Scheda film
Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Alessandro Comodin
Fotografia: Tristan Bordmann, Alessandro Comodin, Jean-Jacques Quinet
Montaggio: Alessandro Comodin, João Nicolau
Suono: Julien Courroye
Italia/Francia/Belgio, 2011 – Docu-Fiction – Durata: 78′
Cast: Giacomo Zulian, Stefania Comodin, Barbara Colombo,
Uscita: 20 luglio 2012
Distribuzione: Tucker Film
Sale: 4
Perdersi per poi ritrovarsi
L’errore più grande che si possa fare mentre ci si confronta con un’opera come L’estate di Giacomo è quello di cercare insistentemente, nonostante appartenga a una forma ibrida di cinema come la docu-fiction, di individuare tra i geni del suo dna audiovisivo il confine che separa il reale dall’artefatto, il documentario dalla finzione. Ciò non è possibile perché di fatto quella linea di demarcazione linguistica, stilistica e strutturale, semplicemente non esiste.
In questa piccola perla indie co-prodotta da Italia, Francia e Belgio, presentata in anteprima al Festival di Locarno 2011 dove si è aggiudicata il Pardo d’Oro per i Cineasti del Presente, al quale è seguito un prolifico tour nel circuito festivaliero internazionale ricco di riconoscimenti, ricordo e presente, allucinazione e realtà, finzione e documentario, si fondono e si confondono in un magma fatto di pixel, parole, silenzi, immagini, suoni, gesti e suggestioni, che da vita sullo schermo a un esperienza comune e di conseguenza anche filmica. Da anni si abusa molto spesso della definizione “cinema del reale”, generalizzando e mettendo le varie tipologie e le relative derivazioni (tra cui proprio la docu-fiction) che vanno a comporre il filone documentaristico in un gigantesco calderone. Nel caso dell’opera prima di Alessandro Comodin, nelle sale nostrane a partire dal 20 luglio 2012 grazie alla lungimiranza della Tucker Film, mai terminologia è stata così calzante e pertinente.
Ambientato nella campagna friulana attorno al Tagliamento, L’estate di Giacomo racconta la storia di un ragazzo di diciotto anni cui un’operazione chirurgica ha ridato l’udito. I rumori, i suoni, le voci della natura permetteranno a Giacomo di vivere una vera iniziazione all’età adulta e un nuovo apprendistato dei sensi. In un luogo astratto perso tra le rive di un fiume si perde e si ritrova, accompagnato in questo fugace viaggio di formazione emotivo e sensoriale da due affetti femminili, così diversi eppure così vicini.
Il risultato è un racconto sulla felicità, sulla libertà, sulla bellezza, sull’importanza dei sentimenti, sulla capacità e l’incapacità di cogliere l’importanza delle piccole cose che la vita ci offre. Per trasporre ciò, il regista friulano sposa e si allinea alla lezione e alla poetica di Jean Rouch. Come il suo più illustre predecessore, Comodin non cela nulla ma nemmeno indugia nel sensazionalismo. Non interferisce mai con l’azione, con l’unica eccezione che diversamente dal regista parigino la indirizza per poi lasciarla fluire e svolgere naturalmente. Come Rouch anche Comodin sembra disposto a infrangere o scardinare le regole della Settima Arte se contrastano con l’immediatezza della comunicazione. Lo stile e l’approccio scelto è quello documentaristico, tradotto in un linguaggio minimalista, rigoroso ed essenziale nella messa in quadro. I tempi dilatatati si manifestano sullo schermo con un ritmo lento che trova negli intensi primi piani fissi e negli splendidi e sporchi piani sequenza a mano la manifestazione più efficace della teoria del pedinamento. Sono sempre i corpi il centro del dire e del fare, a essi la videocamera resta attaccata dal primo all’ultimo fotogramma utile. La storia intreccia frammenti di quotidianità presenti e passati, ma ciò che vediamo è astratto tanto da non permettere di distinguere da quale lasso di tempo provengano. La narrazione è esigua, ridotta all’osso, fino a dare l’impressione che nulla si stia manifestando davanti ai nostri occhi, quando invece è il contrario. L’ultimo rullo ci rivela in dieci minuti finali tutto, capovolgendo il senso delle cose, delle parole e dei gesti che abbiamo visto fino a quel momento, mostrandoceli sotto una nuova luce. Per questo L’estate di Giacomo è un folgorante esempio di “cinema del reale”.
RARO perché… è un singolare esempio di docu-fiction.
Voto: * * * *
Francesco Del Grosso