basato sul romanzo di Yûsuke Kishi, la pellicola del genietto dell’horror nipponico è di quelle toste. Racconta la storia di un insegnante di inglese, il prof. Seiji Hasumi, brillante e ben voluto dagli studenti, come anche dal corpo docente, al quale propone ogni volta nuove idee su come risolvere i problemi che si presentano via via. A dubitare di lui sono alcuni studenti redarguiti dal giovane docente ed il grigio ed invidioso prof. Tsurii, che trova delle singolari discrepanze nel suo curriculum. Ma la vera natura dell’amato professore non tarderà a manifestarsi. Miike non ha regole e gioca con tutto, compresi Brecht (colonna sonora delle imprese di Hasumi è “Mack the knife”) e la mitologia scandinava: impiega un’ora a preparare il terreno di gioco, lanciando indizi (volutamente) confusi, mischiando un po’ le carte, poi le scopre, svelando la verità sul suo protagonista, regalandoci momenti preliminari di splatter, per poi confinare nell’ultima mezzora un vero e proprio bagno di sangue a suon di fucilate, che non sembra risparmiare (quasi) nessuno e che si manifesta anche attraverso sequenze magistrali come quella del duello tra arco e fucile, che sembra orecchiare la massima leoniana sulla superiorità tra loro delle armi da fuoco (“Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un uomo morto”). Sicuramente il miglior film di oggi (non è che ci volesse molto…), ma anche un sicuro osso duro per le altre pellicole in concorso, sempre che la giuria voglia osare…

 2 Giorno

Dopo l’inizio non del tutto felice di ieri, stamattina il Festival inizia meglio, con BABYGIRL (USA/Irlanda, 2012) di Macdara Vallely, storia della quindicenne Lena, ragazzina di origine portoricana che vive nel Bronx insieme alla mamma e ad un altro figlio della donna, nato da poco, e ai vari uomini che passano per il suo letto. Quando l’ultimo fidanzato inizia a provarci con lei, Lena si troverà al centro di un pericoloso triangolo, per uscire dal quale dovrà confrontarsi col proprio doloroso passato. Un film secco ed asciutto, che fa della giovane protagonista, l’esordiente Yainis Ynoa, il suo punto di forza: una vera e propria donna/bambina, pronta a tutto, ma che pure dolcemente si fa travolgere dal peso di una situazione poco sostenibile. Pur con qualche incertezza, un film interessante.
Nel pomeriggio tocca al “Film di Panorama Italiano… a sorpresa”. E la sorpresa c’è davvero: dopo una lunga fila, gli accreditati stampa (e non solo) ricevono la lieta notizia che, a causa di moltissimi inviti (durante l’attesa sono sfilati davanti a noi mezzo cinema e mezza televisione italiani), non c’è posto in sala per noi! Chi scrive si rassegna, si fa un mezzo giro e, mentre sta per andare via, capisce che qualcuno è riuscito ad entrare… scorge qualche faccia a lui nota della stampa e… miracolosamente riesce ad entrare anche lui! Sorte che non gli sorriderà però nel tardo pomeriggio con Carlo!, documentario su Verdone, che, dopo un’ancora più lunga coda non riuscirà a vedere.
Ma qual era il film in questione? Si trattava di BENÚR (Italia, 2012) di Massimo Andrei, prima noto col titolo di “Gladiatori”, poi cambiato probabilmente per la concomitanza con il film d’animazione della Rainbow, commedia tratta dall’opera teatrale di Gianni Clementi che racconta con piglio ironico le vite dei moderni “gladiatori”, ossia quei signori che a Roma si aggirano prevalentemente intorno al Colosseo, vestiti da antichi romani, per lasciarsi fotografare naturalmente dietro compenso dai numerosi turisti che ogni giorno visitano la capitale. Uno di questi è Sergio, ex-stuntman che si arrabatta per arrivare alla fine del mese, un matrimonio fallito alle spalle ed una sorella, Maria, che arrotonda prestando la sua voce ad una chat telefonica a sfondo erotico. Quando nelle vite dei due piomba Milan, un immigrato clandestino originario della Bielorussia, bisognoso d’aiuto e pieno di idee, la vita per i due sembra cambiare in meglio. Ma l’invidia di alcuni colleghi di Sergio, metteranno al trio i bastoni tra le ruote…
La commedia si regge soprattutto sull’interpretazione ed i tempi comici di Nicola Pistoia, nei panni di Sergio, che ben interagisce con Elisabetta De Vito e con l’ottimo Paolo Triestino (Milan), ma il film, pur se regala numerose risate ed in sala ha scatenato diversi applausi a scena aperta, sembra rimasto fermo agli anni cinquanta. Pur non dimenticando la multiculturalità ed essendo aggiornato a questi tempi di crisi, appare come una commedia d’altri tempi, concedendosi molte ingenuità ed un finale eccessivamente buonista e chiaramente appiccicato. Come sorpresa sarebbe potuta essere migliore…
Più tardi è il momento di Paul Verhoeven che incontra gli spettatori del Festival dopo aver presentato la sua ultima creazione, il mediometraggio STEEKSPEL (Olanda, 2012). Pur dall’alto dei suoi 74 anni, il regista di Robocop non ha perso il gusto per la sperimentazione, poiché il suo film è nato dall’apporto di internet in fase di scrittura: partendo da 4 minuti di girato e montato, il pubblico ha inviato a lui ed agli sceneggiatori Robert Alberdingk Thijm e Kim van Kooten oltre 2000 video e 700 copioni di possibili continuazioni della storia, che hanno dovuto selezionare e filtrare. Il risultato di questo lavoro enorme ed “orribile”, come lo stesso Verhoeven l’ha definito, è un film spumeggiante, grazie ad una trama intricata e naturalmente piena di invenzioni, quasi una commedia degli equivoci. A partire dalla festa di compleanno del protagonista Remco, si innesca un’irresistibile serie reazioni a catena, in cui ognuno dei personaggi della vicenda nasconde qualcosa. Ritmo elevatissimo, regia più che curata ed interpreti da noi sconosciuti, ma superlativi. Unica pecca è che, sì, l’opera è sperimentale, ma con tutto il materiale che hanno ricevuto i realizzatori avrebbero potuto portare a termine un lungometraggio, anche solo allungando qua e là il copione ottenuto. Ma possiamo anche accontentarci…
#IMG#Dopo il basso livello di ieri, il film che oggi ci ha letteralmente folgorato, al pari del precedente, è MENTAL (USA/Australia, 2012, foto a lato) di P. J. Hogan, decisamente il migliore di oggi. Come l’anno scorso fu per lo spassoso A few good men (uscito poi qui come Tre uomini e una pecora), in soccorso del Festival arriva l’Australia. P. J. Hogan, dopo le più o meno riuscite commedie americane, torna in patria, ritrova l’attrice da lui lanciata Toni Collette (molti chili in meno dopo) e l’anticonformismo appunto de Le nozze di Muriel. Una sorta di remake in acido di Tutti insieme appassionatamente incrociato con “L’elogio della follia” di erasmiana memoria, che vede una famiglia di sedicenti piccole malate mentali, accudite da una madre davvero fuori di testa e trascurate da un padre in politica, essere prese sottobraccio da una simil-tata apparentemente folle, ma in realtà molto lucida. Sotto la guida di una sceneggiatura ben scritta, scopriremo che cosa la giovane donna nasconda realmente, in mezzo ad una valanga di risate, qualche briciolo di commozione, un’irresistibile teoria sulle “vere” origini dell’Australia ed un interessante quanto convincente discorso sul confine tra normalità e psicopatologia.
Chiude la giornata il primo dei film italiani in concorso, ossia ALÌ HA GLI OCCHI AZZURRI (Italia, 2012) di Claudio Giovannesi, che parte da un suo precedente documentario, Fratelli d’Italia, uscito due anni fa, a sua volta nato da un suo mediometraggio, Welcome Bucarest, del 2007, per raccontare in forma di fiction la vicenda di un giovane extracomunitario. Nader (Ashan), preso come personaggio e interprete dal documentario succitato, vive ad Ostia nella periferia a sud di Roma, ha una ragazza contro il volere dei genitori musulmani e va poco a scuola. È un ribelle e si allontanerà da casa, ma insieme all’amico Stefano riceverà una lezione di vita…
Meritorio soprattutto per il lungo lavoro di ricerca documentaria e soprattutto quello sugli attori, tutti non professionisti, il film vive le contraddizioni del protagonista sedicenne, ma a volte non riesce a giustificarle fino in fondo, rimanendone vittima facendo così di Nader un ribelle senza causa, uno che dall’Italia e dall’Islam ha preso solo i vizi. Comunque potabile e degno d’attenzione.

 3 Giorno

an class=”Apple-style-span” style=”color: #000000;”>Oggi nella sezione parallela “Alice nella Città” – quest’anno quasi un’altra manifestazione – passano due film davvero particolari, che hanno una persona in comune. Il primo è MOON MAN (Francia/Germania/Irlanda, 2012) di Stephan Schesch, tratto dal libro illustrato di Tomi Ungerer del 1966, che racconta dell’omino che abita la luna e che solo i bambini possono vedere. Sfruttando il passaggio di una cometa, un giorno decide di attaccarvisi e di scendere con essa sulla terra. Lì susciterà l’interesse di una specie di mega-dittatore mondiale, ma riceverà anche l’aiuto di uno scienziato che riuscirà a farlo tornare sano e salvo sul nostro satellite. Film godibile, anche se dedicato ai più piccoli, ricco di temi interessanti ed impreziosito da un art-work molto agée – è quello originale di Ungerer – che ricorda quello del nostro Emanuele Luzzati. A seguire il documentario FAR OUT ISN’T FAR ENOUGH: The Tomi Ungerer story (USA, 2012) di Brad Bernstein che racconta la vita appunto di… Tomi Ungerer, scrittore per l’infanzia non troppo amato negli USA – per anni nessun libro scritto da lui è stato ospitato da una biblioteca americana – ma pure creatore di grafica, anche erotica. Un uomo contraddittorio e geniale, ancora vivente, nato in Francia ai confini con la Germania, trasferitosi da giovane negli USA ed ormai ritiratosi in Irlanda. Autore di noti libri per bambini, ma anche nei caldi anni sessanta e settanta di loghi di protesta per le Black Panthers e contro la guerra in Vietnam come anche di disegni a sfondo erotico, Ungerer è piacevolissimo da ascoltare, lasciandosi affascinare dai suoi racconti che il regista Brad Bernstein ha saputo mirabilmente fondere con le sue creazioni grafiche, con risultati visivi davvero convincenti.
Nel pomeriggio due recuperi di film saltati ieri, di cui il primo è CARLO! (Italia, 2012) di Fabio Ferzetti e Gianfranco Giagni, documentario dedicato alla persona ed all’arte di Carlo Verdone, di cui ripercorre tutta la carriera, intervistando colleghi, colleghe ed anche i figli. Un ritratto tenero di uno dei registi più malincomici, nato come formidabile interprete comico e poi evoluto, sotto l’egida di Sergio Leone, a regista. Per raccontare Verdone non basterebbe poco più di un’ora come in questo caso, ma una lunga serie televisiva, però il ritratto che ne esce rispecchia la sua vena artistica, con una punta di tristezza, soprattutto nella visita alla casa paterna, ormai dismessa e probabilmente in vendita, e alla comparsa alla festa per i suoi quarant’anni dello scomparso Massimo Troisi. Si ride molto, in particolare al passaggio di brani di suoi film e sketch, ma anche al racconto di aneddoti di chi ha lavorato insieme a lui. Prossimamente in DVD con Feltrinelli.

Il film è preceduto da MONOLOGO, un cortometraggio di propaganda, girato tra il 1948 ed il 1950 ed interpretato da Edoardo De Filippo che si rivolge al pubblico apostrofando “‘o professore” di “Questi fantasmi”, parlando del piano Marshall. Il filmato, molto godibile, che alla fine curiosamente non si pronuncia sulla bontà della misura statunitense in favore dell’Italia – di cui ancora oggi stiamo pagando i danni – lasciando aperta la questione, è stato ritrovato e restaurato dalla Cineteca Nazionale e non si sa bene se fu presentato all’epoca al pubblico. Una ghiotta occasione da non perdere.
Il secondo recupero è LA SCOPERTA DELL’ALBA (Italia, 2012) di Susanna Nicchiarelli, in distribuzione in sala all’inizio del prossimo anno da parte di Fandango. Tratto dal romanzo omonimo di Walter Veltroni, è una specie di Frequency di Gregory Hoblit “de’ noantri” che tocca però un tema caldo come il terrorismo nel nostro paese. A trent’anni dalla scomparsa del padre, professore universitario rapito dalle BR e svanito nel nulla, Caterina (Margherita Buy) scopre nella vecchia casa al mare, appena messa in vendita, un telefono misteriosamente ancora funzionante. Quando, quasi per gioco, compone il numero della casa a Roma in cui abitava insieme alla sorella Barbara ed ai genitori, le risponde una bambina. È se stessa tre decenni prima e con la sua collaborazione, spacciandosi inizialmente per una zia, cercherà in ogni modo di farsi aiutare a salvare il padre…
Se si perdonano e dimenticano alcuni giganteschi paradossi temporali (uno su tutti: se Caterina riesce a far recuperare nel 1981 la borsa del padre, nascosta per dispetto all’epoca dalla sorella in cantina, come fa poi lei a trovarla nel 2011?!), il film funziona pure ed affascina, mantenendo un discreto ritmo, seminando alcune false piste e utilizzando alcune efficaci valvole di sfogo ironiche come gli stralunati personaggi di Sergio Rubini e Gabriele Spinelli. Fa piacere ritrovare inoltre Renato Carpentieri e Lina Sastri, quest’ultima ancora una volta nei panni di una terrorista come in Segreti segreti del compianto Bertolucci jr.
Il film della Nicchiarelli è stato preceduto da due corti: il primo, IL TURNO DI NOTTE LO FANNO LE STELLE (Italia/USA, 2012) di Edoardo Ponti (uno dei figli di Sofia Loren), vede tre piacevoli ritorni (Enrico lo Verso, Nastassja Kinski e Julian Sands) per una storia scritta e sceneggiata (e pure interpretata) dallo scrittore Erri De Luca che parla di montagna e trapianti di cuore; il secondo, poco più di un gioco, è ESCA VIVA (Italia, 2012) ancora di Susanna Nicchiarelli, un brevissimo film d’animazione in cui un pesce piccolo (doppiato da Claudia Pandolfi) cerca di convincere un pesce più grande (con la voce di Paolo Lombardi) a non mangiarlo.
In serata viene presentato L’ISOLA DELL’ANGELO CADUTO (Italia, 2012) di Carlo Lucarelli, nella sezione Panorama Italiano, deludente esordio alla regia del noto giallista, che porta sullo schermo un suo romanzo ambientato negli anni venti e quindi in epoca fascista. La storia è quella di un commissario (Giampaolo Morelli), spedito su un’isola remota della nostra penisola per aver pestato i piedi a qualcuno, pur nell’adempimento del suo dovere, che, ad un anno dal suo trasferimento, si trova ad indagare su uno strano incidente che presto verrà seguito da altri. Lo aiuta nelle indagini, che trasformeranno gli avvenimenti in omicidi, il confinato dr. Valenza, anatomo-patologo. Ma oltre ai delitti i due dovranno scoprire un più fitto mistero che riguarda l’isola che loro malgrado li ospita. Da un giallista come il conduttore di “Blu Notte” ci si aspettava davvero qualcosa di più: il giallo è davvero debole – il colpevole si capisce dalla sua entrata in scena – ed anche il mistero che sta sotto non è poi così misterioso, mentre un accenno soprannaturale non viene approfondito adeguatamente, per poi rispuntare fuori nel finale, in modo molto pretestuoso. La regia incerta si disperde dietro ad un montaggio di tipo classico, ma frammentato ed a trovate molto manieristiche che mal si sposano con l’ambientazione d’epoca. Il film si lascia vedere, ma nel complesso è un’occasione mancata ed è seguito subito dopo dal cortometraggio IL GATTO DEL MAINE (Italia, 2012) di Antonello Schioppa, nulla più di un esercizio di stile per raccontare la scialba vicenda di una coppia di rapitori seriali di infanti.
#IMG#Chiude la giornata il primo film orientale a sorpresa, in concorso, BACK TO 1942 (Yi wu si er, Cina, 2012, foto a lato) di Feng Xiaogang, che racconta della carestia che nell’omonimo anno colpì una regione della Cina, causando tre milioni di morti. Su questa tragedia si innestano la storia presumibilmente vera di una famiglia che, da proprietaria terriera, si ritroverà in miseria a vagare per il paese in cerca di cibo e di una sistemazione, sfaldandosi lungo il percorso. Con la partecipazione di due star occidentali come Adrien Brody e Tim Robbins (quest’ultimo regala in realtà un fugace cammeo) il film è un kolossal della durata di due ore e mezza – assolutamente impercettibili – girato con ampio dispendio di mezzi, che coniuga abilmente pubblico (la Storia) e privato (la storia della famiglia protagonista), pieno di momenti crudi ed altri commoventi. Una bella e gradita sorpresa che difficilmente avremo il piacere di vedere uscire da noi in sala.

 4 Giorno

Nel pomeriggio, mal ce ne incolse, veniamo tentati dal film argentino EL OJO DEL TIBURÓN (Spagna/Argentina, 2012) di Alejo Hoijman, nulla più di un documentario su due adolescenti nicaraguensi, Maicol e Bryan, non molto diversi dai loro coetanei di paesi più ricchi, tra cellulari, televisione e videogiochi. Il primo però forse è destinato alla criminalità, il secondo invece non vede l’ora di intraprendere la sua prima battuta di pesca. Unica fonte di interesse per un film davvero poco convincente è che il film viene fatto sui ragazzi e con i ragazzi, che raccontano agli amici delle riprese e che si rivedono al computer. Una delusione.
Più tardi la sezione “Alice nella Città” presenta KIRIKOU ET LES HOMMES ET LES FEMMES (Francia, 2012) di Michel Ocelot, terzo capitolo delle avventure animate del piccolissimo bambino di colore che anche questa volta, come nel secondo episodio, vengono raccontate dal nonno. Kirikou, in cinque capitoli, questa volta deve vedersela con un tetto da riparare per il quale è indispensabile l’intervento della strega Karabà; con un vecchio saggio che è minacciato sempre dalla terribile megera; con una misteriosa cosa blu in avvicinamento al villaggio e che si rivela essere un coraggioso ragazzo tuareg; con un’anziana forestiera che dice di avere storie da raccontare, una “griot”; con la musica, suonando il flauto prima insieme alla madre e poi con tutto il villaggio.
L’animazione è assai più fluida grazie alle tecniche digitali applicate qui la prima volta, ma ad Ocelot non interessa tanto la tecnica quanto il raccontare e, pur se frammentata in diversi episodi, per cui è stato affiancato da altri sceneggiatori, la narrazione è davvero efficace ed affascinante.
#IMG#In serata viene presentato il secondo italiano in concorso, IL VOLTO DI UN’ALTRA (Italia, 2012, foto a lato) di Pappi Corsicato, una frizzante commedia molto felliniana che ha diviso la critica, con grida arrabbiate di alcuni presenti rivolte al regista sui titoli di coda. La diva della televisione Bella (Laura Chiatti), eliminata dallo show che conduce, esce lievemente ferita da un incidente stradale causato da un water che da un camion in corsa cade dritto sulla sua macchina. Il marito (Alessandro Preziosi), chirurgo plastico ormai sul lastrico, cerca di gonfiare gli esiti dell’accaduto per riscuotere un congruo gruzzolo dall’assicurazione. Il piano è quello di operarla in diretta per ridarle un volto nuovo. Ma, mentre un asteroide punta verso la terra, incontreranno molti ostacoli alle loro trame…
Corsicato appare davvero in forma e fin dall’inizio omaggia il Fellini di 8 e ½ citando la scena delle terme, ma il suo gusto, personalissimo e costantemente sopra le righe, coglie e rielabora molti altri riferimenti, dal feuilleton al musical, da Occhi senza volto a La pelle che abito e via citando. Si ride molto e si riflette anche su temi come lo show-business, l’imbarbarimento di media e pubblico – la vicenda di Bella ha per tutti la meglio sull’imminente asteroide – e l’apparire a tutti i costi. Bentornato, Pappi!

 5 Giorno

In mattinata, con un red carpet addirittura innevato (!), passa nella sezione “Alice nella Città” fuori concorso WRECK-IT RALPH (USA, 2012) di Rich Moore, che la Disney distribuirà a partire dal 20 dicembre prossimo come Ralph spaccatutto. Ralph a suo modo è un eroe. Si sente buono, ma è cattivo, anzi “il” cattivo. Di un videogioco, “Fix-it Felix Jr.”. Così ogni sera, quando la sala in cui è acceso il gioco chiude, va ad incontrarsi con i “cattivi anonimi”, gruppo in cui tutta una serie di antagonisti di videogiochi, dai fantasmini di “Pac-Man” a Saltine o ancora al generale M. Bison di “Street Fighter II”, si incontrano. Quello che gli manca è sentirsi riconosciuto e ben voluto, ma soprattutto sente il bisogno di una medaglia che lo gratifichi. Così Ralph un giorno si infiltra in “Hero’s duty”, un moderno “sparatutto”, pur di guadagnare l’agognato premio, ma inevitabilmente rovina tutto, mettendo in pericolo l’intero mondo dei videogiochi. L’unica sua speranza sembra essere la piccola Vanellope Von Schweetz, una specie di anomalia fuoriuscita dal gioco “Sugar rush”. Grazie al suo aiuto scoprirà che in questo incantato ed elettrico universo non tutto è come sembra…
L’idea di un mondo parallelo in cui vivono i (video)giochi, che alla chiusura si anima, non è cosa nuova, venendo tutto da casa Disney: un po’ da Tron ed un po’ dalla saga di Toy story.
Però il film ha un soggetto ed una sceneggiatura solidissimi, perfettamente stratificati, anche se poi perde colpi nella ideazione e costruzione delle scenografie, per le quali pesca in oltre quarant’anni di immaginario fantastico, andando ben oltre la citazione: per il mondo del gioco “Sugar Rush” si va da Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, sia quello anni settanta di Mel Stuart che quello anni zero di Burton, ad “Alice nel paese delle meraviglie, versioni Disney 1951 e 2010, quest’ultima ancora firmata Burton (come non pensare al Cappellaio Matto vedendo King Candy?); da Starship troopers a 2001 ed il primo episodio cinematografico di Star Trek che a sua volta lo citava. Il videogioco, uno dei simboli del contemporaneo mondo capitalista, non può poi non portare con sé una mole di merchandising: la bibita dolce con le bollicine, le caramelle alla menta la cui pubblicità giocava con l’assonanza con tutta una serie di aggettivi; la polvere per una bevanda al cioccolato di una notissima multinazionale; una marca di console che è diventata famosa grazie al game dei due super-fratelli Mario; una nota catena di paninoteche poco diffusa in Italia il cui nome richiama la metropolitana.
In tutto questo Ralph spaccatutto, malgrado il nome, rimane soffocato, regalando un sontuoso spettacolo in 3D, ma estremamente stucchevole, in cui sicuramente i bambini, scevri – beati loro! – da preconcetti e sovrastrutture, troveranno sicuro divertimento.
Nel pomeriggio recuperiamo fuori concorso LE GUETTER (Francia/Belgio/Italia, 2012) di Michele Placido, film su commissione arrivato al regista di Romanzo criminale proprio dopo il successo oltralpe della pellicola da lui diretta ed ispirata alle gesta della Banda della Magliana. Cast altisonante che vede Auteuil e Kassovitz, rispettivamente nei panni dell’ispettore e del cecchino del titolo per un autentico polar con al centro una gang di rapinatori difesa nella fuga da un abilissimo tiratore scelto. La storia si complica con la poco chiara dinamica della morte del figlio dell’ispettore anni prima in Iraq, di cui il cecchino era commilitone, e con l’entrata in scena di un temibile serial killer che inizialmente aiuta i banditi, ma che presto metterà loro i bastoni tra le ruote. Pur nei limiti del film d’azione e quindi di genere, l’estro registico di Placido, che si ritaglia un cammeo insieme a Fanny Ardant, mantiene elevatissima la tensione e regala indiscutibilmente uno spettacolo di lusso.
#IMG#A seguire viene proiettato IL LEONE DI ORVIETO (Italia, 2012, foto a lato) di Aureliano Amadei, documentario su Giancarlo Parretti, l’ex cameriere sulle navi da crociera (un altro?! Vi ricorda qualcuno?), vero self-made man che negli anni novanta acquistò la MGM grazie alla collaborazione non proprio trasparente del Crédit Lyonnais. Attraverso la viva voce del protagonista – presente anche in sala – e le testimonianze di chi l’ha conosciuto, qui ed all’estero, si cerca di ricostruire la complessa vicenda economico-finanziaria che lo vide poi in carcere in Francia per abuso di fondi aziendali e frode fiscale, dove però rimase solo pochi giorni. Il bello è che Parretti dà la sua versione dei fatti, mentre gli altri ne danno un’altra, spesso diametralmente opposta, col risultato di un voluto effetto comico. In aggiunta Amadei ha scelto come colonna sonora quelle delle commedie all’italiana dei bei tempi, da C’eravamo tanto amati a Metti, una sera a cena, ed alterna le vicende del business-man orvietano a quelle sempre dei film italiani che fecero epoca, in un irresistibile contrappunto satirico. Bravo Amadei, così sì che si fanno i documentari!
In serata tocca a RISE OF THE GUARDIANS (USA, 2012) di Peter Ramsey, che dal 29 novembre venturo verrà distribuito in sala da Universal Pictures come Le 5 leggende. In un look a metà tra il videogame e i manga, vengono presentati appunto cinque personaggi della tradizione (Jack Frost, colui che provoca vento e neve, uno spirito molto ribelle; Babbo Natale, qui chiamato Nord; la Fatina dei dentini; il Coniglio pasquale; Sandman, che veglia sui sonni dei bambini) ed un antagonista: l’Uomo Nero, dalle fattezze molto disneyane. Il film, in 3D, è un’irresistibile avventura per grandi e piccini che affronta temi importanti come la paura, la propria missione al mondo e l’importanza dei ricordi. Da non mancare.
Chiude la giornata il film in concorso MARFA GIRL (USA, 2012) dell’irriverente Larry Clark. Ambientato a Marfa in Texas, al confine col Messico, racconta le storie di Adam, della ragazza del titolo, di tre poliziotti di confine, di cui due portoricani e uno bianco, e di tutti i personaggi che ruotano intorno a loro. La pellicola, non certo riservata a stomaci deboli o ad anime pie, vuole essere un’opera sull’amore o, meglio, sui molti tipi d’amore: quello di Adam con la sua fidanzata e non solo; quello di Marfa Girl, libero e puro come il padre hippy le ha insegnato e che lei continua a regalare qua e là; quello del poliziotto malato Tom, che prova ormai piacere solo a fare del male ed a riceverne. Il tanto sesso mostrato da Clark, declinato nelle tre accezioni suddette, quale corollario e conseguenza dell’amore, risulta funzionale alla messa in scena, senza divorarsela. Finale tragico e prevedibile, anche se non del tutto, per un film, secondo noi riuscito, che ha comunque diviso la critica.

 6 Giorno

La giornata inizia per noi nel pomeriggio con STRINGS (G.B., 2012) di Rob Savage, regista diciottenne (all’epoca delle riprese nel 2010). Il film racconta della giovane Grace, studentessa in Inghilterra per un programma di scambi che poco prima di ripartire inizia una relazione impulsiva e naturalmente senza futuro col timido coetaneo Jon. Il giovanissimo Savage gira molto bene, in maniera tutt’altro che naif, concedendosi pure delle sequenze di elevata poesia grazie al montaggio analogico e pure una scena metacinematografica, nel bel mezzo della narrazione, che rivela come tutto sia in realtà finzione. Quello che gli manca è però una storia (interessante) ed una sceneggiatura più strutturata che salvi lo spettatore dalla noia. Potrebbe essere nato un autore.
In serata viene presentato quello che per noi è non solo una delle cose più belle viste finora, ma anche uno dei documentari migliori ed anche la migliore opera prodotta in Italia su Silvio Berlusconi. S. B. Io lo conoscevo bene (Italia, 2012, foto sotto) di Giacomo Durzi e Giovanni Fasanella ricostruisce attraverso le testimonianze di suoi ex-sodali, l’ascesa e la caduta dell’ultimo Presidente del Consiglio eletto dagli italiani. Diversamente dal precedente Silvio forever di Faenza e Macelloni, che non diceva niente di nuovo e finiva anzi per sparare sulla Croce Rossa, rivelandosi come un clamoroso autogol della sinistra, questa nuova indagine racconta episodi inediti ed anche inattesi della nascita di Forza Italia, costruendo una propria e comunque oggettiva spiegazione del Berlusconismo, dalla nascita delle televisioni private alla discesa in campo fino ancora alle dimissioni politiche. Davvero da non perdere!
#IMG#“Last, but really least”, chiude la giornata quello che crediamo sia finora il film più brutto del Festival: parliamo di E LA CHIAMANO ESTATE (Italia, 2012) di Paolo Franchi che segna un altro passo falso nella carriera produttiva di Nicoletta Mantovani vedova Pavarotti, dopo la poco felice esperienza teatrale della versione italiana del musical “Rent”. La fine di un amore mostrato attraverso il lui della coppia, mentalmente disturbato, che non riesce a provare amore e cerca nel sesso facile a buon mercato una scappatoia, viene messo in scena in maniera pretenziosa ed improponibile, attraverso una fotografia sovraesposta e con fastidiose reiterazioni, il tutto nella costante ricerca di gratuita provocazione. Gli attori fanno quel che possono – dalla Francia è giunto persino Jean-Marc Barr – ma sono evidentemente plagiati dal regista. Risate alla proiezione stampa del mattino, che ha mal disposto attrice principale ed autore che in conferenza stampa hanno tradito in più momenti il loro disappunto, accusando i giornalisti di essere omologati alla televisione (e quindi non capire l’arte). Il mondo è bello perché è vario, no?!

 7 Giorno

La giornata comincia col recupero pomeridiano di BULLET TO THE HEAD (USA, 2012) del redivivo Walter Hill e con il sopravvissuto Stallone, entrambi a Roma ad accompagnare il film, tratto dalla graphic novel di Alexis Nolent. Il sicario Jimmy Bobo, dopo aver portato a termine l’ennesimo lavoro insieme al socio Louis Blanchard, riceve la visita di una specie di gigante, altrimenti noto come Keegan, che lascia sul campo il giovane compagno. Mentre cerca di capire che cosa stia accadendo, Jimmy finisce per incrociare l’integerrimo detective Taylor Kwon. Ognuno con i suoi modi, non troppo ortodossi il primo, circoscritti nei termini di legge il secondo, proveranno a scoprire chi non voleva morta la vittima dei due killer e chi invece voleva far fuori questi ultimi.
Strepitosa interpretazione di Stallone – uno spettacolo a sentirlo in versione originale col suo vocione cavernoso e strascicato! – per un insolito buddy-movie che si porta dietro molto del soggetto fumettaro, ma che pure acquista altrettanto dalla fisicità dei suoi interpreti, dallo Sly molto meno ingessato dei suoi due ultimi successi, pur brillanti, con la coppia di capitoli de I mercenari, al colosso Jason Momoa nei panni di Keegan. Film curiosamente prodotto dalla Buena Vista, di sicura e futura distribuzione qui da noi.
#IMG#Presentato poi al pubblico un altro bel film in concorso, UN ENFANT DE TOI (Francia, 2012, foto a lato) di Jacques Doillon, che potremmo definire la versione al negativo del film di Paolo Franchi E la chiamano estate: perché è la storia della tentata (ed nel finale riuscita) ricostruzione di un amore, dove nella pellicolai taliana era invece la fine, e perché questa è un’opera decisamente riuscita. Pur nella sua lunghezza, rende godibili i nove incontri che Louis e Aya hanno per capire dove loro due, che hanno insieme una figlia ed ora ciascuno rispettivamente una compagna ed un compagno, hanno sbagliato. Grazie alla simpatia ed alla naturale empatia dei protagonisti con il pubblico ed alla dolcezza di loro figlia Lina (l’incredibile Olga Milshtein), l’amore che rinasce è uno spettacolo veramente delizioso, che profuma di vita vera.
È poi il momento di ACQUA FUORI DAL RING (Italia, 2012) di Joel Stangle, regista nativo di Denver, ma cittadino del mondo, attivo nel nostro paese, dove risiede parte della sua famiglia. A Catania si sviluppa la vicenda di due pugili, Toscano, siciliano che cerca di sfondare nella boxe e allo stesso tempo di salvare se stesso e i suoi famigliari dai tentacoli della mafia, e Barca, un immigrato africano che tenta, anche lui, di sopravvivere grazie al pugilato. Le loro storie, tragiche e senza apparente futuro, sono contrappuntate da didascalie che fanno riferimento alle guerre puniche, in cui romani e cartaginesi, quindi bianchi e neri, italiani ed africani, si combattevano. L’”acqua fuori dal ring” è quella attraverso cui arrivano gli immigrati, ma anche quella delle mille complicazioni in cui Toscano cerca di non affogare ogni giorno. Un po’ prolisso (dura quasi due ore), ma riuscito nella sua commistione di storia ed attualità, di realtà e di finzione. Una non originalissima, ma possibile via per il cinema italiano.
Il film è preceduto da uno dei cortometraggi più graziosi visti finora, LA PRIMA LEGGE DI NEWTON (Italia, 2012) di Piero Messina, con un cast di non più giovani, ma bravissimi attori: Mario Donatone, volto di tanto cinema italiano, abbonato ai poliziotteschi con Tomas Milian; Cosimo Cinieri, personaggio storico del teatro nazionale; Anna Orso, scomparsa nell’estate scorsa, presenza indimenticabile di tanti film nostrani. La storia, delicata e toccante, è quella di un anziano che, quando la sua vecchia fiamma di un tempo resta vedova, si presenta a chiederle la mano. Ma la timidezza è tanta, oggi come allora, ed a sbloccare la situazione ci penserà l’amico di sempre, perché, come recita appunto la prima legge di Newton, “un corpo permane nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme a meno che non intervenga una forza esterna a modificare tale stato”. Prodotto dal Centro Sperimentale di Cinematografia, cui vanno le nostre infinite lodi!
In serata viene presentato, in concorso, A GLIMPSE INSIDE THE MIND OF CHARLES SWAN III (USA, 2012) di Roman Coppola, figlio meno noto, ma assai dotato di Francis Ford. Uno scoppiettante Charlie Sheen, con tanto di naso posticcio – almeno così ci è sembrato! – impersona un talentuoso grafico di mezz’età, cazzaro e scavezzacollo, che, quando viene lasciato dalla propria donna, crede letteralmente di morire, scambiando una pirosi gastro-esofagea per un infarto. Il ricovero in ospedale diventa il pretesto per una sorta di remake in acido di Sogni proibiti di Norman Z. McLeod. Attraverso la sua fervida immaginazione, vede il proprio funerale e si immagine in stravaganti situazioni di pericolo. Finché capirà che la sua storia d’amore è solo… finita. Con il contributo di attori del calibro di Jason Schwarztman e Bill Murray, Sheen e Coppola jr. ci accompagnano in questo viaggio nella mente di un personaggio fuori dal comune. Coppoliano (nel senso della sorella Sophia, vedi Somewhere), felliniano (nel quasi girotondo finale, con rivelazione e presentazione meta-cinematografiche), il film risente di un protagonista senz’arte né parte, non volendo andare da nessuna parte, con il risultato di essere un’opera divertente, ma abbastanza vuota. Un esercizio di stile, ma ce ne fossero così di lusso!

 8 Giorno

Per noi la giornata comincia col recupero del secondo ed ultimo film asiatico film a sorpresa in Concorso. Si tratta di DRUG WAR (Hong Kong/Cina, 2012) di nientepopodimeno che Johnnie To. Il film, il cui titolo originale è Du zhan è, come sempre per il regista hongkonghese, un adrenalinico viaggio sulle montagne russe dell’azione. Tra un fabbricante e trafficante di anfetamine dalle mille conoscenze e dalle altrettante risorse ed un ostinato ispettore saranno scintille al fine mantenere, da una parte, e sgominare, dall’altra, il commercio di droga. In mezzo a dolly, piani-sequenza virtuosistici, narcos muti e tenaci, altri personaggi estremamente caratterizzati e sopra le righe, il film procede senza lasciare allo spettatore un attimo di respiro, garantendo infinite carneficine e tensione fino all’ultimo fotogramma. Non tutti hanno gradito, ma il talento di To è come sempre indiscutibile.
Ci precipitiamo, dopo il bagno di sangue cinese, a Casa Alice, dove ci aspetta uno dei film di punta della rassegna parallela e secondo noi uno dei possibili vincitori. Parliamo de LA PASIÓN DE MICHELANGELO (Cile, 2012, foto sotto) di Esteban Larraín, nessuna parentela dichiarata col relativamente più noto connazionale e collega Pablo. La pellicola, tratta da una storia vera, racconta dell’orfano adolescente Miguel Ángel che a Peñablanca, un paesino del Cile, nel 1983 inizia a vedere la Madonna. Presto la curia invia un sacerdote, padre Ruiz Tagle, ad investigare sugli avvenimenti. Tra superstizione e fede, tra il regime del generale Pinochet che appoggia le visioni per trarne una legittimazione (la Vergine parrebbe pronunciarsi in suo favore) ed il puro mercimonio che contagia gli abitanti di Peñablanca, il giovanissimo veggente perde presto il senno, circondandosi di amici che chiama apostoli. Anche il prete inviato sul luogo tentenna fino all’ultimo, soprattutto per paura di danneggiare Miguel, finché non troverà il coraggio di pronunciarsi e di inviare le sue conclusioni al vescovo. Lucidissimo nell’analisi del rapporto tra fede e potere e tra superstizione e credenza, Larraín si mantiene in costante equilibrio per tutto il film, costruendo anche storie parallele di supporto che si intersecano perfettamente con quella principale e conservando per il finalissimo, quando ormai le apparizioni sono state giudicate solo una montatura, un ultimo guizzo di indeterminatezza, un ché di spiazzante metafisico che non guasta. E nei titoli di coda non possono non mancare le immagini del vero Miguel Ángel. Sostenuto da ottimi attori, tra cui il Patricio Contreras de La storia ufficiale di Luis Puenzo, La pasión de Michelangelo è un film che vorremmo tanto vedere distribuito anche qui da noi.
#IMG#A seguire, un altro film di “Alice nella Cttà”, l’unico italiano in concorso. È PULCE NON C’È (Italia, 2012) di Giuseppe Bonito. Tratto dal romanzo omonimo di Gaia Rayneri, racconta la storia vera della scrittrice, all’epoca adolescente, la cui sorellina autistica fu all’improvviso sottratta dal tribunale per un’accusa di presunta violenza carnale ai danni della bambina avviata dalle insegnanti che, tradite dalla tecnica della comunicazione facilitata, suggerita dalla mamma, avevano denunciato il padre. Ottimi gli interpreti, in particolare le due ragazze debuttanti, per una vicenda ambientata a Torino, ma che, per l’agghiacciante eccesso di zelo dei servizi sociali, pare svolgersi in Svezia. La sceneggiatura si sviluppa dal punto dei vista dei famigliari, in particolare di Giovanna, la figlia maggiore, coinvolgendoci quindi dalla loro parte, lasciandoci stupefatti ed ignari di quanto e perché stia accadendo, svelandoci via via la realtà dei fatti. E, dato che il padre ha il volto di Pippo Delbono, non tra i più rassicuranti del nostro cinema, il dubbio, per almeno un terzo di film, non ci si scrolla di dosso. Un piccolo gioiello.

 9 Giorno

L’ultima, affollata giornata del Festival inizia per noi col recupero del film più acclamato e dato per favorito, presentato ieri. Parliamo di THE MOTEL LIFE (USA, 2012) dei fratelli Gabe ed Alan Polsky, che narra di due fratelli, Jerry Lee (Stephen Dorff) e Frank (Emile Hirsch) Flannigan, che vivono da tempo in un motel nella grigia periferia di Reno, Nevada. Usciti da un’infanzia difficile in cui il padre è stato assente e la madre è morta quand’erano ancora piccoli, si sono sostenuti dedicandosi alle arti: il primo s’è dato al disegno, mentre il secondo a scrivere racconti. Quando Jerry Lee investe un uomo in strada senza soccorrerlo, i due fratelli decidono che forse è la volta buona per fuggire insieme una volta per sempre dal loro tetro habitat.
Sarà che il film ha colpito pubblico e critica relativamente al non clamoroso catalogo di quest’anno, ma a noi il film non ha detto granché. Ben fatta ed ottimamente interpretata, la pellicola resta però un freddo esercizio di stile, incapace di emozionare gli spettatori. Pur coadiuvato dalle animazioni – niente di originale però, se si pensa solo al bellissimo Death of a superhero di Ian Fitzgibbon, passato l’anno scorso al Festival nella sezione “Alice nella Città” o ancora a The dark side of the sun, sempre presente alla scorsa edizione nello spazio Extra – che fondono le passioni dei due ragazzi e che risultano visivamente molto interessanti ed affascinanti, il film avvince, ma non conquista.
#IMG#Nella mattinata vengono consegnati i premi della sezione “Alice nella Città”, che vedono vincitori MY SWEET ORANGE TREE (Brasile, 2012, foto a lato) di Marcos Bernstein e Pulce non c’è, cui va una menzione speciale della Giuria. Casualmente nel pomeriggio riusciamo a recuperare, già inserito nel programma di “Alice”, il film Brasiliano che ha trionfato e non possiamo che concordare sul verdetto, malgrado ci era piaciuto tanto, come già scritto, un altro film sudamericano.
Tratto dal libro omonimo ed autobiografico di José Mauro de Vasconcelos, tradotto in trentadue lingue, Meu pé de laranja lima, questo il titolo originale, adattato già in varie forme (teatro, telenovelas ed un precedente film nel 1970 diretto da Aurélio Teixeira) è la storia del piccolo Zezé, maltrattato dai famigliari, che fa amicizia coll’anziano e burbero Portuga, inizialmente arrogante e perciò temuto, ma che coglie nell’abitudine del piccolo a parlare con un albero d’arancio quelle potenzialità di narratore altrimenti dileggiata dai suoi. Il legame tra i due aiuterà l’adulto ad affrontare in maniera più serena la vita, ormai non lungi dall’essere conclusa, ed il bambino a credere in se stesso e soprattutto nella propria straordinaria abilità di scrittore. Confidiamo anche qui nella distribuzione italiana.
Fuga precipitosa verso COSIMO E NICOLE (Italia, 2012) di Francesco Amato, storia d’amore tra i due protagonisti del titolo, interpretati rispettivamente da Riccardo Scamarcio e Clara Ponsot, nata all’ombra del G8 di Genova del 2001. Conosciutasi in mezzo agli scontri e soccorsa dall’organizzatore di eventi Paolo (Sassanelli), la coppia tornerà anni dopo nel capoluogo ligure in cerca di lavoro proprio presso l’uomo che l’aveva aiutata all’epoca. Ma il mondo è cambiato ed un incidente sul lavoro che colpisce un extracomunitario di colore sconvolge per sempre i loro destini: Nicole è interdetta, mentre Cosimo non vuole tradire Paolo e lo aiuta a sbarazzarsi del ferito grave. Quando lo scopriranno ancora vivo, i voleri dei due si troveranno ancora una volta ad un bivio per poi unirsi nel desiderio di una fuga in Belgio al fine di aiutare il ferito redivivo Alioune. Ma la legge non sarà dalla loro parte…
Interessante all’inizio, il film di Francesco Amato perde d’interesse nel suo sviluppo, soprattutto per l’eccessiva lunghezza, sembrando inciampare continuamente, in particolare verso la fine. nella ricerca di una conclusione. Bravi gli interpreti, su tutti Sassanelli, ma, come gran parte dei film italiani, Cosimo e Nicole crolla nella sceneggiatura.
Ancora Italia nella serata con la presentazione al pubblico del film d’esordio alla regia di Alessandro Gassman, RAZZA BASTARDA (Italia, 2012), tratto dalla fortunata commedia “Roman e il suo cucciolo” portata da lui in tournée negli ultimi anni. Adattamento a cura di Edoardo Erba di “Cuba and His Teddy Bear” di Reinaldo Povod, lo spettacolo prima (ed il film ora) racconta dell’immigrato romeno Roman (Gassman), gommista con sconfinamenti nella malavita, in particolare nel traffico di droga, un energumeno estremamente irascibile che stravede per l’unico figlio, il cucciolo Nicu. Coinvolto in affari sempre più loschi e pericolosi, cercherà di proteggere l’erede da un sinistro personaggio, noto come il Talebano, che rischia di diventare una sorta di secondo e deleterio padre. Ma la situazione si complicherà in modo quasi irreparabile…
Girato in un bellissimo bianco e nero, opera del direttore della fotografia Federico Schlatter, che cede al colore in qualche momento topico, il film è davvero troppo sopra le righe, figlio e vittima del suo artefice e protagonista, allontanato da quel realismo, che invece sembra perseguire, proprio dall’artificiosità di un cast teatrale tutto italiano che, dopo mezzora, ci traghetta nella più squallida parodia. Finale disorientatissimo e quasi senza senso per una pellicola dalle enormi ambizioni, lontanissime dai risultati.

Il film è seguito da CIRO (Italia, 2012) di Sergio Panariello, cortometraggio nato e girato a Scampia, sceneggiato in un laboratorio di scrittura tenuto presso il centro territoriale Mammut. È la storia appunto di Ciro, un ragazzino del quartiere, orfano con due figure di riferimento: l’allenatore di calcio e Lello, un piccolo boss dello spaccio. Quando si innamora di una ragazza, che aspetta un bambino, la vita per lui cambierà, ma dovrà fare i conti con la dura realtà. Girato molto bene, nei luoghi e con personaggi autentici, con un ottimo uso del montaggio alternato, il cortometraggio termina con un doppio finale, uno immaginato ed un altro reale, confermando l’ottima padronanza del mezzo cinematografico sia da parte dei giovani autori che lo hanno scritto sia da parte del regista Panariello.
Chiude la serata ed il Festival il film fuori concorso UNA PISTOLA EN CADA MANO (Spagna, 2012) di Cesc Gay, che ricordiamo per il delicato Krampack. Il meglio degli attori iberici, da Luis Tosar a Javier Cámara, da Eduardo Noriega a Jordi Mollá, passando per gli argentini Ricardo Darín e Leonardo Sbaraglia, più le donne Leonor Waitling e Candela Peña, al servizio di una commedia sui generis e molto malinconica. Storie di delusioni amorose e di corna, di vecchi amori destinati a restare tali e di rimpatriate in cui si sorride, ma a denti stretti, con quel retrogusto amarognolo che a tratti ci lascia stupiti, senza emozionarci del tutto. In cinque episodi più un epilogo finale gli otto attori e le quattro attrici tengono su una commedia raffinata, ma non troppo divertente, se si toglie l’episodio con Darín e Tosar, assolutamente perfetto, che da solo vale il prezzo del biglietto.

 10 Gioro

Il Festival del Film di Roma secondo Marco Müller è finito. Resteranno i pochi bei film visti e senz’altro le polemiche, fiorite ben prima del suo inizio, con la nomina del nuovo direttore artistico, e continuate ad ardere nei giorni della manifestazione, con film che spesso non incontravano il gradimento di critica e pubblico. Polemiche che hanno avuto il loro apice nella premiazione di ieri sera in cui la giuria ha dato veramente il peggio di sé stessa.
Ma andiamo con ordine, elencando innanzitutto i premi assegnati.
La Giuria Internazionale presieduta da Jeff Nichols e composta da Timur Bekmambetov, Valentina Cervi, Edgardo Cozarinsky, Chris Fujiwara, Leila Hatami e P.J. Hogan, ha assegnato i seguenti premi:
– Marc’Aurelio d’Oro per il miglior film: Marfa Girl di Larry Clark
– Premio per la migliore regia: Paolo Franchi per E la chiamano estate
– Premio Speciale della Giuria: Alì ha gli occhi azzurri di Claudio Giovannesi
– Premio per la migliore interpretazione maschile: Jérémie Elkaïm per Main dans la main
– Premio per la migliore interpretazione femminile: Isabella Ferrari per E la chiamano estate
– Premio a un giovane attore o attrice emergente: Marilyne Fontaine per Un enfant de toi
– Premio per il migliore contributo tecnico: Arnau Valls Colomer per la fotografia di Mai morire
– Premio per la migliore sceneggiatura: Noah Harpster e Micah Fitzerman-Blue per The Motel Life
Alla premiazione di Isabella Ferrari, numerosi fischi le sono stati indirizzati dal pubblico invitato presente in sala, mentre Paolo Franchi, due premi dopo, è sembrato essere immune. La spiegazione è molto semplice, al di là delle innumerevoli speculazioni subito balzate agli onori della cronaca: alcuni dei contestatori, zittiti e tacciati di maleducazione da altri astanti, hanno preferito soprassedere, graziando così il regista.

Per quanto riguarda i film in Concorso di CINEMAXXI, La Giuria Internazionale presieduta da Douglas Gordon, e composta da Hans Hurch, Ed Lachman, Andrea Lissoni ed Emily Jacir, ha assegnato i seguenti premi:
– Premio CinemaXXI (riservato ai lungometraggi): Avanti Popolo di Michael Wahrmann
– Premio Speciale della Giuria – CinemaXXI (riservato ai lungometraggi): Picas di Laila Pakalnina
– Premio CinemaXXI Cortometraggi e Mediometraggi: Panihida di Ana-Felicia Scutelnicu

Per i film del Concorso Prospettive Italia, la giuria presieduta da Francesco Bruni e composta da Babak Karimi, Anna Negri, Stefano Savona, Zhao Tao, ha assegnato i seguenti premi:
– Premio Prospettive per il migliore Lungometraggio: Cosimo e Nicole di Francesco Amato
– Premio Prospettive per il migliore Documentario: Pezzi di Luca Ferrari
– Premio Prospettive per il migliore Cortometraggio: Il gatto del Maine di Antonello Schioppa
Menzioni speciali: Cosimo Cinieri e in memoria di Anna Orso per La prima legge di Newton

Come Migliore Opera Prima e Seconda, la Giuria Internazionale presieduta da Matthew Modine e composta da Laura Amelia Guzmán, Stefania Rocca, Alice Rohrwacher e Tanya Seghatchian ha assegnato il:
– Premio alla migliore opera prima e seconda: Alì ha gli occhi azzurri di Claudio Giovannesi
Menzione speciale: Razzabastarda di Alessandro Gassman
Hanno partecipato al premio i film appartenenti ad una delle diverse sezioni competitive del Festival: Concorso, CinemaXXI, Prospettive Italia e la sezione autonoma e parallela Alice nella città.

Attraverso un sistema elettronico, il Festival ha previsto la partecipazione degli spettatori all’assegnazione del Premio del Pubblico BNL per il miglior film. I film che hanno partecipato all’assegnazione del premio sono quelli del Concorso. Il pubblico ha assegnato il:
Premio del Pubblico BNL per il miglior film: The Motel Life di Gabriel Polsky, Alan Polsky

Nella sezione parallela ed autonoma “Alice nella Città” ha vinto, come già detto, My sweet orange tree di Marco Bernstein, mentre il Premo Speciale della Giuria è andato all’italiano Pulce non c’è di Giuseppe Bonito.

Infine una giuria composta dalle principali webzine italiane, tra cui la nostra, ha assegnato il Mouse d’Oro a The Motel life di Gabe ed Alan Polskyed ed il Mouse d’Argento a Goltzius and the pelican company di Peter Greenaway.

E per concludere, ecco la nostra personale classifica di tutti i film che siamo riusciti a vedere:
Steekspel (Verhoeven) [XXI] ………. * * * * .
La pasión de Michelangelo [AC] ………. * * * * .
Mental [FC] ………. * * * * .

La prima legge di Newton (corto) [PIT]………. * * * * .
S. B., io lo conoscevo bene [PIT] ……… * * * * .
A glimpse inside the mind of Charlie Swan III [C] ………. * * *½. .
Back to 1942 [C] ……….. * * *½. .
Bullet to the head [FC] ………. * * *½. .
Carlo! [PIT] ………* * *½. .

Ciro (corto) [PIT] ……….. * * *½. .
Drug war (Du zhan) [C] ………. * * *½. .
Far out isn’t far enough [AC] ……… * * *½. .
Le guetteur [FC] ………. * * *½. .
Il leone di Orvieto [PIT] ………. * * *½. .
Lesson of the evil [C] ……… * * *½. .
Marfa girl [C] ………. * * *½. .
My sweet orange tree [AC] ………. * * *½. .
Pulce non c’è [AC] ………. * * *½. .
Rise of the guardians [FC] ……… * * *½. .

Il turno di notte lo fanno le stelle (corto) [PIT] ………. * * *½. .
Un enfant de toi [C] ………. * * *½. .
Il volto di un’altra [C] ………. * * *½. .
Acqua fuori dal ring [PIT] ………. * * * . .

Alì ha gli occhi azzurri [C] ………. * * * . .
Babygirl [AC] ……… * * * . .
Benùr [PIT] ………. * * * . .

Esca viva (corto) [PIT]………. * * * . .

Kirikou et les hommes et les femmes [AC] ………. * * * . .
Monologo (corto) ………. * * * . .

Moon man [AC] ………. * * * . .
O fantasma do Novais [XXI] ………. * * * . .
La scoperta dell’alba [PIT] ………. * * * . .
Strings [AC] ………. * * * . .

The motel life [C] ………. * * * . .

Una pistola en cada mano [FC] ……….. * * * . .

Vamos tocar todos juntos para ouvirmos melhor (corto) [XXI] ………. * * * . .
Wreck-it Ralph [AC] ………. * * * . .
Cosimo e Nicole [PIT] ………. * *½. . .
El ojo del tiburon [XXI] ………. * *½. .

Il gatto del Maine (corto) [PIT] ……….. * *½. . .
L’isola dell’angelo caduto [PIT] ………. * *½. . .

O dom das lágrimas (corto) [XXI] ………. * *½. . .
Razza bastarda [PIT] ……….. * *½. . .
V ozidanii morja (Aspettando il mare) [FC] ………. * *½. . .
O bravo som dos tambores (corto) [XXI] ……….. * * . . .

E la chiamano estate [C] ………. * . .

Paolo Dallimonti