Recensione n.1

Che sarebbe oggi la Disney senza la Pixar? Domanda legittima, viste le prove incolori che la casa del castello trasparente sforna senza l’aiuto del geniale studio d’animazione californiano. Da Pocahontas a Dinosauri fino al Pianeta del Tesoro, la Disney ha inforcato una serie di film di una mediocrità spaventosa, che annoiavano individui di tutte le fasce d’età e, soprattutto, subivano pesanti sconfitte, non solo artistiche, dai prodotti di case come la Dreamworks, che, puntando ad un target variegato grazie a livelli di lettura diversificati, coglieva costantemente nel segno. Toy Story (1995, primo lungometraggio animato realizzato in 3D) ha invertito il trend, il seguito, A Bug’s Life, Monsters & Co, con i loro successi planetari, hanno convinto la Disney che questa fosse la strada da intraprendere. Quest’anno è il turno di Finding Nemo, uscito a Magio negli Usa, strenna natalizia da noi e capolavoro tecnico di Andrew Stanton e John Lasseter, registi e direttori del team di programmatori. Il livello di rendering del nuovo prodotto Pixar è spinto alle estreme conseguenza, spazzando via ogni ricordo dell’animazione bidimensionale. Il team di programmatori ha fatto davvero le cose in grande, avvalendosi, per i suoi nuovi personaggi, dell’osservazione diretta degli abitanti dei mari, e affrontando il peggior nemico per l’animazione, l’acqua. Il fotorealismo del mare e dei movimenti subacquei è impressionante, frutto di studi specifici e di tecniche d’animazione poligonale appositamente perfezionate. Il concorrente Disney di questo Natale, Sinbad – L’eroe dei Sette Mari della Dreamworks (attendendo il ben più temibile Shrek 2), non può davvero nulla sotto il profilo tecnico.
Sul piano narrativo Finding Nemo è una storia ben poco originale narrata però in modo avvincente con grande ricchezza di battute e di gag visive che, come al solito, si rivolgono ad un pubblico di età assai diverse, offrendo spunti e chiavi di lettura differenti. Si tratta di una sorta di “road movie” acquatico, con il pesce pagliaccio Merlin, coadiuvato dalla “smemorata” Dorie (che alla Pixar siano fans di Memento?) alla ricerca del figlioletto Nemo, orfano di madre e “penalizzato” da una pinna atrofica (bravi gli sceneggiatori a suggire a patetismi da esaltazione dell’handicap) “rapito” da un sub e rinchiuso nell’acquario di un dentista, che lo regalerà alla terribile nipotina. Due piani narrativi distinti, quindi, legati a due ambienti separati (l’oceano e l’acquario) vengono intrecciati, sempre molto schematicamente e in modo assai comprensibile, attorno ai due personaggi, padre e figlio. Attorno ad essi, a partire dalla deliziosa Dorie, una moltitudine di personaggi minori gustosissimi, caratterizzati in modo geniale. La Pixar ha inoltre disseminato, lungo la storia, per la gioia dei cinefili, alcune simpatiche citazioni cinematografiche: il Pescecane Bruto nell’inseguire Merlin e compagna fa capolino da una porta mezza sfondata proprio come Torrence-Nicholson in Shining, la scomparsa della madre di Nemo all’inizio del film è delicatamente off screen proprio come in Bambi, i gabbiani appollaiati sui cavi e sui pali al porto prima di fiondarsi sui pesci sono un omaggio a Gli Uccelli di Hitchcock, la musica che accompagna il volto della terribile nipote del dentista è quella di Psycho.
Sul piano del ritmo, Finding Nemo è inferiore ai suoi predecessori Toy Story e Monsters & Co, un po’ soffocato dalle meraviglie visive e dai fondali coloratissimi, che creano un po’ di caos in alcune scene. Inoltre alcuni dei personaggi secondari, pur straordinariamente divertenti, spariscono troppo rapidamente o sembrano solo transitoriamente poco funzionali, uscendo di scena in sequenze un po’ confuse. Ma sono sicuramente dettagli nel quadro di un bilancio assai positivo, che rilancia la Disney ai vertici del cinema d’animazione.
Una parola va spesa anche per il cortometraggio che precede il film. Il piccolo gioiello, che risale al 1989, intitolato Knick Knack, è una chicca cha a distanza di quattordici anni non sfigura con cartoons moderni e accontenta quanti si aspettassero un succulento antipasto dopo il capolavoro “Pennuti Spennati” prima di Monsters & Co.

Simone Spoladori

Recensione n.2

Ci hanno portato dalla parte dei giocattoli, ci hanno fatto entrare nel micromondo degli insetti e hanno reso possibile scoprire cosa celano le paure infantili. Ora tocca al profondo blu del mare. La Pixar, costola “indipendente” della Disney specializzata in computer grafica, ha ormai superato lo “zio” in fantasia e capacita’ di incontrare i gusti del pubblico. La ricetta, anche nel nuovo “Alla ricerca di Nemo”, si basa su alcuni punti cardine: una tecnica sopraffina, una contagiosa ironia e, soprattutto, una sceneggiatura di ferro. E’ proprio lo sviluppo dei personaggi e il loro interagire insieme al fluire della storia il punto di partenza di ogni film Pixar, che riesce nel miracolo di conciliare sofisticati calcoli matematici con personaggi a cui potersi abbandonare. Qui abbiamo un pesce pagliaccio che deve recuperare il figlioletto finito nell’acquario di un dentista a Sidney (per una volta niente americacentrismo!). Il racconto procede seguendo uno schema piu’ tradizionale rispetto ai precedenti lungometraggi Pixar, ma il percorso lineare non imbriglia la creativita’, che ha modo di esplodere nei dettagli e nella perfetta caratterizzazione dei personaggi. Con pochi geniali tocchi ci affezioniamo alle varie specie ittiche rappresentate: dalle prede ai predatori, senza che siano sempre le dimensioni a fare la differenza (vedere, al riguardo, i titoli di coda fino alla fine). Un altro elemento sempre presente nei film Pixar e’ il ribaltamento dei punti di vista: dare voce a chi nella realta’ non ce l’ha. Per poi scoprire che tutto cio’ che ci circonda (che sia un robot di plastica, un millepiedi o il mostro peloso che esce di notte da un armadio) e’ animato da dinamiche in tutto e per tutto simili a quelle dell’uomo. Questo taglio narrativo, tutt’altro che “naturalistico”, permette uno sguardo caustico ma affettuoso sulle pulsioni umane.
E cosi’ vediamo la coppia di pesciolini felice di poter abitar in un’anemone con vista panoramica, il padre apprensivo a causa dell’handicap del figlio, lo squalo in psicoterapia, il crostaceo con la fissazione per la pulizia, il fondo dell’oceano suddiviso in autostrade con relative uscite ed entrate. La tecnica, inoltre, e’ sempre piu’ evoluta, con un’opacita’ diffusa che rende perfettamente l’idea di un filtro acquoso e sono molte le sequenze davvero strabilianti: l’arrivo della balena, la fuga dalle meduse, il viaggio con le tartarughe e il bellissimo volo sopra Sidney nella bocca di un pellicano. Se proprio vogliamo trovare qualche difetto, il personaggio di Dory, pur nella sua simpatia, e’ il meno risolto e ruota intorno ad un’unica idea (“Memento” docet), cosi’ come non aggiunge un granche’ il salvataggio finale dalla rete dei pescatori, che trasforma frettolosamente e in modo improbabile Nemo in un eroe. Ma nell’insieme, il quinto film Pixar e’ uno spettacolo gustoso, divertente e intelligente, capace di riportare a un primordiale e benefico senso di meraviglia.

Luca Baroncini (da www.spietati.it)