Scheda film
Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Gianluca e Massimiliano De Serio
Fotografia: Piero Basso
Montaggio: Stefano Cravero
Scenografie: Giorgio Barullo
Costumi: Carola Fenocchio
Musiche: Plus (Minus&Plus)
Italia/Romania, 2011 – Drammatico – Durata: 103′
Cast: Roberto Herlitzka, Olimpia Melinte, Ignazio Oliva, Stefano Cassetti, Cosmin Corniciuc
Uscita: 20 gennaio 2012
Distribuzione: Cinecittà Luce
Sale: 10
“Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me…”
La giovane Luminiţa (Olimpia Melinte) è una clandestina moldava che, vivendo alla giornata e di espedienti nello scenario di un’asettica Torino, prende di mira l’anziano e malato Antonio (Roberto Herlitzka). Dopo averlo seguito in ospedale, dov’è ricoverato per un malore, ed averlo ripetutamente derubato, continua a pedinarlo anche fuori, fino ad introdursi in casa sua con la forza ed a tenerlo sequestrato nella stessa abitazione. Pian piano tra i due, complice un piano criminale ordito dalla ragazza ai danni di terzi, nascerà uno strano connubio, un rapporto basato sulla pietà e l’aiuto reciproco.
Autori del documentario Bakroman sui ragazzi di strada di Ouagadougo in Burkina Faso, uscito in sala l’anno scorso, i fratelli De Serio debuttano nel lungometraggio di finzione con un’opera spiazzante e necessaria, complessa e solidamente costruita. Ispirandosi alle sette opere di misericordia della Chiesa cattolica, quelle che ogni cristiano dovrebbe compiere almeno una volta nella propria vita, già illustrate da Caravaggio in un suo celebre dipinto, ne danno un’interpretazione completamente nuova ed aggiornata ai giorni nostri. Comparendo sotto forma di ingombranti didascalie nel corso del film, filtrate da uno sguardo squisitamente ironico, che però si affievolisce e si ribalta lungo la narrazione, le “opere” scandiscono il racconto. Ecco così che “visitare gli infermi” e “dar da mangiare agli affamati” descrivono come invece derubarli, mentre “alloggiare i pellegrini” diventa entrare in casa del più debole con violenza e “dar da bere agli assetati” significa placare un neonato rapito mettendogli in bocca niente di più che una goccia d’acqua; e se “visitare i carcerati” vuol dire ricordarsi di un povero vecchio che è stato sequestrato, “vestire gli ignudi” è aiutarlo a lavarsi ed a indossare di nuovo i propri abiti; infine “seppellire i morti” assume i molteplici significati di regolare i conti con questo mondo ingiusto.
I due fratelli torinesi, nati e cresciuti nella periferia nord del capoluogo piemontese che raccontano nei più intimi dettagli, con la storia di Luminiţa ed Antonio colpiscono nel segno. Dotati entrambi di poca voce, l’una perché straniera, l’altro poiché tracheostomizzato, si spiegano meglio coi fatti. Due universi di povertà, figli di due periodi differenti di congiuntura (i nostri anni ed il dopoguerra) e di due diversi mondi in crisi (l’Est e l’Italia), che possono vincere soltanto fermandosi l’uno di fronte all’altro, a guardarsi con reciproca pietà, dando inizio all’integrazione, dentro e fuori la strana coppia. Così, quando lei lo assisterà verso alla fine dei suoi giorni, spontaneamente si definirà davanti ai curanti come sua “badante”.
Girando in uno stile sobrio ed essenziale, ricco di piani frontali e simmetrici, i due registi non rinunciano al cinemascope, per (rac)cogliere tutti gli infiniti elementi della periferia e per meglio indagare l’animo umano, mettendo così i personaggi di fronte, in una sorta di duello leoniano, senza dimenticare il lieve tocco della poesia.
Così questo thriller degli umani sentimenti si conclude con una sorta di trasfigurazione dei figli più deboli di questo nostro mondo, come Luminiţa ed Adrian, che, immersi nella folla di un autobus, dal quale molto probabilmente sono semplicemente scesi, lasciando i sedili vuoti, immersi nella luce sovraesposta dello sfondo, sembrano invece essere svaniti in quell’anonimato, surrogato di una normalità che hanno sempre desiderato e che la nostra meschinità ha sempre ricercato nei loro confronti, come fossero veramente solo cadaveri scomodi, nient’altro che morti da seppellire.
Raro perché… è un film lucidissimo ed impietoso sui nostri tempi.
Voto: * * * *
Paolo Dallimonti