Scheda film
Regia: Thierry De Peretti
Soggetto e Sceneggiatura: Benjamin Baroche e Thierry De Peretti
Fotografia: Hélène Louvart
Montaggio: Pauline Dairou
Scenografie: David Bersanetti
Costumi: Mati Diop
Suono: Matthieu Perrot
Francia, 2013 – Drammatico – Durata: 82′
Cast: François-Joseph Cullioli, Aziz El Hadachi, Hamza Mezziani, Joseph-Marie Ebrard, Maryne Cayon, Andréa Brusque, Henri-Noël Tabary
Uscita: 14 agosto 2013
Distribuzione: Kitchen Film
Sale:
E la chiamano estate
Mentre i villeggianti affollano le numerose strutture turistiche del litorale della Corsica, un gruppetto di cinque adolescenti di Porto Vecchio trascorre le calde giornate estive bighellonando in giro per l’isola. Una sera uno di loro decide di portare i suoi amici in una lussuosa villa dove il padre lavora come custode e dopo una notte di divertimento i ragazzi lasciano l’abitazione rubando alcuni oggetti di poco valore e dei fucili da collezione: i legittimi proprietari della casa sono però in arrivo sull’isola e – rilevato immediatamente il furto – invece di contattare le autorità si lamentano con un piccolo boss locale di loro conoscenza che amministra e gestisce diverse attività nella zona. È l’inizio di una complicata caccia ai colpevoli.
Opera prima di Thierry De Peretti, Apache nasce dalla volontà di raccontare una Corsica lontana dagli stereotipi cui spesso è relegata dall’immaginario collettivo: al di là delle acque cristalline, delle incantevoli spiagge e della natura incontaminata, l’isola francese è una terra di grandi contraddizioni, dove il carattere multietnico prende le forme di un confronto/scontro fra le diverse identità. Tradizionalmente considerata culla di quella “violenza atavica” che ha fatto da humus a una serie di contrasti locali, la Corsica è da diversi anni protagonista di nuove dinamiche economico-sociali che stanno amplificando distanze e conflitti: l’esponenziale crescita della speculazione immobiliare e degli investimenti nel settore turistico ha infatti immesso nel tessuto locale massicce iniezioni di ricchezza, determinando una progressiva concentrazione del potere nelle mani di una manciata di famiglie, un inesorabile inasprimento delle lotte familiari e l’acuirsi delle già radicatissime tensioni razziali.
È su questo contesto esplosivo che De Peretti punta i riflettori, raccontando una drammatica vicenda realmente accaduta circa otto anni fa che per oltre due anni tenne con il fiato sospeso l’intera comunità corsa, prendendo infine le forme di una complessa storia di colpa e redenzione: ripercorrendo i passi dei protagonisti, riportando i fatti nei luoghi dove effettivamente si svilupparono gli eventi, Apache cerca di “esorcizzare il delitto” con l’obiettivo di coinvolgere e far rivivere alla collettività locale fatti e circostanze, tradotti in immagine in tutta la loro asciutta durezza.
Ispirandosi al cinema di Garrel e di Assayas, De Peretti cerca di fotografare un piccolo spaccato di gioventù corsa fra senso di appartenenza, rifiuto, razzismo e confusione: una gioventù incerta e insicura, preda dell’incomunicabilità e dell’incomprensione, alla ricerca disperata dell’accettazione nel gruppo e al contempo dell’affermazione orgogliosa della propria identità culturale di riferimento – dalla comunità corsa “autoctona” a quella marocchina, fortemente radicata sull’isola, diretta figlia di quel processo di immigrazione poco meno che coatta di braccianti della terra dai territori del Magreb.
Pur senza cercare di restituire un profilo astratto alla narrazione, Apache – malgrado diverse ingenuità di scrittura – si dimostra efficace nel raccontare “la distanza”, quella che intercorre fra i ricchi e i poveri, fra la vita patinata e vistosa dei turisti – nuovi invasori della Corsica – e gli isolani, fra adulti troppo presi a gestire i propri affari – leciti o illeciti che siano – e giovani abbandonati a loro stessi, preda dell’irrequietezza della loro età e del sogno di una vita diversa. Per restituire al film una dimensione di autenticità, De Peretti – lavorando di concerto con la direttrice della fotografia, Helen Louvart – ha sviluppato un impianto visivo-estetico semplicissimo (“rudimentale”, “puro presente” lo ha definito il regista nelle note di regia), che cromaticamente scava nei naturali toni e nella luce mediterranea del territorio mentre piani sequenza e primi piani indagano movimenti e interazioni fra i vari personaggi e il loro rapporto con l’ambiente circostante. Girato in 4/3, il film deve il suo nome all’appellativo che designava i fuori legge di Belville ma evoca anche il concetto di “riserva western”, data la segmentazione accentrata delle diverse realtà locali corse: Apache gioca sul confine sfumato fra vita e morte, fra giusto e sbagliato, fra senso etico e immoralità, trasformando la cronaca di una normalità atipica in un viaggio attraverso una terra di nessuno, dove la mancanza di prospettive, il sogno e il mito della ricchezza si sommano e amplificano, potenziale polveriera di brutalità e ferocia.
Voto: 7
Priscilla Caporro