Scheda film

Regia: Su Chao-Pin, John Woo
Sceneggiatura: Su Chao-Pin
Fotografia: Horace Wong, Cheung Man-po, Lai Yiu-fai, Ng Man-ching, Ng Man-juen
Montaggio: Cheung Ka-fai
Costumi: Emi Wada
Musiche: Anthony Chue, Peter Kam
China/Hong Kong/Taiwan, 2010 – Azione – Durata: 120′
Cast: Michelle Yeoh, Jung Woo-sung, Wang Xueqi, Barbie Hsu, Shawn Yue, Kelly Lin, Guo Xiaodong
Uscita: 3 agosto 2012
Distribuzione: Tucker Film

Sale: 21

 Dinastia Ming…

Dinastia Ming: una gilda di assassini, la Dark Stone, vuole impadronirsi dei resti mummificati del monaco Bodhi, il cui possesso sembra assicurare grandi poteri nell’ambito delle arti marziali. Durante un’incursione nella casa del ministro Zhang, Drizzle scompare con una metà dei resti e si rifugia nella capitale, dove assume un’altra identità nel tentativo di incominciare una nuova vita.
Negli ultimi anni il wuxiapian è stato declinato in forme eterogenee, e affrontato dai vari registi che si sono cimentati nell’impresa in maniere alquanto dissimili. Senza stilare tediosi elenchi, basti notare che questo Reign of Assassins si riallaccia direttamente alle radici del genere, e in particolare all’epoca d’oro del cinema hongkonghese degli anni ’60 e ’70. Il riferimento principe è all’opera di King Hu, il più grande regista dell’epoca insieme a Zhang Che, di cui John Woo fu giovanissimo assistente alla regia. Numerose le affinità tematiche, dalla scelta di un’eroina femminile (Come Drink With Me e A Touch of Zen) all’ambiguità identitaria dei personaggi (Dragon Gate Inn), fino alla presenza dell’eunuco come malvagio antagonista (sempre Dragon Gate Inn). La decisione ha un po’ il sapore di una dichiarazione d’intenti, e la forma adottata la rispecchia con estrema coerenza. L’utilizzo assai parco degli effetti digitali e la cura riposta nella caratterizzazione dei personaggi, un binomio impossibile da trovare nei wuxia dell’ultimo lustro, lasciano intuire come Su Chao-pin e John Woo non intendano “rinnovare” il genere, bensì esaltarne la classicità atemporale, distillarne l’essenza.
La scelta risulta programmatica già a partire dal titolo: “Jianyu” è l’unione di Jian (Spada), carattere presente nel nome di Ah-Sheng, e Yu (Pioggia), presente nel nome di Drizzle/Zeng Jing. “Jianghu” è un termine risalente alla dinastia Ming (significa letteralmente “tre fiumi e cinque laghi”) che circoscrive una sorta di spazio simbolico, un “mondo fluttuante” al cui interno agiscono gli eroi e le eroine del wuxia, un universo popolato da banditi e società segrete, simulacro del mondo reale. Il titolo delinea così con esattezza l’unione dei due protagonisti in un universo codificato, che è quello del wuxia tradizionale.
Il taiwanese Su Chao-pin, già regista dell’originale Silk, è anche abile sceneggiatore, e si avverte un palpabile piacere nel manipolare con intelligenza gli stilemi del genere. L’abile assassina Drizzle, stanca di morte e uccisioni, si sottopone ad un intervento di plastica facciale ante litteram, trasformandosi in Zeng Jing, venditrice di stoffe al mercato. La donna viene corteggiata dallo sprovveduto Ah-Sheng, di professione corriere, il quale la sposa senza essere al corrente della sua vera identità. E qui il regista dedica molto tempo alla rappresentazione del nascere di un sentimento tra i due (galeotta fu la pioggia…), senza rifuggere da lievi tocchi di umorismo e di poesia che fanno guadagnare credibilità e spessore ai personaggi, in vista dei twist di sceneggiatura della seconda parte.
La casa in cui abitano Zeng Jing e Ah-Sheng custodisce segreti, metaforicamente custoditi sotto i loro piedi, a significare che il loro rapporto coniugale è fondato sulla dissimulazione. Nell’esile routine quotidiana irrompe il passato ad esigere i crediti insoluti. La domestica intimità della coppia verrà infatti violata dall’arrivo del perfido Wheel King, capo della Dark Stone, e dei suoi fedeli assassini: il compassato Lei Bin, maniacale appassionato di noodles, il Mago e Turqoise, la sostituta di Drizzle, dotata di una qual certa esuberanza sessuale. Ma, in un frenetico girotondo di identità, nessuno si rivelerà essere ciò che appare; persino il candido Ah-Sheng cela dei segreti, per non parlare del capo della Dark Stone e delle sue reali motivazioni.
Nonostante la supervisione di John Woo, il quale ha diretto la scena dell’agguato teso a Drizzle nel villaggio, non si ravvisano influenze particolari, né tantomeno la sua propensione per l’epica, che qui appare quasi capovolta di segno. Le ragioni del contendere, riguardanti il possesso dei resti di Bodhi, si riveleranno infatti alquanto prosaiche.
La regia di Su Chao-pin, assistito da Woo soprattutto in fase di montaggio, non mostra vezzi particolari ed è tutta al servizio dei personaggi, ponendosi in senso antitetico rispetto, per fare un esempio, al postmodernismo di Tsui Hark o all’astrattezza estetizzante della trilogia di Zhang Yimou. Le scene di combattimento, coreografate da Stephen Tung, sono risolte perlopiù in campi medi e senza eccedere nell’utilizzo del wire work, con una predilezione per gli scontri in interni, in cui i contendenti utilizzano con perizia elementi d’arredo (ancora King Hu).
La carismatica ed elegante Michelle Yeoh, al suo primo ruolo importante in un wuxia dai tempi de La Tigre e il Dragone, offre un’interpretazione di composta sottigliezza, così come il coreano Jeong Woo-sung (The Good The Bad The Weird) nella parte di Ah-Sheng. Wang Xueqi è un formidabile Wheel King, mentre Shawn Yue, al suo primo wuxia, colpisce per la pigra indolenza. Perfetti anche tutti gli altri, da Kelly Lin, che interpreta Drizzle prima della plastica, alla taiwanese Barbie Hsu (Turquoise) e Leon Dai (il Mago). La versione internazionale, vista a Venezia, differisce da quella cinese nel primo quarto d’ora, ed è montata senza flashback, rispettando la cronologia degli eventi.
RARO perché… è un wuxia interessante ma non scoppiettante.

Voto: * * *½

Nicola Picchi

 #IMG#I due volti dell’assassina

A due anni dalla presentazione alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia arriva sugli schermi nostrani in piena stagione balnerare La congiura della pietra nera. A portarlo nelle sale ci pensa la Tucker Film, sin dai suoi primi vagiti attenta alla diffusione di film e autori provenienti dalle cinematografie orientali. La distribuzione friulana ci regala un wuxia pian dal forte impatto visivo, co-diretto a quattro mani da Su Chao-pin e dal più quotato John Woo, quest’ultimo inizialmente coinvolto nella produzione e costretto poi a passare dietro la macchina da presa perchè insoddisfatto della resa coreografica di alcune sequenze chiave presenti nella pellicola. E a giudicare dal risultato finale, il tocco del maestro hongkonghese ha dato i suoi frutti. Stabilire dove finiscono i meriti dell’uno e iniziano quelli dell’altro non è impresa titanica.
L’utilizzo imprescindibile del wire work permette alle suddette scene di mettere in quadro la solita chirurgica geometria del movimento, con il gesto marziale che si tramuta in danze acrobatiche di estrema eleganza, disegnate nello spazio e nel tempo, in quest’ultimo caso attraverso la dilatazione dell’azione con esasperati rallenti e improvvise accelerazioni. Lo stile e la messa in quadro trovano però le principali affinità elettive con La tigre e il dragone piuttosto che con la trilogia wuxia di Zhang Yimou. Meno sontuoso rispetto a Hero o La foresta dei pugnali volanti, ma anche a La battaglia dei Tre Regni dello stesso Woo, l’opera risulta ugualmente pregevole per l’accurato e quasi maniacale lavoro nella messa in scena. C’è da dire, infatti, che qui la forma fagocita di gran lunga la sostanza, con una regia pirotecnica che prende il sopravvento su una sceneggiatura schiacciata dai riferimenti dai quali non è riuscita a distaccarsi.
Dal punto di vista della scrittura, La congiura della pietra nera si appoggia saldamente agli ingredienti narrativi e drammaturgici del genere nel quale va di diritto a iscriversi, con una contaminazione e condivisione continua di elementi appartenenti al dramma bellico, al fantasy, al martial arts action e ovviamente al cappa e spada, sotto la cui superficie si vanno lentamente a manifestare agli occhi dello spettatore chiare sottotracce sentimentali e soprattutto gialle. La fusione funziona, diverte, intrattiene quanto basta e vale assolutamente il prezzo del biglietto. Tuttavia la storia non è di quelle che brillano certo per originalità e a giudicare dal plot è possibile rintracciare temi e stilemi chiave della filmografia di Woo, come ad esempio il cambiamento d’identità che ha trovato la sua più evidente manifestazione in Face/Off, dove l’assassino è costretto a sottoporsi a una plastica facciale per sfuggire al passato. Lo stesso destino scelto dalla protagonista de La congiura della pietra nera, tale “Pioggerellina”, killer numero uno di una banda criminale che semina morte, devastazione ed ettolitri di sangue ovunque si manifesti. A interpretarla magistralmente nemmeno a dirlo Michelle Yeoh, che nella sua costruzione del personaggio sembra volere rievocare nella mente del cinefilo oltre alla Shu Lien del film di Ang Lee, anche la “Rondine d’Oro” di Come Drink With Me, pietra miliare diretta da King Hu nel 1966, con l’immensa Cheng Pei-pei. Non a caso, entrambe presenti con due personaggi in La tigre e il dragone, quasi a suggellare un legame di sangue con la pellicola del 2000 e una continuità con il filone al quale appartengono: la Yeoh era la già citata Shu Lien, mentre Cheng Pei-pei era la letale e spietata Volpe di Giada.

Voto: * * *

Francesco Del Grosso