Scheda film
Regia: Christopher Nolan
Soggetto e Sceneggiatura: Jonathan Nolan e Christopher Nolan
Fotografia: Hoyte Van Hoytema
Montaggio: Lee Smith
Scenografie: Nathan Crowley
Costumi: MAry Zophres
Musiche: Hans Zimmer
Suono: Drew Kunin (Canada) e Mark Weingarten (USA e Islanda)
USA/G.B., 2014 – Fantascienza – Durata: 169′
Cast: Matthew McConaughey, Anne Hathaway, Jessica Chastain, Wes Bentley, Matt Damon, Mackenzie Foy, Elyes Gabel
Uscita: 6 novembre 2014
Distribuzione: Warner Bros Pictures
Blockbuster
Il nostro pianeta è sconvolto da drastici cambiamenti climatici che hanno devastato l’agricoltura terrestre. L’unico prodotto agricolo sopravvissuto alle intemperie è il granoturco, così un gruppo di scienziati decide di intraprendere un viaggio spaziale attraverso un wormhole per trovare luoghi in cui la vita sia possibile. Il viaggio attraverso un portale interdimensionale conduce gli esploratori a una destinazione che trascende la conoscenza scientifica.
Se anche non sapessimo che Interstellar fosse un film di Christopher Nolan, lo capiremmo comunque guardandolo. Il regista inglese ha ormai creato un proprio modus operandi ben preciso e delineato attraverso gli anni, da quando esordì con quello che tutt’ora è considerato il suo lavoro più riuscito, Memento, fino a quando completò la trilogia del Cavaliere Oscuro. I suoi lavori sono sempre stati visivamente molto potenti, e quest’ultimo non fa eccezione. Pur non servendosi di computer grafica infatti (o proprio per il fatto che non se ne serve), il cast tecnico di Interstellar riesce a dare una notevole impronta di realismo a tutto il girato (alla Gravity, se volessimo fare un esempio), aiutato anche da un ottimo e nuovo direttore della fotografia (dato l’abbandono di Wally Pfister che nel frattempo è diventato regista), ossia Hoyte van Hoytema, che ha curato anche l’ottima fotografia di Her di Spike Jonze. Inoltre il metodo con cui Nolan dirige i movimenti di macchina è da sempre ineccepibile, andando dalla camera a mano ad ampie carrellate con piani sequenza molto dinamici, ma mantenendo comunque un impianto squisitamente classico.
Allontanandosi dal contenente, anche il contenuto delle opere nolaniane ha delle connotazioni ben precise, a cominciare dalla stratificazione della trama, che non è mai lineare ma si compone di vari livelli narrativi e argomenti che sicuramente non sono alla portata di tutti, come il concetto di subconscio in un film come Inception, come la frammentazione della memoria in Memento, come un discorso sull’essenza del cinema attraverso un gioco di magia in The Prestige, fino ad arrivare al concetto di relatività temporale in Interstellar, dove l’arco drammaturgico si conforma e si deforma ai balzi cronologici, che sono una causa imprescindibile di un viaggio attraverso un buco nero (anche basandosi sul parere del consulente scientifico del film, il fisico teorico Kip Thorne).
Questo lungometraggio però ha anche una forte componente di contaminazione, prendendo spunto da vari film di fantascienza, in primis dall’opera magna di Stanley Kubrick, 2001 Odissea Nello Spazio, di cui Interstellar vuole essere quasi un omaggio, richiamando la pellicola del ‘68 in alcune scene e in certi stralci della colonna sonora, curata da Hans Zimmer, in secundis dal film di Robert Zemeckis, Contact, che come 2001 e Interstellar, racconta di un’epopea cosmica (anche se in modi radicalmente diversi). Il film di Nolan infatti punta proprio a mischiare questi due approcci cinematografici, ossia la messa in scena e la potenza simbolica del film di Kubrick e l’impianto narrativo classico del film di Zemeckis, con lo scopo ben preciso di riportare il cinema massimalista all’ottimismo e allo splendore degli anni 90, cercando di esorcizzare il pessimismo cosmico che pervade il cinema degli ultimi anni.
Puntare così in alto tuttavia può comportare dei rischi, in cui quest’opera è incappata più di una volta. Il primo atto infatti, risulta troppo repentino (nonostante la durata) nei passaggi narrativi e di analisi dei personaggi (soprattutto nella descrizione del protagonista interpretato da Mattew McConaughey), rendendo lo step drammaturgico del rifiuto iniziale dell’avventura da parte dell’eroe troppo ravvicinato all’accettazione della stessa, dando allo spettatore la sensazione che il regista e lo sceneggiatore (i fratelli Nolan appunto) volessero terminare il più in fretta possibile la prima parte del film, fondamentale per gettare delle basi valide, per arrivare al secondo atto, ossia al cuore dell’opera. Inoltre la contaminazione, di cui si è accennato prima, con tanti altri film di fantascienza, spesso fa scivolare il lungometraggio in un mischione antologico del genere fantascientifico, rendendo cedevole e poco convincente la sua identità intrinseca, trasformandolo in un’opera filmica piuttosto priva di personalità e di spinta innovativa. Un’altra pecca è inoltre l’ormai troppo invasiva colonna sonora di Hans Zimmer, che spesso occlude troppo lo spessore dei dialoghi e forza troppo la mano a delle emozioni che dovrebbero fluire spontanee nello spettatore.
Nonostante questi difetti congeniti tuttavia, c’è da dire che Nolan sta piano piano migliorando nella direzione degli attori. Se infatti nei suoi precedenti lavori gli interpreti risultavano fin troppo algidi e poco empatici, in quest’ultimo il coinvolgimento emotivo è senza dubbio più presente e convincente, anche grazie alla levatura individuale dei premi Oscar Mattew McConaughey e Jessica Chastain, entrambi convincenti nelle loro interpretazioni, riuscendo anche in parte a rammendare i difetti dello script.
In conclusione, anche se non raggiunge lo status di capolavoro o di ottimo film, se proprio vogliamo dare una gerarchia forzata ad un film (esercizio spesso sterile e che si avvicina più al gioco che all’analisi critica, ma tant’è), Interstellar rimane un buon film di fantascienza e Nolan continua ad essere uno dei tecnici più validi del panorama cinematografico mondiale. Prima o poi forse riuscirà anche a diventare un artista.
Voto: 7
Mario Blaconà
#IMG#Alla conquista dello spazio… e del tempo
Il tempo per Christopher Nolan è stato sempre relativo: dalle frammentazioni narrative di Memento e The prestige ai rallenti dilatativi di Inception fino all’ampia saga del Cavaliere Oscuro che racconta passato, presente e (breve) futuro del nuovo Batman.
Qui, al suo debutto nella fantascienza e quindi nella sua conquista dello “Spazio”, ribadisce il concetto appellandosi addirittura al nume tutelare Albert Einstein ed alla sua teoria della relatività generale. Ed il tempo diventa relativo anche nel racconto, assumendo ritmi personalissimi, con ellissi improvvise e ampi dilungarsi (ma senza mai lungaggini).
In un tempo futuro appunto imprecisato, ma spaventosamente molto vicino al nostro presente, ripetute tempeste di sabbia funestano il pianeta e una “piaga” uccide i raccolti, limitandoli al solo granoturco. Cooper (Matthew McConaughey) è un pilota aeronautico, ormai diventato suo malgrado agricoltore, che vive nella sua fattoria con il suocero ed i figli, Tom (Timothée Chalamet) e Murph (Mackenzie Fox). Alcuni misteriosi segnali, piccole alterazioni della gravità vengono interpretate da Cooper come un messaggio in codice binario che lo condurranno alla precedente sede del NORAD, dove una rediviva NASA, che necessità economiche avevano ufficialmente chiuso, sotto la guida del professor Brand (Michael Caine) da lui già conosciuto sta organizzando in segreto una nuova corsa allo spazio. Un wormhole – traduzione: una scorciatoia nell’universo che condurrebbe ad un altra galassia e perciò un altro sistema stellare – aperto da qualcuno che lassù ci ama, una volta attraversato ci porterebbe a potenziali pianeti dove trasferire i sopravvissuti della razza umana. Cooper era l’uomo che mancava.
Con la morte nel cuore per aver lasciato la propria famiglia, ma deciso a donarle un futuro, parte alla volta delle stelle insieme ad un equipaggio formato, tra gli altri, dalla figlia del professore (Anne Hathaway) per verificare tre dei dodici pianeti nell’altro sistema sui quali sono già stati mandati in avanscoperta altri scienziati, da dove sono arrivati segnali di risposta.
Nolan o lo si ama o lo si odia. L’unico cineasta al mondo in grado di mettere su pellicola – letteralmente: rifiuta malgrado tutto il 3D e gira ancora in 35mm e si vede! – mondi e teoremi complessi, come il subconscio di Inception o la metaforica sfida tra illusionisti di The prestige – dove il più grande illusionista era proprio lui, il regista – realizzandone delle versioni “for dummies”, ma ampiamente credibili e fruibili.
La visionarietà di un progetto come Interstellar restituisce una fascinazione visivamente irresistibile che ci fa trascurare parecchi degli elementi incomprensibili (la quinta dimensione, il tesseratto, le anomalie gravitazionali), per i quali, malgrado i tentativi di spiegazione, forse non basterebbe neanche un manuale di fisica al nostro fianco. Veniamo rapiti dalle tensioni narrativa e scenica continue, con momenti eccezionali come la sequenza sul primo pianeta o l’attraversamento del worm-hole, ma, per non farci dimenticare di avere a che fare con un blockbuster, benché di elevata qualità – ce ne fossero! – ci viene regalato pure un bel paradosso temporale, come in ogni grande opera di (questo) genere.
Nolan però mantiene sempre la strada del realismo, mostrandoci spesso la visione in soggettiva dall’ala dell’astronave, come fossimo su un comodo aereo di linea, per darci l’impressione di essere anche noi a bordo. E se si accetta il viaggio di Interstellar (e del suo geniale regista), si rimane attaccati alla poltrona anche quando, più o meno a metà, per un altro ci saremmo alzati, fuggendo sdegnati: nel momento in cui viene tirato in ballo l’Amore. Ma è solo un attimo e ci si ricorda di Aristotele, secondo il quale l’universo e i pianeti si muovono per Amore verso Dio, Primo Motore. Amore contrapposto alla freddezza scientifica, che ci rammenta come e quanto siamo umani. Ed è proprio l’Amore, nel bene e nel male, verso gli altri o se stessi, ad animare Cooper, la figlia di Brand ed il dr. Mann interpretato da Matt Damon.
Come ogni grande film di fantascienza infatti, anche Interstellar, in contrasto coll’immenso siderale, è in fondo un film sull’uomo, quest’essere imperfetto al centro di un mondo molto più grande di lui.
Se Quentin Tarantino copia & incolla, pur con arte e stile, Nolan invece si ispira al passato per reinterpretare e trovare nuovi slanci narrativi: vengono in mente tanti nomi, primo fra tutti Kubrick (e poi il Malick di The tree of life, lo Zemeckis di Contact, più il Carl Sagan suo ispiratore, il succitato Gravity di Cuarón), ma il regista di Memento riesce a creare qualcosa di completamente nuovo e diverso.
Ai trip lisergici di Kubrick e Trumbull, Nolan preferisce il rigore scientifico e l’approccio della fisica quantistica. Tant’è che lo stesso buco nero, assolutamente mozzafiato, alla cui realizzazione il noto fisico Kip Thorne ha contribuito quale consulente, fornendo ai responsabili degli effetti speciali le equazioni necessarie alla visualizzazione, una volta ottenuto ha stupito lo stesso scienziato, regalandogli informazioni nuove ed impensate.
Lo Spazio di Interstellar, forse anche per l’ostinato uso della pellicola, è molto più sporco del pur altamente verosimile Gravity e per questo “vero”, quasi tangibile ed assolutamente credibile e coinvolgente. Nolan si ama o si odia. E noi lo amiano.
Voto: 9
Paolo Dallimonti