Scheda film
Regia: Benicio Del Toro, Pablo Trapero, Laurent Cantet, Elia Suleiman, Juan Carlos Tabìo, Gaspar Noè, Julio Medem
Soggetto: dai racconti di Leonardo Padura
Fotografia: Daniel Aranyò e Diego Dussel
Montaggio: Thomas Fernandez, Rich Fox, Véronique Lange, Alex Rodríguez, Zack Stoff
Musiche: Fabien Pisani
Francia/Spagna, 2012 – Drammatico – Durata: 129′
Cast: Josh Hutcherson, Melissa Rivera, Daniel Brühl, Emir Kusturica, Elia Suleiman, Jorge Perugorría, Mirta Ibarra, Vladimir Cruz
Uscita: 8 giugno 2012
Distribuzione: Bim Distribuzione
Sette registi per sette giorni
È davvero un’impresa riuscire a raccontare L’Havana, la sua bellezza luminosa acciaccata dall’intonaco screpolato dei sovraffollati edifici, le sue strade polverose e maleodoranti piene di vita popolate da persone socievoli, piacevolmente estroverse ma mai moleste, gli occhi grandi e sorridenti di bambini minati dalla denutrizione che giocano con vivacità fra le macchine “d’epoca” che intasano il traffico del centro. La realtà è che L’Havana – Cuba, più in generale – è un luogo incredibile, che a chi ha la curiosità di lasciarsi alle spalle il contraddittorio (e probabilmente inappropriato) lusso dei resort di Varadero e delle località più turistiche apre le porte di una vera e propria esperienza di vita, che insegna, stupisce, stravolge e annulla ogni preconcetto: un’autentica rivoluzione, ben lontana da quella che ha portato il Paese di Fidel Castro ad essere un casus politico-gestionale del bene pubblico.
Presentato a Cannes nell’ambito della selezione ufficiale di Un Certain Regard, 7 Days in Havana è un patchwork di suggestioni ispirate ai racconti dello scrittore cubano Leonardo Padura: attraverso sette corti, ognuno dedicato a un giorno della settimana, sette registi di fama internazionale sono stati invitati a portare sullo schermo il loro modo di percepire e cogliere i vari volti della città.
Benicio Del Toro, Pablo Trapero, Laurent Cantet, Elia Suleiman, Juan Carlos Tabìo, Gaspar Noè e Julio Medem: sono questi i cineasti selezionati per raccontare le diverse sfaccettature de La Havana e le tante possibili dinamiche dei suoi abitanti, sospesi fra il desiderio di fuga e l’attaccamento alla propria terra e alle proprie radici.
Come spesso accade nei progetti episodici è difficile trovare in 7 days in Havana uno sviluppo coerente e coeso in funzione del risultato finale, dal momento che intraprendendo strade stilistiche e formali diverse, non tutti i vari capitoli paiono davvero sdoganarsi dai cliché, sebbene il pregio del film nel suo complesso sia quello di cercare di fornire al pubblico un’immagine inedita della capitale cubana, meno patinata e più vicina al fervore e all’esuberanza reale, che va a contrapporsi a quella povertà generale che abbraccia davvero tutti e innesca dinamiche di solidarietà e supporto apparentemente insperate.
Non tutti i corti sembrano riuscire a scavare davvero in profondità nell’analisi dei diversi spaccati sociali e non è un caso forse se gli episodi più efficaci finiscono per essere quelli che più di altri dimostrano di saper giocare e lavorare sull’assurdo e l’astrazione: è il caso di Elia Suleiman e del suo “Diary of a beginner” (il migliore in assoluto) ma anche (sia pure parzialmente) di Pablo Trapero che con “Jam Session” conduce uno spaesato e perennemente ubriaco Emir Kusturica alla scoperta della vita notturna della città. Il linguaggio si appesantisce e le suggestioni paiono più retoriche e meno ispirate quando ci si addentra nel territorio dell’amore e di quel combattuto sentimento che anima chi è dilaniato dalla scelta sul rimanere a Cuba o cercare la propria fortuna altrove: soprattutto “La tentaciòn de Cecilia” di Julio Medem pare incartarsi nelle traiettorie amorose della protagonista, combattuta fra l’amore per il proprio compagno e le proprie aspirazioni professionali che potrebbero portarla a lasciare il Paese, e non sembra riuscire a disegnare un ritratto davvero lucido della storia cui vorrebbe dare forma finendo per dare vita a un segmento decisamente pasticciato. Benicio Del Toro (“El Yuma”) e Juan Carlos Tabìo (“Dulce Amargo”) calibrano con attenzione il rapporto fra i personaggi e la contestualizzazione dell’ambiente: se Del Toro accompagna lo spettatore nel suo primissimo confronto con la città (il suo è il primo episodio) con un rapido tour in auto che guida il suo giovane protagonista alla scoperta dei luoghi simbolo della capitale e si lascia andare alla movida nei locali notturni, raccontando La Havana dal punto di vista di un turista appena giunto a Cuba, Tabìo osserva la città attraverso lo sguardo degli autoctoni cercando di fotografare la quotidianità di una famiglia che sta per essere sconvolta da una scelta decisamente importante, in un intreccio generale che si lega ad altre porzioni del progetto.
Decisamente meno ispirato Gaspar Noè che con “Ritual” cerca di soffermarsi sulle suggestioni più “tribali” con un’incursione notturna che fotografa la cerimonia di “purificazione” di una giovanissima scoperta dai genitori dopo una notte d’amore con una ragazza, dove si cerca di sintetizzare il volto cubano più arcaico con una parentesi decisamente cupa che pare in totale distonia con l’atmosfera generale del film; e la religione ritorna – sia pure con forme e risultati decisamente diversi – nell’episodio conclusivo firmato da Laurent Cantet (“La Fuente”), che si sofferma sull’allestimento di una festa domestica in onore della Vergine i cui preparativi sono guidati da una pittoresca signora che sostiene di aver comunicato con la Santa in sogno e di aver ricevuto le dovute indicazioni.
Prodotto da Full House, Morena Film e da Havana Club International nell’ambito del programma Havana Cultura per la promozione e la diffusione della cultura cubana contemporanea, 7 days in Havana è un progetto composito di difficile catalogazione che non sempre sembra riuscire a cogliere davvero nel segno, vittima talora di qualche eccessivo slancio di esotismo ma che come spesso accade nei progetti episodici sa regalare anche degli squarci decisamente più suggestivi.
Voto: * * *
Priscilla Caporro