Scheda film
(Tr. lett.: Lo stregone ed il serpente bianco)
Regia: Tony Ching Siu-Tung
Fotografia: Keung Kwok-Man
Montaggio: Angie Lam
Costumi: William Chang
Musiche: Mark Lui
Cina/Hong Kong, 2011 – Azione/Fantasy – Durata: 95‘
Cast: Jet Li, Eva Huang, Raymond Lam, Charlene Choi, Wen Zhang, Jiang Wu, Vivian Hsu
Uscita nel paese d’origine: 28/29 settembre 2011
Shuzen, millenario serpente in sembianze femminili…
Suzhen, millenario serpente in sembianze femminili, salva dall’annegamento l’erborista Xu Xian, instillandogli la propria essenza vitale con un bacio. Suzhen e Xu Xian s’innamorano, ma trovano sulla loro strada Fa Hai, abate del tempio Jinshan, determinato a impedire un’unione che va contro le leggi della natura.
Quella del contrastato amore tra Xu Xian e il Serpente Bianco è una delle più antiche leggende cinesi, risalente alla dinastia Tang. Rielaborata più volte nel corso dei secoli con alcune varianti, fu restituita in forma narrativa durante la dinastia Ming da Feng Menlong, letterato che pubblicò tre raccolte (Sanyan) di novelle e canzoni popolari, spesso desunte dal folklore. Innumerevoli gli adattamenti nel cinema, nella televisione e nell’opera cinese, né la notorietà della storia si arrestò ai confini nazionali, tanto che ad essa si ispirò Hakujaden (1958), il primo anime a colori. Tralasciando la versione operistica degli Shaw Brothers del 1962, l’adattamento più noto è senz’altro il Green Snake (1993) di Tsui Hark che, sulla scorta di un racconto di Lilian Lee (l’autrice di “Addio, mia concubina”), ne diede una versione sottilmente sovversiva. Il vero protagonista era infatti Qingqing, il Serpente Verde, interpretata dall’inarrivabile Maggie Cheung, e Tsui Hark spostava l’accento sui metodi polizieschi e sugli intenti repressivi del monaco buddhista, consentendo ai più capziosi di interpretare il film in chiave di allegoria politica, visto l’approssimarsi dell’handover.
In The Sorcerer and the White Snake, scelto per inaugurare la sezione di mezzanotte alla Mostra di Venezia 2011, Ching Siu-tung è invece attratto dal lato favolistico della leggenda. Dopo l’indifendibile An Empress and the Warrior (2008), regredisce all’infanzia del cinema attraverso le lusinghe degli effetti digitali del veterano Eddie Wong (The Legend of Zu), inseguendo un ingenuo senso del meraviglioso alla Méliès. Lagnarsi dell’inadeguatezza degli effetti CGI è segno di fraintendimento, dato che l’operazione tentata da Ching non è tanto dissimile da quella dei primi registi cinesi che, nella Shanghai degli anni ‘20, disegnavano manualmente piogge di spade, aquile volanti e raggi luminosi sui fotogrammi, o dalle rudimentali animazioni di Buddha’s Palm (1964). Non c’è traccia della barocca superfetazione di un Kazuaki Kiriya (Kyashan, Goemon), solo della volontà di inscriversi appieno nella tradizione del “wuxia shenguai”, ovvero con elementi fantastici, demoni e spiriti, in pieno rispetto dell’ortodossia. Il paradosso consiste semmai nel riuscire a ottenere un risultato così piacevolmente inattuale, mediante l’utilizzo di tecnologie che si vorrebbero avanzate. L’onnipresente colonna sonora di Mark Lui, melodica e struggente, sottolinea atmosfere e stati d’animo come ai tempi del cinema muto. Accompagnamento musicale e immagini sono infatti assai più rilevanti dei dialoghi, che potrebbero con maggior efficacia essere sostituiti da didascalie.
Il tradizionalismo si estende anche al trattamento dei personaggi. Il monaco interpretato da Jet Li è zelante e inflessibile ma anche giusto e compassionevole, molto diverso dal personaggio ipocrita raffigurato da Vincent Zhao nel film di Tsui Hark, né cede alle seduzioni della carne come il suo predecessore. Il regista non tralascia inoltre animali parlanti (notevole Lam Suet gallinaccio), demoni-vampiro, spiriti-volpe e provvidenziali radici magiche, inserendo, ad alleviare la tragica storia d’amore (titolo alternativo: It’s Love), gustosi intermezzi comici delegati al discepolo Weng Ren e a Qingqing, il Serpente Verde, sorella di Suzhen.
Jet Li recita se stesso, Eva Huang e Charlene Choi non raggiungono la malizia e il carisma di Maggie Cheung e Joey Wong, mentre sono assai efficaci Raymond Lam (Xu Xian) e Wen Zhang (Weng Ren), cacciatore di demoni che, in via di trasformazione, teme di perdere la faccia.
Ching Siu-tung, sopraffatto dall’artificiosa patinatura retrò, smarrisce per strada quella insuperabile ritmica di montaggio che faceva la grandezza della trilogia di A Chinese Ghost Story, rimanendo in bilico tra l’elegia nostalgica e il prodotto per famiglie.
RARISSIMO perché… è un film molto particolare, destinato ai veri fan del “wuxia shenguai”.
Note: passato al Festival di Venezia 2011, non è MAI uscito in Italia.
Voto: * * *½
Nicola Picchi