Scheda film
Titolo originale: Al-hob wa al-sariqa wa mashakel ukhra

Regia e Fotografia: Muayad Alayan
Sceneggiatura: Muayad Alayan e Rami Musa Alayan
Fotografia: Muayad Alayan
Montaggio: Sameer Qumsiyeh
Scenografie: Rami Musa Alayan
Costumi: Hamada Atallah
Musiche: Nathan Daems
Suono: Sameer Qumsiyeh
Palestina, 2015 – Commedia – Durata: 90′
Cast: Sami Metwasi, Maya Abu Alhayyat, Ramzi Maqdisi, Riyad Sliman, Kamel Elbasha
Uscita: 25 febbraio 2016
Distribuzione: Cineclub Internazionale

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Il furto sbagliato al momento… giusto? Commedia di pace (im)possibile tra Israele e Palestina

A presa lenta, il cemento dell’integrazione, della libertà. A presa rapida e ripido, quello dei confini insani, delle scartoffie di legittimazione imposta, dei lascia-passare corruttibili, dei regolamenti sanguinosi, dei rifiuti, della discriminazione dell'”odio”.
Bianco e nero, nel cantiere della “pace” (im)possibile. Dal primissimo piano materico, informale, quasi siderale, sui materiali di una costruzione approssimata, alle angolature a picco sulle asimmetrie di una sopravvivenza spiccia.
Dalla scuola di San Francisco al collettivo in patria, dal documentario civico-ecologista alla commedia rocambolesca, il palestinese Muayad Alayan scrive e firma regia e fotografia di Amore, furti e altri guai. Opera prima, con un’ironia che sfiora ma non inciampa nel realismo magico, costruisce il tracciato magmatico ma incalzante, di una storia che frulla tragedia archetipica, denuncia, apologo, cronaca, speranze, inseguendo e forse rintracciando una chiave di lettura personale e nuova del contesto umano e sociale palestinese e non solo.
Mousa, il protagonista, è abituato alla miseria, dall’infanzia al campo profughi, alla baraccopoli a pochi passi da quella civiltà straniera, abitata da stranieri, che lo strozza. Abbandona il lavoro in un cantiere israeliano, procuratogli con fatica dal padre, per la sua obbligata vocazione, il furto. Servono soldi facili, soprattutto soldi. Ma ruba l’auto sbagliata, in cui è nascosto Avi, soldato israeliano rapito dalla “Resistenza” palestinese per chiedere la liberazione di alcuni militanti. Mousa diventa involontariamente e per sua stessa ammissione, bersaglio e ostaggio simbolico tanto della polizia israeliana, quanto dei miliziani palestinesi, cercando allo stesso tempo una via di fuga per l’Europa, la grana per ottenere i documenti falsi, il sistema per convincere la donna amata (e ormai incapsulata nella vita borghese e posticcia in cui ha cresciuto la loro figlia alle spalle ingombranti di un marito di comodo) a scappare con lui.
“Ti diamo da campare e rubi le nostre macchine?”, “ci chiedi soldi e non pensi alla ‘causa’?”, “mi abbandoni, di nuovo?”, “liberiamo i militanti per buttarli nella nostra stessa vita di miseria?”. Voci in tumulto, coscienze incatenate, sballottate dentro i bagagliai di macchine perdute, sui monti aspri di guerre arcaiche, tra le lenzuola di amori segreti, tra le rocce di pretesti mercantilistici. Viaggio mentale e fisico, tra barriere e orizzonti, nel bianco e nero bruciante di Alayan batte la confusione ma anche la riluttante aspirazione alla convivenza di popoli eguali seppur ostili.
Ricatti, agguati, transazioni, rimozioni, fuochi solidali, ciecità e fratellanza a breve termine, prezzi e ricavi di libertà e altri guai.

RARO perché… quella palestinese è ancora una cinematografia da noi troppo distante.

Voto: 7 e ½

Sarah Panatta