Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Richard Linklater
Fotografia: Lee Daniel e Shane F. Kelly
Montaggio: Sandra Adair
Scenografie: Rodney Beccker e Gay Studebaker
Costumi: Kari Perkins
Musiche: Meghan Currier e Randall Poster
Suono: Ethan Andrus e Ben Lazard
USA, 2014 – Drammatico – Durata: 165′
Cast: Ellar Coltrane, Patricia Arquette, Ethan Hawke, Elijah Smith, Lorelei Linklater, Steven Chester Prince, Bonnie Cross
Uscita: 23 ottobre 2014
Distribuzione: Universal Pictures
Il tempo visto dall’alto
Luchino Visconti una volta disse che il suo sogno era quello di riprendere l’intera giornata di un uomo, dall’alba fino alla notte, senza sosta. Per molti aspetti è proprio questo lo spirito di cui è pervaso quest’ultimo lavoro di Richard Linklater: riprendere la vita di un comune ragazzo americano, dagli otto ai vent’anni. Usare il cinema come uno specchio.
Il film segue la vita del giovane Mason, dagli otto anni, quando frequenta la scuola elementare, fino ai vent’anni, quando entra al college, raccontando il rapporto con i genitori divorziati, i traslochi, le nuove scuole, i matrimoni falliti della madre, il rapporto conflittuale con la sorella Samantha, la nuova relazione del padre, seguendo anche l’evoluzione degli oggetti d’uso quotidiano, tecnologici e non, e i cambiamenti culturali, sociali e politici degli anni.
La lavorazione di quest’opera ha richiesto ben dodici anni, durante i quali il regista ha seguito gli attori, o meglio i loro personaggi, nella crescita fisica ed emotiva, documentando quindi niente di più che la quotidianità di una famiglia medio borghese americana, con i suoi grandi e piccoli drammi e la sue grandi e piccole gioie. Guardando un film così non può altro che venire in mente come la settima arte possa essere, se strutturata in un certo modo, una perfetta estensione della realtà: Linklater infatti ha voluto addentrarsi proprio in questo ampio campo di riproposizione del quotidiano. In Boyhood non sono presenti i picchi emotivi da “mansionario del cinema classico”, come ci si aspetterebbe da un film hollywoodiano ad ampia portata, ma le emozioni rimangono sempre sotto pelle, anche nei momenti più intensi e drammatici, in modo tale che sia il ricordo di essi a portare dei cambiamenti nel modo di relazionarsi dei protagonisti, esattamente come succede dall’altra parte dello schermo, nella vita vera. In questo lungometraggio, il tentativo costante è quello di bucare la quarta parete, senza però parlare direttamente al pubblico, come ha sempre fatto Woody Allen, né applicando la tempistica degli eventi reali documentando ogni gesto ed ogni momento della giornata, come è successo in alcune pellicole sperimentali, per esempio di Andy Warhol (ed è qui che il film si allontana un po’ dal sogno di Visconti), bensì intervenendo sul concetto di tempo ad ampio raggio, conformandosi alle tempistiche biologiche, trovando quella credibilità che solo un film unico ed irripetibile nel suo genere può riuscire a scoprire.
I riferimenti al passare del tempo (più che evidenti in quasi tutto il film, vedi la musica ascoltata dai protagonisti, o l’evoluzione politica degli USA in più di dieci anni), sottolineano questa forte volontà di testimonianza perenne e, mentre in un altro tipo di film sarebbero risultati pedanti, qui assumono perfettamente il ruolo di custodi del tempo, riprendendo un altro scopo che il regista si è preposto: quello di contestualizzare. Sì, perché non è solo l’idea di raccontare la storia di una famiglia qualsiasi quella che viene fuori quasi subito, ma anche quella di rappresentare specificatamente una famiglia americana, e tramite essa, un’intera nazione. Attraverso la storia della famiglia di Mason, Linklater racconta la stranezze, l’ipocrisia, la cattiveria, ma anche l’onesta semplicità, la creatività e la curiosità di un intero popolo. Verso la fine tuttavia, da particolare (per quanto particolare possa essere la realtà di un intero continente) il racconto diventa universale, facendo uscire da se stesso quasi spontaneamente i temi dell’esistenza che circondano ognuno di noi, attraverso tutto il mondo, lasciando ad intendere che forse, visto dall’alto, il tempo non è altro che un’illusione e che le nostre mille variabili sono sempre state in noi, attraverso gli anni e anche più in là.
Voto: 9
Mario Blaconà