Scheda film

Regia: Larry Charles
Sceneggiatura: Sacha Baron Cohen, Alec Berg, David Mandel, Jeff Schaffer
Fotografia: Lawrence Sher
Montaggio: Greg Hayden, Eric Kissack
Scenografie: Victor Kempster
Costumi: Jeffrey Kurland
Musiche: Erran Baron Cohen
USA, 2012 – Commedia – Durata: 83′
Cast: Sacha Baron Cohen, Anna Faris, Ben Kingsley, Sayed Badreya, Michele Berg, Rocky Citron, Liam Campora
Uscita: 15 giugno 2012
Distribuzione: Universal Pictures

 Un altro me

La premiata ditta Larry Charles & Sacha Baron Cohen, rispettivamente regista e protagonista de Il Dittatore, ne ha combinata un’altra delle sue, quadruplicando il tasso ironico in maniera direttamente proporzionale all’aumento della scorrettezza e del cattivo gusto che caratterizza la nuova commedia satirico-demenziale che il pubblico nostrano potrà gustare a partire dal 15 giugno. Dopo aver vestito i panni del giornalista televisivo kazako in Borat – Studio culturale sull’America a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan e quelli del gaio reporter di moda austriaco in Brüno, l’attore britannico si mette nuovamente al servizio del cineasta statunitense cucendosi addosso il personaggio del generale Aladeen, dittatore dello stato di Wadiya.
Decisamente più sessista, spietato, infantile ed antisemita di Borat, il personaggio de Il Dittatore si avventura come il suo predecessore nella terra a stelle e strisce, non per studiarne usi e costumi, bensì per partecipare a un congresso dell’ONU. Mentre è impegnato a discutere dei processi di democratizzazione, in patria corre il rischio di vedersi rubare la scena da un pastore di capre, suo sosia dai modi alquanto grezzi, messo a governare in gran segreto dal suo vice Tamir. A trattenerlo e a farlo desistere dal rientrare nel suo paese è il colpo di fulmine che scatta per Zoey, proprietaria di un negozio di cibo biologico che sta cercando di fargli cambiare le sue convinzioni politiche.
Impossibile impedire alla mente di un qualsiasi spettatore di associare il generale Aladeen a una delle figure più sanguinarie e barbare del Novecento, ossia Saddam Hussein, che nelle mani di Charles e Baron Cohen diventa bersaglio e oggetto di scherno. Non a caso il punto di partenza è proprio un libro scritto dall’ex ra is di Baghdad dal titolo “Zabibah and the King”, che il duo ribalta in chiave ironica mettendo in ridicolo l’autore e le sue gesta. Attraverso il personaggio di Aladeen, il regista di Brooklyn affila le armi della demenza, dello humour nero, della satira feroce e senza peli sulla lingua, per scagliarsi contro ciò che rappresenta e ha rappresentato. Lo mette a nudo, lo rende sgradevole e volgare, ma allo stesso tempo riesce nel miracolo di umanizzarlo, mostrandocelo come un’esistenza vittima delle sue stesse contraddizioni, incertezze e paure, magari capace di provare sentimenti diversi dall’odio e dal disprezzo dell’altro.
Nel farlo sceglie la mano pesante, spesso rischia di offendere la suscettibilità di chi pensa che la satira sia solo ironia da quattro soldi a buon mercato, quando invece se utilizzata nella maniera giusta (vedi Moore o Spurlock) è capace di fare breccia anche nelle convinzioni più granitiche da scardinare. Chaplin nel lontano 1940, con Il grande dittatore, ci aveva dimostrato che tutto questo era possibile attraverso lo straordinario utilizzo di una satira penetrante e persino preveggente del nazifascismo in cui il suo Charlot riusciva a sdoppiarsi nel piccolo barbiere ebreo e nel dittatore di Tomania Adenoid Hynkel (Hitler): l’uno appare come l’immagine un po’ sbiadita del vagabondo; l’altro ne è, per certi versi, il negativo. E proprio nelle vesti di quest’ultimo consegnò allo sguardo e alle orecchie del pubblico dell’epoca, ma anche delle future generazioni di spettatori, uno dei più intensi e toccanti monologhi della storia del cinema. Non a caso, l’epilogo affidato dal regista di Borat al personaggio di Aladeen ne Il Dittatore rielabora quella celebre sequenza, consegnando al personaggio interpretato magistralmente da Sacha Baron Cohen il compito di pronunciare un divertentissimo discorso a favore della democrazia al cospetto dei membri dell’ONU, lui che sin dalla tenera età si era battuto per assicurarsi che quella forma di governo non potesse mai arrivare in un paese che ha così “amorevolmente” oppresso.
Per il suo dittatore, Larry Charles rincara la dose, non ha paura di sporcarsi le mani, confidando nell’intelligenza di chi acquista il biglietto per andare a vedere la sua ultima ed eccentrica opera. Sin dal suo esordio con la folle commedia musicale del 2003, Masked and Anonymous, ha dimostrato di avere le carte in regola per misurarsi con materia che scotta, anche quando si tratta di andare ad attaccare frontalmente la fede religiosa e le sue forme organizzate, in particolare le tre religioni abramitiche, nel controverso Religiolus del 2008. Ne Il Dittatore non risparmia niente e nessuno, ironizza persino sull’11 settembre nella scena dell’elicottero, ma senza offendere la memoria delle vittime, perché l’obiettivo è un altro ed è ampiamente dichiarato, ossia la diffidenza nei confronti dell’altro a partire dall’istante immediatamente successivo all’attentato che sconvolse il mondo intero. Messo in chiaro questo, la visione diventa travolgente, spassosa, di quelle che non vorresti finissero mai. Come nel folgorante esordio di Chris Morris, Four Lions, anche Charles costruisce uno script e una messa in quadro che usa in maniera intelligente l’arma dell’umorismo nero e del politicamente scorretto per ammonire e far riflettere. Al resto ci pensa la scrittura brillante e fresca, che punta tutto sull’impianto dialogico e sulla gestione ottimale dei tempi comici. La potenza ironica che trasuda dal primo all’ultimo fotogramma di pellicola (da non perdere i titoli di coda e i camei di Megan Fox ed Edward Norton), e in origine dalle pagine della sceneggiatura, mettono nelle condizioni l’operazione di oltrepassare in maniera sapiente gli ostacoli morali grazie alle moltissime gag irresistibili disseminate lungo la narrazione: dal primo discorso davanti alle Nazioni Unite alla scena della corda tesa tra i due palazzi, dalla masturbazione di Aladeen nel magazzino a quella del parto sul pavimento nel negozio di Zoey.

Voto: * * *½

Francesco Del Grosso

 #IMG#Maledetta democrazia!

Il feroce dittatore Ammiraglio Generale Haffaz Aladeen (Sacha Baron Cohen), sovrano del piccolo stato nordafricano di Wadiya, l’uomo più antidemocratico del mondo, deve rendere conto all’ONU del suo operato. Sbarcato negli Stati Uniti insieme al suo braccio destro (nonché cospiratore) Tamir (Ben Kingsley), verrà privato della sua riconoscibilissima e lunga barba, sostituito da un sosia destinato ad approvare la nuova costituzione democratica del suo paese e consegnato accidentalmente ad un’anonima vita normale nel bel mezzo di una nazione straniera. Dopo aver scoperto che i suoi numerosi oppositori da lui stesso condannati alla pena capitale sono ancora vivi e vegeti, avendo solo cambiato nazione, troverà accoglienza e lavoro presso la giovane ecologista Zoey (Anna Faris) che gestisce un alimentari biologico. Ma il deposto dittatore non è per nulla rassegnato a rinunciare al potere ed insieme al ritrovato scienziato Nadal (Jason Mantzoukas), anch’egli fortunatamente scampato alla sua “giustizia”, farà di tutto per introdursi all’assemblea dell’ONU al posto del suo sosia…
Chi è Sacha Baron Cohen?…Anzi, chi non è?…Non è originale, poiché con i suoi personaggi/film precedenti Borat e Brüno non inventava niente di nuovo, mescolando la candid camera al mockumentary, mentre in questo nuovo Il dittatore unisce Woody Allen al ricordo, almeno nel titolo, di un Chaplin in acido; non è raffinato, perché fa della volgarità un credo, eccedendo a tutto campo, senza risparmiare nessuno, di qualunque razza, sesso, credo o nazione egli sia; ma soprattutto è una mente geniale, elemento che si percepisce guardando fino in fondo un film come questo, e capace, ad esempio, di citare in maniera ancora una volta originale, parodiandolo, lo sputtanatissimo orgasmo di Gola Profonda. Tollerando interamente la sua volgarità esasperata, così folle da sfiorare la sublime poesia, si può facilmente intendere quanto sia essa studiata e quanto altro celi dietro di sé. La sceneggiatura scritta ad otto mani lascia trasparire come la breve durata del film non sia dovuta a mancanza di idee, ma ad un loro eccesso, spremuto in meno di un’ora e mezza e culminante nel caustico discorso finale davanti alle Nazioni Unite. Baron Cohen non fa sconti a nessuno, coinvolgendo in due arditi cammei Megan Fox e Edward Norton racchiudendo il peggio dei più famigerati despoti del secolo scorso – Hitler, Gheddafi, Kim Jong-il (cui il film è dedicato allinizio) e Saddam Hussein, al cui libro “Zabibah and the king” si sarebbe parodisticamente ispirato – e trascinando dentro anche il “nostro” Silvio Berlusconi, in una battuta che qui da noi è già in odore di censura.
E Baron Cohen infine, mettendo in piedi per la prima volta una pellicola a soggetto e non basata sull’improvvisazione come le precedenti, si dimostra entertainer di classe, scegliendosi due spalle di lusso come Anna Faris, l’unica vera attrice comica americana vivente, e soprattutto l’irresistibile Jason Mantzoukas, con cui condivide quasi tutti i duetti del film, compreso quello, spassosissimo, sull’elicottero che irride gli ultimi dieci anni di terrorismo anti-occidentale.

Voto: * * *½

Paolo Dallimonti