Scheda film
Titolo originale: Shan he gu ren
Regia e Sceneggiatura:  Jia Zhang-ke
Fotografia: Yu Lik-wai
Montaggio:Matthieu Laclau
Costumi: Li Hua
Scenografie: Liu Quiang
Musiche: Yoshihiro Hanno
Cina/Francia/Giappone, 2015 – Drammatico – Durata: 131′
Cast: Zhao Tao, Zhang Yi, Liang Jin Dong, Sylvia Chang, Dong Zijian
Distribuzione: BIM/Cinema
Uscita: 5 maggio 2016

Jia Zhang-ke utilizza tre diversi formati cinematografici, dal 4:3 al widescreen, cui corrispondono differenti epoche storiche (1999, 2014, 2025), per raccontare i cambiamenti occorsi nella società cinese nell’arco di un quarto di secolo, e il fatto che il regista abbia impaginato per la prima volta un asciuttissimo melodramma rinunciando alla sua peculiare forma ibrida, a metà tra la fiction e il documentario, è forse indice della volontà di realizzare un film più accessibile al grande pubblico. Non per questo rinuncia alle sua tematica abituale, ovvero la disamina dell’impatto dei mutamenti sociali sull’individuo, ma questa volta con un tocco più intimista del consueto, analizzandone effetti e conseguenze su un singolo nucleo familiare.

Shen Tao, i cui genitori possiedono un piccolo negozio di elettrodomestici, deve scegliere tra due pretendenti, i quali la corteggiano con insistenza. Il primo, Zhang Jinsheng, è un imprenditore rampante che possiede un distributore di benzina, mentre il secondo, Liangzi, è un semplice operaio in una miniera di carbone. Tao sceglierà di sposare Zhang, mentre Liangzi abbandonerà la città seguendo il destino di migliaia di lavoratori migranti. Anni dopo Tao e Zhang hanno divorziato, mentre il loro unico figlio, Dollar, vive a Shanghai con il padre. Liangzi, malato di un tumore ai polmoni, torna a Fenyang, dove incontrerà Tao per l’ultima volta, mentre Tao si troverà a fronteggiare la morte del padre e il progressivo allontanamento del figlio. Nella terza parte Dollar, il quale si è trasferito in Australia con il padre, decide di abbandonare gli studi e intreccia una relazione con la sua insegnante.

Jia Zhang-ke parte da Fenyang, la sua città natale già ambientazione di molti suoi film, per approdare sulle remote coste dell’Australia, e a questo spostamento geografico corrisponde un eguale distanziamento culturale. Il formato si espande dalla visuale ristretta del 4:3, a significare le prospettive ancora anguste della Cina di fine millennio, fino ad arrivare alle grandi aperture spaziali concesse dallo schermo panoramico, ma a una visuale più ampia corrisponde solo un più ampio smarrimento. Nel segmento australiano, infatti, il figlio di Zhang e Tao, battezzato sardonicamente “Dollar”, porta emblematicamente al collo le chiavi di una casa in cui non tornerà mai e comunica con il padre mediante il traduttore automatico di Google. La corsa indiscriminata verso il capitalismo, già ferocemente stigmatizzata nel bellissimo Il tocco del peccato (2013), produce alienazione, sradicamento, perdita d’identità, e la libertà dei cinesi della diaspora si rivela solo un’illusione. Il mondo è solo una prigione più grande perché, come commenta rabbiosamente Zhang Jinsheng, “In Cina non posso acquistare armi. Qui posso comprare tutte le armi che desidero, ma non ho nessuno a cui sparare”.

Come si è detto questa volta Jia Zhang-ke utilizza una struttura da mélò, a partire dal classico triangolo iniziale, svuotandola dall’interno attraverso uno sguardo sobrio e distaccato, che sovente si accende di impennate surrealiste. E così un piccolo aereo in fiamme si schianta accanto a Shen Tao, (e qui si pensa agli edifici di Still Life, pronti a decollare come astronavi), un ragazzo la cui figura ricorre più volte porta in spalla una lancia d’epoca imperiale, esplosioni periodiche e fuochi d’artificio si susseguono sulla riva del fiume. L’emozione è invece delegata alle piccole cose, un invito di matrimonio coperto di polvere, una vecchia e melanconica canzone cantonese, un’inquadratura della “vecchia” Fenyang refrattaria alla modernità. Ma l’ironia è amara, a partire dalla foto del matrimonio tra Tao e Zhang, che li ritrae sullo sfondo luccicante quanto fittizio della Sidney Opera House, fino alle note di “Go West” nella versione dei Pet Shop Boys, un esortazione che è diretta conseguenza della politica di Apertura e Riforme inaugurata da Deng Xiaoping vent’anni prima; note che risuonano come un inno gioioso nella Fenyang del 1999, quando il futuro sembra una fonte inesauribile di luminose promesse, ma che ritorneranno ad accompagnare lo struggente controcampo finale nella Fenyang del 2025.

Zhao Tao, moglie del regista e sua collaboratrice abituale, offre una memorabile interpretazione e costituisce il fulcro emotivo del film, tanto che se ne avverte l’assenza durante la parte ambientata in Australia, nella quale Sylvia Chang e Dong Zijian non sembrano del tutto a proprio agio con la recitazione in lingua inglese.

Malgrado Al di là delle montagne sia il film meno apertamente “politico” di Jia Zhang-ke, la censura di Pechino lo ha comunque sforbiciato, eliminando dalla versione cinese la sequenza nella quale Dollar è in intimità con la sua insegnante, si sospetta per un eccesso di “pruderie” confuciana.

Voto: 7 e ½

Nicola Picchi