Scheda film

Regia: Gary Ross
Soggetto: dal romanzo di Suzanne Collins
Sceneggiatura: Gary Ross, Suzanne collins, Billy Ray
Fotografia: Tom Stern
Montaggio: Christopher S. Capp, Stephen Mirrione, Juliette Welflin
Scenografie: Philip Messina
Costumi: Judianna Makovsky
Musiche: James Newton Howard
USA, 2012 – Fantascienza – Durata: 142′
Cast: Jennifer Lawrence, Josh Hutcherson, Liam Hemsworth, Woody Harrelson, Elizabeth Banks, Lenny Kravitz, Stanley Tucci
Uscita: 1° maggio 2012
Distribuzione: Warner Bros

 Panem è uno stato totalitario…

Panem è uno stato totalitario nato dalle ceneri degli Stati Uniti, che esige annualmente un “Tributo” dai 12 Distretti che un tempo si ribellarono al potere centrale. In ogni Distretto vengono estratti a sorte un ragazzo e una ragazza, destinati a combattere negli “Hunger Games”, trasmessi in diretta televisiva. Quando nel Distretto 12 viene sorteggiata la giovanissima Primrose Everdeen, sua sorella Katniss si offre volontaria per sostituirla. Dopo un breve periodo di allenamento a Capitol City, che ha anche la funzione di presentare alle platee televisive i vari concorrenti, i 24 prescelti si affronteranno in uno scontro all’ultimo sangue, in cui può esserci un solo vincitore.
Innumerevoli sono i predecessori di Hunger Games, tratto dal primo libro della fortunata trilogia di Suzanne Collins, a partire dai pionieristici Rollerball (1975) e Anno 2000: la corsa della morte (1975), i quali immaginavano, con piglio satirico, società totalitarie in cui si ricorreva ai ludi gladiatorii in funzione di oppiaceo di massa. In seguito venne “L’uomo in fuga” (1982) di Richard Bachman (alias Stephen King) e il relativo film L’Implacabile (1987), che agganciava con bella intuizione questa tematica al consumo passivo della violenza, esperita dall’inebetito spettatore mediante la fruizione televisiva. E questo, si noti bene, assai prima che esistessero i reality show. Altro tassello essenziale nel furioso riciclaggio operato dall’autrice americana è naturalmente il survival “Battle Royale” (1999) di Koushun Takami (e il conseguente film di Fukasaku), crudele mattanza di scolaretti su un’isola deserta, nonchè, in misura minore, Contenders – Serie 7 (2001), nerissimo reality che recuperava suggestioni della fantascienza sociologica di Robert Sheckley.
Hunger Games è dunque distopia di riporto, e sarebbe arduo rintracciarvi un’idea originale anche esaminandolo al microscopio. La medesima cosa si può affermare della sua trasposizione cinematografica, ma considerando che spesso il cinema coltiva una vocazione cannibalesca nutrendosi di altro cinema, non si può negare che il film di Gary Ross possegga una sua coerenza derivativa, anche se risulta lampante l’intenzione di farne il primo episodio di una trilogia che possa sostituire Twilight nel cuore dei teen-ager di tutto il mondo. Essendo un film rivolto a un pubblico di adolescenti, ne consegue che la violenza sia assai edulcorata e spesso fuori campo, allo scopo di evitare divieti che vadano (in America) oltre il PG-13.
E’ naturale che uno stato chiamato Panem sia prodigo di “circenses”, onde affermare la propria supremazia politica e tener sedate le masse lavoratrici, relegate in condizioni di estrema indigenza nei 12 Distretti. Il Distretto di minatori da cui proviene Katniss Everdeen, provetta amazzone esperta nel tiro con l’arco, sembra infatti immerso negli anni della Grande Depressione. Scenografie, tipologie dei volti e abbigliamenti evocano con intelligenza l’America di John Steinbeck, immortalata splendidamente nel Furore di John Ford, o le fotografie d’epoca di Walker Evans. All’opposto, la sfarzosa Capitol City è l’apoteosi della decadente opulenza delle classi dominanti. Il rimando visivo più immediato è questa volta alle architetture parafasciste degli anni ‘30, e al Brazil (1985) di Terry Gillian per l’eccentricità dei costumi e delle acconciature. Spazio intermedio tra queste due realtà inconciliabili, opposte anche cromaticamente, è l’arena, all’interno della quale si affronteranno i “Tributi”. Uno spazio naturale, sia pure manipolabile a volontà da Seneca, architetto dei Giochi, che richiama la mitologia tutta americana della “wilderness”. Della natura selvaggia e incontaminata, che può essere fonte di pericolo ma anche di ritorno all’innocenza primigenia, lontana dalle limitazioni delle norme sociali. In questo senso il personaggio di Katniss Everdeen, eroina armata (non a caso) di arco e frecce, resuscita un archetipo fondativo della cultura americana, il mito della frontiera. Tale matrice culturale esiste però a priori, implicitamente, senza che nessuno avverta la necessità di evocarla in maniera consapevole.
Hunger Games lascia poco spazio alla satira, limitandosi a parallelismi, anche ovvi, con il mondo contemporaneo. Si accontenta di constatare lo stato delle cose a beneficio di generazioni cresciute con reality alla “American Idol”, che aspirano ai proverbiali 15 minuti di celebrità. Il mentore Haymitch (un gigionesco Woody Harrelson) raccomanda a Katniss e a Peeta Mellark, il secondo “Tributo” del Distretto 12, di accattivarsi le simpatie del pubblico e degli sponsor, magari simulando una storia d’amore che possa commuovere le platee. Lo stilista Cinna (un carismatico Lenny Kravitz) studia per la coppia un look che possa impressionare gli spettatori, il presentatore Caesar Flickerman (un istrionico Stanley Tucci) simula incoraggiamento, entusiasmo e apprensione per la sorte dei concorrenti, mentre il Presidente Snow (un luciferino Donald Sutherland) manovra gli eventi dietro le quinte, assicurandosi che i dannati della terra restino tali.
Gary Ross è regista dalla personalità non eccelsa, che finora aveva firmato solamente il didascalico e “grazioso” Pleasantville (1998) e l’ennesima versione di Seabiscuit, di cui nessuno avvertiva la mancanza. In questo caso smussa i pochi angoli presenti nel romanzo, senza mai riuscire a comunicare una sensazione di vero pericolo per la sorte di Katniss. Malgrado questo, indovina qualche finezza (Primrose che si aggiusta il vestito) e almeno una sequenza riuscita, quella che segna l’inizio dei Giochi. Quando i concorrenti devono impossessarsi delle armi custodite nella Cornucopia, Ross risolve tutto con camera a mano, restringimenti di campo e montaggio frammentato, facendoci intuire la violenza senza rappresentarla esplicitamente. Un momento di grande impatto, che però non si ripeterà.
Jennifer Lawrence, che era parsa una rivelazione nel bel Winter’s Bone di Debra Granik, continua a mirare agli scoiattoli ma appare smarrita e opaca, malgrado il costante corteggiamento della macchina da presa. Pollice verso anche per Josh Hutcherson (Peeta), tedioso innamorato pronto all’estremo sacrificio. Per la cronaca, Steven Soderbergh ha diretto le scene della rivolta al Distretto 11, dopo la morte di Rue.

Voto: * * *¼

Nicola Picchi

 #IMG#Saranno ammazzati

In un futuro che speriamo tutti lontano, gli Stati Uniti sono stati disgregati da una guerra civile che ha portato alla nascita di una nazione chiamata Panem, divisa in dodici distretti. Ogni anno, in memoria di quel sangue allora sparso, ogni regione deve estrarre a sorte una ragazza ed un ragazzo tra i dodici ed i diciotto anni, da consegnare come “Tributi” alla capitale, Capitol City, che li farà partecipare agli “Hunger Games”, una specie di reality, seguito in TV da tutta la nazione, i cui concorrenti dovranno eliminarsi fisicamente, finché ne resterà uno solo. Quando per il dodicesimo distretto viene estratta la piccola Primrose Everdeen (Willow Shields), sua sorella Katniss (Jennifer Lawrence) per salvarla si offrirà, prima nella storia dei giochi, volontaria. Brava nel tiro con l’arco, la ragazza, insieme a Peeta Mellark (Josh Hutcherson), l’altro sorteggiato per quel distratto, cercherà di vendere cara la pelle, rivelandosi un duro ostacolo non solo per gli altri concorrenti, ma anche per gli stessi giochi…
Ritorno dietro la macchina da presa di Gary Ross che nel 1999 ci impressionò con Pleasantville, riflessione sul ruolo della televisione nell’America degli anni cinquanta, accostata a quella della fine del secolo scorso. Con Hunger games il discorso si fa ancora più complesso, poiché, ispirandosi alla trittico di romanzi della Collins e fiducioso nell’iniziare una nuova redditizia trilogia cinematografica, confronta noi spettatori degli attuali ed ormai stanchi reality show con quelle che potrebbero essere le attese del pubblico futuro. Numerosissime le suggestioni provenienti da film precedenti: escludendo le varie pellicole su gente che si uccideva per spettacolo, primi fra tutti L’implacabile di Paul Michael Glaser, The contenders serie 7 di Minahan ed il più citato ed estremamente affine Battle Royale di Fukasaku, troviamo un po’ di The Truman show, un pizzico di Un tranquillo weekend di paura, una punta de La fuga di Logan e, per le atmosfere ed il look pop, nonché per la storia, una bella dose de La decima vittima di Petri. Ancora più evidente l’allusione al modello adottato dalle più note dittature europee che la storia abbia conosciuto, ossia l’Impero romano: Panem comprende gli annessi ed immancabili “Circenses” (ossia, qui, i neo-gladiatori nell’arena mediatica), Capitol City accenna al Campidoglio, le architetture della città si ispirano al ventennio fascista (che a sua volta si richiamava a Roma), il personaggio dello stilista interpretato da Lenny Kravitz si chiama Cinna, e numerosi sono i nomi romani, dal Caesar Flickman (Stanley Tucci), presentatore dello show, ai vari Seneca Crane (Wes Bentley), Claudius Templesmith (Toby Jones) e Cato (Alexander Ludwig).
Non manca neanche qualche accenno al cyberpunk, in particolare nel contrasto tra le zone rurali e l’iper-tecnologica capitale, come pure nei proiettori con cui al distretto di Katniss stanno seguendo il crudele spettacolo.
Il target è dichiaratamente quello giovanile, alludendo alla grande quantità di violenza più che mostrandola, utilizzando ad esempio nel momento dell’inizio dei giochi una movimentata camera a mano, sia per restituire la concitazione dell’azione, ma soprattutto per sfumare tra i movimenti inconsulti della macchina da presa la feocia ed il sangue.
Notevole poi la prova della Lawrence, con i suoi sorrisi tra l’inquietante e l’enigmatico, la quale all’inizio, trovandosi nell’ambiente rurale del distretto 12, sembra appena uscita dal precedente Un gelido inverno di Debra Granik e si propone come valida e più rassicurante rivale della pure giovane e bionda Evan Rachel Wood.
Purtroppo il sontuoso spettacolo di – e in – Hunger Games, in mezzo ad eventi virtuali fin troppo reali per essere credibili ed accettabili (l’incendio, le esplosioni ed i mostruosi e voraci cani scatenati addosso agli ultimi concorrenti come vengono realmente generati?!), finisce per diventare vittima di se stesso: quando le audaci e furbe scelte di Katniss metteranno in crisi il meccanismo e la natura dei giochi in sé, meta-cinematograficamente anche la narrazione subirà un grave contraccolpo, mandando in tilt un racconto che fin lì era andato avanti con un ritmo elevato e senza alcun intoppo.
Il finale, prevedibilissimo, risolleva l’animo dello spettatore mostrando il destino segnato di Seneca ed il presidente Snow (Donald Sutherland) visibilmente in crisi, aprendo naturalmente ad un già programmato ed inevitabile seguito.

Voto: * * *½

Paolo Dallimonti