Nella Germania del 1945, subito dopo la caduta del nazismo, un ufficiale dell’esercito americano ha il compito di trovare le connivenze tra l’illustre direttore d’orchestra Wilhelm Furtwangler e il regime di Hitler. Il film di Istvan Szabo e’ tutto giocato sul confronto tra i due uomini: da una parte la concretezza di una ricerca meticolosa che aspira a rendere giustizia alle stragi naziste, dall’altra l’irrazionalita’ di un talento che nelle capacita’ espressive della musica trova la sua unica realizzazione. “A torto o a ragione”, pur risentendo della derivazione teatrale, riesce a rendere interessante la staticita’ della messa in scena grazie all’interpretazione degli attori e alla potenza del conflitto rappresentato. Bravissimo Stellan Skarsgard, che interpreta con aderenza i moti interiori di un uomo diviso tra la purificazione dell’arte e i compromessi che ha dovuto/voluto accettare per coronare i suoi sogni di gloria.
Harvey Keitel interpreta con convinzione il maggiore Steve Arnold, ma non esprime quel carisma che avrebbe potuto trasformare l’indagine in uno scontro tra personalita’. In questo non e’ aiutato dalla sceneggiatura, che ci dice poco del suo personaggio e focalizza l’attenzione sulla contrapposizione tra arte ed etica. Facile scegliere una posizione ben definita oggi, forse meno facile schierarsi quando e’ in gioco la propria vita e senza cedere alle lusinghe del potere. Furtwangler avrebbe potuto fuggire all’estero, come molti altri suoi colleghi, ma sceglie di restare e di diventare un uomo immagine del regime, presenziando ad eventi importanti come il compleanno di Hitler. Il film, pero’, non cerca risposte certe e non si preoccupa di giudicare, ma tenta di inserirsi nelle pieghe variegate dell’animo umano, offrendo interessanti spunti di riflessione. Nonostante l’assenza di azione e la prevalenza del dialogo, si partecipa con emozione alle diverse fasi dell’indagini, grazie anche ad una regia essenziale (a volte, pero’, come nella gestione delle comparse o nei pochi esterni, un po’ approssimativa) che preferisce lasciare alla storia piuttosto che alle immagini il compito di parlare alle coscienze.
Luca Baroncini