Scheda film
Regia: Kevin Macdonald
Sceneggiatura: Dennis Kelly
Fotografia: Christopher Ross, BSC
Montaggio: Justine Wright
Scenografia: Nick Palmer
Costumi: Natalie Ward
Musiche: Ilan Eshkeri
G.B., 2015 – Avventura/Thriller – Durata: 115′
Cast: Jude Law, Scoot McNairy, Tobias Menzies, Grigoriy Dobrygin, Ben Mendelsohn. «continua Jodie Whittaker, David Threlfall, Konstantin Khabenskiy, Sergey Puskepalis, Michael Smiley, Sergey Veksler, Sergey Kolesnikov, Bobby Schofield
Uscita: 16 aprile 2015
Distribuzione: Notorius Pictures
Pronti a tutto
Precauzione per la visione: qualora soffriate di claustrofobia o di ansia causata da ambienti chiusi, sarebbe meglio evitarla, ma siccome è una pellicola che val la pena vedere, quantomeno vi informiamo così potete prepararvi psicologicamente.
Ci stiamo riferendo a Black Sea, l’ultimo lungometraggio diretto da Kevin Macdonald, capace di inchiodare sulla poltrona lo spettatore dal primo all’ultimo minuto, senza alcun calo e facendo vivere sulla propria pelle quella sensazione d’angoscia che i protagonisti provano. Sottolineiamo in particolare questa emozione, perché è quella preminente, ma lo sceneggiatore Dennis Kelly, a cui si aggiunge il lavoro di messa in quadro e il montaggio di Justine Wright, riesce a dar luogo a un mix di pulsazioni – dall’adrenalina alla disperazione, dalla rabbia allo sconforto. A darne corpo ci pensano gli interpreti straordinari e giusti per ogni ruolo, su tutti spicca un immenso Jude Law, il quale dona al suo Robinson corpo e anima.
I titoli di testa scorrono su delle immagini – come quella di Hitler – e su colori “parlanti” che comprenderemo solo dopo, quando la vicenda e la “missione” prenderanno piede.
Il nostro protagonista ci appare inquadrato di spalle e subito spicca quella fisicità che tornerà soprattutto in alcune scene, abitando quel luogo chiuso con la possibile clausola: «senza via di scampo». Macdonald dà il via, nei primi fotogrammi, a un gioco di fuochi che diventa meno evidente man mano che Robinson e la situazione vengono messi a fuoco, creando, così, una sottile linea guida per la platea di turno. Parallelamente la fotografia muta marcando significativamente il passaggio dall’essere sulla terraferma e vedere il cielo e gli interni sott’acqua.
L’uomo è disincantato, arrabbiato e fiaccato dal corso della sua vita, dopo un matrimonio conclusosi bruscamente e un figlio con cui non ha più rapporti, viene anche licenziato dalla società di recupero relitti. Un altro amico e collega che ha perso il lavoro gli rivela l’esistenza di un relitto di un sottomarino russo che trasportava un carico d’oro dalla Russia di Stalin alla Germania di Hitler, si trova, però, sul fondale del Mar Nero e l’avventura comporta i suoi rischi.
Quanto questi ultimi sono superabili dai limiti umani? Fino a che punto può spingersi l’uomo in nome di un’idea di riscatto? E dei soldi? Queste sono solo alcune delle domande che Black Sea ci pone. Non è la prima volta che il regista de L’ultimo re di Scozia (2007) esplora le risposte che l’uomo può dare (da quelle fisiche a quelle psicologiche, oltre che allo stato d’animo) in situazioni in cui è messo alla prova e in quest’opera, attraverso i membri dell’equipaggio, si raffigurano possibili conseguenze di una “guerra tra poveri” insieme alle incomprensioni che possono sorgere di fronte a lingue e obiettivi diversi.
Per quanto la sensazione di claustrofobia sia peculiarità dei film di sottomarini, non è semplice restituirla e Black Sea ci riesce all’ennesima potenza, per un attimo sembra che si tiri il fiato, ma basta qualche minuto – o ancor meno, secondi – e tutto è di nuovo in discussione. Ci sono limiti, aspirazioni che possono far oltrepassare la linea di demarcazione e sfiorare punte di follia e per quanto la storia di Black Sea possa risultare estrema, in realtà è metafora della condizione (dis)umana in cui si ritrovano i piccoli pesci oggi. «È una storia dei nostri tempi. Questi sono uomini abili, eppure nell’economia attuale sono stati lasciati ai margini e giudicati come ormai inuti. Quando vengono avvicinati con la prospettiva di recuperare dell’oro dal fondo del mare, e venire ricompensati per questo, è un incentivo sufficiente per mettere a rischio ciò che è rimasto delle loro vite – e delle loro anime» – afferma il produttore Charles Steel.
Who will survive?
Voto: 7 e 1/2
Maria Lucia Tangorra