Il 13 novembre del 1974 una telefonata anonima invita la polizia a recarsi presso la residenza dei Defeo in Amityville, Long Island. Quello che la polizia trova sul luogo è una scena da incubo: un intera famiglia massacrata nei loro letti. Nei giorni seguenti, Ronald Defeo confessa di aver metodicamente sparato ai suoi congiunti e a quattro fratelli mentre stavano dormendo, sostenendo che le “voci” nella casa gli ordinarono di commettere i sanguinosi omicidi. Un anno dopo, George e Kathy Lutz e i loro tre figli si trasferiscono nella casa che credono dei loro sogni. Ma poco tempo dopo il trasloco, strani e inesplicabili eventi incominciano ad accadere alla famiglia: orribili visioni cominciano a perseguitare George e le voci minacciose di presenze maligne ricominciarono a farsi sentire tra le mura della magione…

Revival horror anni’70

Se è spesso superficiale parlare di generi e presuntuoso pensare che una pellicola debba per forza rispecchiare i canoni di una tassonomia, è anche vero che nel cinema hollywoodiano (fabbrica di sogni per antonomasia) negli ultimi tempi si respira sempre meno l’aria fresca della novità, e gira che salta fuori la stessa minestra, magari diversamente apparecchiata, ma gli ingredienti sono sempre quelli. “Amityville Horror” non solo è un remake ma si inserisce perfettamente in quella logica commerciale che negli ultimi anni ha prodotto tutta una serie di rifacimenti di pellicole più o meno riuscite degli anni’70. Verrebbe quasi voglia di coniare il termine di revival horror anni’70 non solo per l’ormai consistente numero di pellicole che rientrano in questa logica, ma soprattutto per la qualità di questo sfruttamento.
“Amityville horror” è prodotto dal duo Andrew Form – Bradley Fuller che hanno esordito (e fatto fortuna) producendo il remake di “The Texas chainsaw massacre” che nel 2003 ha lanciato la moda dei revival. La formula è diventata ormai un perfetto meccanismo industriale tale per cui i due hanno già in programma per il 2006 “The Texas chainsaw massacre: the origin”. Anche lo sceneggiatore è sempre lo stesso: Scott Kosar che ha dimostrato di saperci fare con “L’uomo senza sonno” (2004). Come nella maggior parte dei remake-revival anche Amityville horror può contare su un livello tecnico più che buono. La fotografia del veterano Peter Lyons Collister (“”Halloween 4”) si posiziona su buoni livelli, così come le scenografie completamente ricostruite in studio opera della meno conosciuta Jennifer Williams (gli esterni invece sono stati girati nel Wisconsin dove si trova la vera casa). La qualità della confezione è assicurata montaggio di due veterani delle grandi produzioni ad alto tasso spettacolare: Roger Baron e Christian Wagner entrambi provenienti dalla factory di Michael Bay (che affianca nella produzione Form e Fuller).
Se l’aspetto tecnico di solito è il punto di forza di questo genere di pellicole, il tallone d’Achille è quasi sempre la storia, e anche “Amityville horror” non fa eccezione. Già l’originale di Stuart Rosenberg non era risultato particolarmente incisivo da questo punto di vista, non è da meno il remake dell’esordiente Douglas. Il giovane regista proveniente dalla BBC ha alle spalle numerosi videoclip ma la sua prima esperienza nei lungometraggi non convince. Douglas ripropone la stessa ricetta che abbiamo visto mille volte: confezione patinata, attori da calendario, e quel tanto di digitale che basta per dare un po’ di sapore alla minestra riscaldata. Ci sono alcuni (pochi) momenti in cui la paura riesce a far capolino tra la noia, ma la benamata è raggiunta il più delle volte con mezzucci stravisti in film di ben altro calibro: come la messa in scena delle apparizioni (“Il Sesto senso”) e il motivo della bambina revenant in cerca di vendetta (una figura presente nel cinema fantastico dai tempi di “Operazione paura” diretto da Mario Bava del’65). Se la struttura ricalca pedissequamente la storia dell’originale con la scansione in giorni e la progressiva trasformazione del protagonista da sensibile padre di familia in inquietante figuro, Kosar ha deciso di approfondire di più gli antefatti del primo film, che risalgono ai tempi della colonizzazione del nuovo continente e vedono protagonista un prete indemoniato e il terribile segreto racchiuso nelle fondamenta della casa. Nonostante queste aggiunte (peraltro insufficienti) il film risente di un ritmo poco trascinante, e le uniche scene interessanti rimangono quella della baby-sitter rinchiusa nello sgabuzzino e la sequenza della scoperta delle fondamenta. Tutto il resto si scorda facilmente tra le indagini della madre per scoprire cosa è accaduto nella casa e la progressiva discesa negli inferi del marito. Per un film con un budget di 18 milioni di dollari e maestranze da kolossal il risultato è deludente.
Anche il gore latita, ma ormai siamo abituati a vedere un dispiegamento di mezzi di questo calibro sprecato da una messa in scena al cui confronto anche i film di Bava e Freda risulterebbero grondanti di mostarda. Mi chiedo con tutti questi soldi cosa riuscirebbero a fare i registi italiani. Sono convinto che firmerebbero capolavori.

Massimiliano Troni (vedi http://xoomer.virgilio.it/profondocinema/)