Un Ragazzo è il titolo italiano del terzo romanzo di Nick Hornby, da cui prende vita questa trasposizione cinematografica prodotta dalla Tribeca di De Niro.
Per lo scrittore è decisamente un momento d’oro: quattro romanzi, tre adattamenti. Prima di About a Boy c’erano stati Alta Fedeltà (portato sullo schermo da Stephen Frears e fortemente voluto dal protagonista e co-produttore John Cusack), e Febbre a 90° (di David Evans, con l’oramai lanciatissimo Colin Firth e un cameo di Hornby stesso).
Al centro della vicenda di About a Boy, troviamo il vacuo Will, trentaseienne che si gode la vita senza lavorare, grazie alle royalties di una canzone natalizia scritta dal padre; e il disadattato Marcus, dodicenne vittima delle angherie dei compagni di scuola, ma soprattutto di una madre hippie e in piena crisi esistenziale, che lo vuol plasmare a sua immagine. L’improbabile amicizia tra Will e Marcus porterà (inevitabilmente) ad uno stravolgimento delle loro vite, con esiti positivi per entrambi.
Questa, in sintesi, la trama di un film che tradisce in ogni momento la sua matrice romanzesca, a partire dalla massiccia presenza delle voice over, le quali riproducono l’alternanza dei punti di vista di Will e Marcus, già presente nel libro. E se il finale viene prontamente riscritto in funzione della maggior spettacolarità richiesta da una produzione di questo tipo, il resto della pellicola segue abbastanza fedelmente il testo di Hornby. Il lettore ritroverà il suo “marchio” nelle battute e nelle situazioni più felici e divertenti del film, mentre noterà nel facile umorismo – basato spesso sul contrasto tra ciò che vediamo e ciò che la voce narrante ci dice – i momenti di maggior distacco. Ma, come spettatore, potrà gustarsi l’interpretazione di Hugh Grant, che pare nato apposta per impersonare il vuoto, cinico e trendy Will.
La commedia è gradevole (anche se non banale e grossolana come certi recenti prodotti americani), è girata con gusto sobrio e leggerezza di tocco (e dietro la mdp ci sono i Weisz di American Pie…), il casting è azzeccato… Insomma, questo adattamento sembrerebbe un’operazione riuscita. Eppure non si riesce ad esserne pienamente convinti: la sensazione di aver assistito alla semplice rappresentazione di un “doppio” del romanzo, che nulla toglie e nulla aggiunge al testo di partenza, preme con insistenza. E senza entrare nella inutile polemica sulla fedeltà della trasposizione, ci si potrebbe domandare: a che cosa serve tutto questo?
Chiudendo sottolineiamo come la musica – uno degli elementi fondamentali del mondo di Hornby – svolga un ruolo primario anche qui, sia sul piano della trama (“Killing Me Softly” cantata al pianoforte e con gli occhi chiusi da Marcus e dalla madre, il cd hip hop regalato da Will a Marcus), sia nella piacevole colonna musicale (autore il bravo Badly Drawn Boy). Eppure, rispetto al romanzo, salta agli occhi la mancanza di Joni Mitchell, Bob Marley e Kurt Cobain. Problemi coi diritti? Chissà…
“Marcus non era scemo. Be’, sì, qualche volta era scemo, come con la storia del cantare, ma non era scemo-scemo, solo un po’ scemo”. (Nick Hornby, Un ragazzo, p. 97, edizioni Guanda, 1998).
Sasha Di Donato