Recensione n.1

Qualche anno fa Alexander Payne ha scritto e diretto “Election”, liquidato velocemente come “filmetto” e praticamente ignorato dalla distribuzione italiana. In realta’ il lungometraggio era si’ una commedia, ma dietro un’apparenza di film per teenager (per altro non per forza disprezzabile) fotografava con arguzia la societa’ competitiva in cui siamo immersi, evitando strade consolatorie e non scadendo nel facile dramma. L’arma di Payne e’ l’ironia: un sorriso beffardo per scavare nelle pulsioni, non sempre edificanti, dell’animo umano.
Lo stesso taglio corrosivo, ma pacato, e’ alla base di “A proposito di Schmidt”, che non parla di vecchiaia, o perlomeno non solo, ma racconta la non facile presa di coscienza di un uomo che, dopo essere andato in pensione, si ritrova solo come un cane. L’approccio e’ molto lontano dagli standard hollywoodiani: nessun evento epocale, nessun personaggio ricchissimo dentro ma non capito da un mondo crudele che lo umilia fino alla impossibile ma inevitabile rivincita finale. Il protagonista e’ infatti un uomo gretto che ha sempre vissuto in nome di una placida apparenza: una vita concentrata sul lavoro, con poco spazio per gli altri ma anche per una reale gratificazione personale. La sceneggiatura evita le trappole della redenzione del perdente: nessun personaggio e’ “buono” o ” cattivo”. Tutti sono “tremendamente gentili”, ma la cortesia affettata pare coprire una dolente solitudine e diventa un disperato tentativo di sentirsi vivi, di distinguersi positivamente dagli altri. La narrazione e’ scandita da momenti corali (la festa per la pensione, il funerale della moglie, il matrimonio della figlia) in cui la forma ha il sopravvento: chiunque prende la parola spreca aggettivi come “eccezionale” e “straordinario” riferendoli a situazioni e persone che di eccezionale e straordinario non hanno nulla.
Un trionfo della mediocrita’ come rifugio a un vuoto emotivo che finisce con il diventare incolmabile. Basta pensare che per il protagonista l’unica reale via di fuga alla deriva in cui vegeta e’ il rapporto epistolare con un bambino adottato a distanza: un interlocutore che ascolta in silenzio, una comunicazione ridotta a monologo. Molto ben scritto (dallo stesso Payne insieme a Jim Taylor), diretto con sobrieta’, il film e’ sorretto dalla vigorosa interpretazione di Jack Nicholson. Ruolo perfetto ma a rischio gigioneria; l’attore, pero’, non prevarica il personaggio che, grazie al cielo, non si trasforma in un Joker della terza eta’. Nonostante il carisma dell’interprete, infatti, non si pensa (quasi) mai di guardare Jack Nicholson che fa un vecchio pensionato, ma si entra in sintonia con il personaggio e con il suo stato d’animo. E questa immedesimazione lascia un senso di profonda desolazione, acuito dalla tristezza della provincia americana, con le sue casette perse tra paesaggi sconfinati e egoismi cittadini. Qualcosa potrebbe cambiare, ma forse e’ troppo tardi!

Luca Baroncini

Recensione n.2

A proposito…di Jack

– Ultima fermata ?
Forse, ognuno di noi ha un’ultima fermata, ma prima dell’ora la vita ricomicia od ogni attimo…
Schimdt resta solo molto presto, in pensione e con una compagna che muore d’improvviso.
Cosa fare ?
La tanta agognata libertà, la fine del lavoro, il godersi la vecchiaia, la vita, quel paradiso annunciato in terra che amici, parenti e spot televisivi ci dicono che c’aspetta al compimento del 35esimo anno della nostra vita lavorativa…dov’è?
La realtà è che ci si ritrova soli, come Schimdt, ingrassati, cadenti, disorganizzati, a rimuginare su quello che credevamo non fosse possibile:invecchiare. Così accettiamo tutto, di essere messi fuori dalle decisioni di una figlia ormai adulta e consapevole della propria volontà (e non poterci fare nulla), di una storia, un tradimento subito per via di nostra moglie e il migliore amico di famiglia (e non poterci fare nulla), di non essere più considerati sul lavoro e di comprendere ben presto che “non abbiamo cambiato le cose in nessun modo”. L’unico interlocutore di S. è un bambino africano adottato a distanza, l’unico forse così lontano dai canoni “occidentali” di felicità, capace di una “riflessività obbiettiva”, e S. gli scrive sermpre comunicando, forse all’unico che comprende, tutti gli orrori e le disgrazie di una persona “in fin di vita”.
Un film “diverso” con un ottimo interprete Jack Nicholson che come Schimdt inizia ad accettare l’età ed adeguarsi nei ruoli e nella recitazione. Non esagera, è misurato, malinconico, patetico, bravo come non mai ultimamente in una sceneggiatura che forse è scritta su misura, e in un film che strizza l’occhio al cinema europeo contribuendo ad alimentare però l’impressione che i due “mondi” cienmatografici quando cercano “solamente” d’incontrarsi, danno vita a buoni film che “stonano” però nelle sfaccettature.

Nicola Guarino