Non mancano immagini impressionanti nell’odissea nello spazio Ad Astra: un paesaggio lunare desolato, un uomo che precipita sulla Terra come una carta dei Tarocchi che precipita da una torre, il luccichio di un’astronave. Eppure, di tutti gli elementi visivi eloquenti del film, il direttore della fotografia illumina soprattutto gli occhi di Brad Pitt.
Durante la storia che si svolge sornionamente l’astronauta Roy McBride, l’attore rivela, ad ogni spostamento del suo sguardo, il graduale risveglio di un personaggio intensamente autonomo. Come Percy Fawcett il protagonista del nuovo film di James Gray è un uomo in missione. Ma Roy non è un credente ossessionato che insegue un sogno apparentemente impossibile; è un inviato riluttante.
Pitt qui lavora sui suoi toni minori e sobri per ottenere un effetto sublime (come  in Once Upon a Time in Hollywood).
Ma mentre meno è di più per l’attore, questo non è necessariamente il caso del film, che tende all’ovvio e spesso finisce alla deriva in un vuoto privo di suspense, animato da una colonna sonora straordinaria, che ne va una sinfoni

 

a visiva prima ancora che narrativa. Anche, la traccia della voce fuori campo che filtra i pensieri di Roy attraverso l’azione virata tra il poetico e lo psicoterapico – a volte amara e incisiva e spesso non necessaria .
Ad Astra ha, a volte, il ritmo meditativo della fantascienza antenata di Solaris, ma certamente non la complessità narrativa. Spogliata fino alle ossa archetipiche, la storia ruota attorno a semplici temi padre-figlio di amore, venerazione, abbandono, paura e desiderio:
Passando da un calvario omerico all’altro, il film può essere ostinatamente poco coinvolgente.
È ambientato in un prossimo futuro in cui il viaggio interplanetario non è solo una cosa, ma una fonte cruciale di speranza; altri mondi potrebbero offrire rimedi ai dolori persistenti della Terra (invisibili, ma possiamo immaginare). La ricerca della vita intelligente è in corso almeno da quando Clifford McBride (Jones) ha portato il Progetto Lima ai bordi esterni del sistema solare, per poi scomparire, insieme alla sua nave e al suo equipaggio.
Sebbene Roy abbia avuto numerosi incontri durante i suoi viaggi dalla Terra alla Luna su Marte e oltre, il suo è essenzialmente un viaggio solitario, un fatto che è sottolineato nella fluente stratificazione di riflessi e ombre di Van Hoytema, nell’eccezionale sound design di Gary Rydstrom, e in tutto il design della produzione di Kevin Thompson.

Da vedere assolutamente!

Voto 7,5

Vito Casale