Apocalypse Now – Redux
regia: Francis Ford Coppola
sceneggiatura: Francis Ford Coppola, John Milius
fotografia: Vittorio Storaro
cast: Martin Sheen, Marlon Brando, Robert Duvall, Dennis Hopper,
Laurence Fishburne, Harrison Ford, Frederic Forrest, Albert Hall, Sam
Bottoms, Aurore Clement, G.D. Spradlin, Bo Byers, Jerry Ziesmer, Scott
Glenn, James Keane, Ron McQueen, Kerry Rossall, Tom Mason, Cynthia Wood,
Colleen Camp, Linda Thibeau, Glenn Walken, George Cantero, R. Lee Ermey
Nazionalità: USA, 1979/2001
Durata: 3h. 22′
Recensione n.1
Alla luce di questa celebrazione Coppoliana , torna alla memoria il mito, l’impresa titanica di “Apocalypse now”, una delle più grandi pellicole e opere d’arte mai apparse nella storia del pianeta. Un film viscerale, in cui il cinema si trasforma non solo in ossessione, ma anche in “catalogazione di miti”; il mito Conradiano del viaggio e la ricerca di se stessi; la scoperta di un apocalisse interiore e cinematografica.
Così Coppola non è altro che la sua macchina da presa, lo spettacolo, la sfida con se stesso, la giungla, una guerra artistica, che scava, interiorizza il male, le fronde, il fiume.
Lo spettacolo di un bombardamento wagneriano, le piante, il chiaro scuro che tende al grigio di Storaro. “Apocalypse now” è l’arrivo senza ritorno di un cinema sentito, girato e vissuto senza spirito; un viaggio infinito e metacinematografico alla ricerca del senso del cinema assoluto: spettacolo e poesia, visione e sostanza.
Questo è il capolinea, ora l’apocalisse. Kurtz è la resa di un cinema che ricerca la perfetta simbiosi tra esigenze dell’autore e spettacolo. Narrazione e macchina da presa sono in balia della natura, la natura decide il linguaggio da adottare. La natura è la risposta non solo alla guerra, ma ad una ricerca di interiore di idee, visioni.
“Apocalypse now” si pone come frontiera del mito. Il fiume come una specie di flusso di coscienza in cui entrano Omero e Conrad, l’epica e la guerra vissuti come tappe e forme ideologiche. Idee che lo stesso spettatore, condizionatore e condizionato, terzo occhio come quello di Martin Sheen ; vede la macchina da presa che squarcia la giungla, lo sguardo che sente la follia militare, lo sguardo di chi sa che non esiste una fine, un non ritorno.
Questo è il cinema, la frontiera del genere. E quello che in realtà il cinema deve e dovrebbe sempre fare. Massimalismo, uso essenziale della forma, un cinema senza compromessi con se stessi, sentito. Quello che da sempre prova a fare Coppola, e quello che da sempre richiede la settima arte. Una totale compenetrazione tra arte e immagine, letteratura visiva, musica, interazione.
Questo è un capolavoro perchè , forse in pochi altri film, si vede l’idea di film intesa come unione armonica di questi fattori, mito e narrazione, follia e dolore.
Senza questi compromessi il cinema non sarebbe quello che è in questo momento.
Voto: 9
Francesco
Recensione n.2
Vietnam durante la guerra alla fine degli anni 60. L’esercito americano invia il capitano Willard (Martin Sheen) nella giungla per trovare e possibilmente uccidere il Colonnello Kurtz (Marlon Brando), ormai impazzito ed inviso al governo statunitense per le sue crude opinioni sul conflitto. La sua missione si rivelerà difficile e pericolosa, ma anche ricca di incontri surreali, come quello con il fanatico Colonnello Kilgore (Robert Duvall), che pensa al surf invece che alla vita propria e a quella dei suoi uomini, o il gruppo di militari abbandonati che si consolano con le conigliette di Playboy. Al termine del viaggio Willard finalmente incontrerà Kurtz e in quel frangente si farà strada nella sua mente la terribile realtà di una guerra assolutamente priva di senso e dall’impatto devastante sulla mente di chi è chiamato a combatterla.
Non parlerò di Cuore di Tenebra , non parlerò neanche della discesa nelle tenebre dell’animo umano, né farò riferimenti a conigliette di playboy aggiunte in seconda battuta, di sicuro non parlerò di tavole da surf sottratte, o di cavalcate delle valchirie e napalm di prima mattina, neanche di una fotografia strepitosa che mette i brividi, né di una regia da manuale, o forse un po’ di quella parlerò, ma quello di cui voglio parlare adesso, che tutto è già stato scritto su Apocalypse Now redux o meno che sia, è il motivo per cui Coppola riesce a tenerci inchiodati sulla poltrona per oltre tre ore senza uno sbadiglio: lui l’immenso, unico e mai eguagliato Marlon.
Il colonnello Kurtz, che il governo statunitense crede impazzito, ma che in realtà ha trovato la via che gli era stata indicata nel momento in cui era stato mandato in una guerra di cui mai si capirà il motivo, si erge maestoso nella penombra in un clima di adorazione che non si può spiegare se non a partire dalla più profonda natura umana, quella che spinge ad adorare i vitelli d’oro e i falsi dei.
Tutto il film è una progressiva preparazione, dapprima lenta e silenziosa, poi a mano a mano che si va avanti diventa serrata e rumorosissima, il rumore che sentiremo sono i tamburi che si fondono col battito del nostro cuore. La preparazione operata da Coppola funziona benissimo, dal momento che dopo tre ore l’unica cosa che vogliamo è guardare in faccia Kurtz, una faccia che non ci lascerà più, quando finalmente lo incontreremo sarà per sempre. Il senso di tutta questa preparazione è dato dal fatto che in America, al tempo in cui il film è stato girato, nessuno era pronto a guardare direttamente in faccia le motivazioni della guerra in Vietnam, nessuno voleva o poteva apertamente dire che era stata una pazzia, una cosa contro la natura stessa del concetto tanto sbandierato anche oggi, di libertà. Quindi occorreva dire per gradi, preparare la sorpresa finale, e cioè cosa si diventa a seguire ciecamente le direttive di uno stato che ti manda ad ammazzare un nemico invisibile. Inoltre l’immensità della performance di Brando rende chiaro il senso della trasformazione, da colonnello a dio, che il concetto di una guerra giusta ha operato sulla mente e ancora di più sul cuore di chi le decisioni avrebbe dovuto prenderle e se non altro fare in modo che venissero messe in atto. Marlon diventa Kurtz molto più di quanto sia mai stato Corleone o Kowalsky, dal momento che il colonnello è una parte di quel immaginario sotterraneo che gli americani hanno passato secoli a seppellire e che lui ha impiegato qualche anno di lavoro a tirare fuori e sbattere in faccia a tutti. Il tutto avviene semplicemente così senza clamore, con il solo ausilio di una fotografia talmente perfetta da dar l’illusione di essere là, e con il sostegno della regia di un Coppola in stato assoluto di grazia. Non è un’atmosfera epica, non ci sono soldati splendenti nelle loro uniformi che fanno “la cosa giusta”, non c’è niente che suggerisca una condivisione di intenti con i militari che lungo la strada diventano altro. Meno che mai c’è la possibilità di identificarsi con lui, Kurtz il dio incarnato che atterrisce senza emettere un suono. Ed è nel più assoluto silenzio che avvertiamo il dramma di Willard, mandato a far da esecutore per tacere sull’ennesima catastrofe operata dal governo, di cui tutti si fanno rappresentanti ma che nessuno riesce ad accontentare. Così assisteremo in silenzio alla nascita di un archetipo del cinema americano, il fantasma della guerra giusta. Fantasma che ci si presenta con la faccia assolutamente folle di Brando a cui non potremo mai più fare a meno di pensare da allora in poi, ogni volta che saremo in presenza di una crociata.
A questo punto l’unica cosa che resta da dire è che se solo avessimo avuto di fronte qualsiasi altro attore pure bravo, tutto questo non sarebbe stato possibile. Non si sarebbe prodotta l’alchimia che negli anni ha spinto le generazioni successive ad appropriarsi di questo capolavoro, né avremmo avuto tutti i tentativi di imitazione, che invece abbiamo ancora adesso di un film irripetibile.
Concluderò queste note con un breve cenno alla tecnica di regia messa in atto da Coppola in questo film e ripetuta nel Dracula girato anni dopo. Mi riferisco alla scena finale con Willard che esce dal fiume senza emettere un suono e, cosa rimasta insuperata dal punto di vista tecnico, senza sprizzare una sola goccia d’acqua. Molto è stato scritto sulla tecnica che, anni prima dell’avvento della computer grafica, ha consentito al regista di produrre un effetto tanto devastante, ma vale comunque la pena ricordare che Coppola usando il semplice espediente di montare la scena al contrario di come era stata girata, riesce a stranire ed incantare lo spettatore che si alzerà dalla poltrona sapendo di aver assistito ad un prodigio, ma non riuscendo ad indicare né come né quando questo si sia prodotto. Anni dopo Coppola userà la stessa tecnica, con lo stesso fortissimo impatto, nella scena dell’impalamento della Lucy di Dracula , che indietreggerà senza una piega fin dentro al sepolcro dove troverà la morte. Tutto questo per sottolineare l’elemento innovativo già presente all’epoca, nella regia di un autore che lontano anni luce dalle attuali possibilità di manipolazioni al computer, riesce comunque a dare ai suoi personaggi un dono unico, quello di restare impressi nella mente a lungo dopo la fine del film.
Detto questo, e consapevole di non aver mai detto abbastanza su un simile capolavoro, il mio invito è a recuperare la versione dvd e passare tre ore in compagnia del più grande fantasma americano del millennio.
Anna Maria Pelella
Recensione n.3 – il finale di Apocalypse Now, di Stefano Trucco
Proviamo a spaziare un po’…
Detto brutalmente: Francis Ford è (era?) un grandissimo artista, ma non necessariamente un pensatore. Un pensatore per concetti ed analisi, intendo dire. Le sue opinioni esplicite sulla guerra in Vietnam non sarebbero probabilmente state più interessaanti di quelle del New York Times o del Village Voice. Ma naturalmente è riuscito a rendere l’esperienza della guerra vietnamita come pochissimi altri.
In compenso John Milius era un pensatore (mediocre) ed un altrettanto mediocre artista. Non pessimo: solo mediocre. Come tanti altri ad Hollywood. Ma uno portato a pensare a se stesso come un intellettuale. A chiedergli come la pensava sul Vietnam probabilmente avrebbe parlato tutta la notte.
John Milius scrive la sceneggiatura di AN, riadattando il romanzo di Conrad ‘Cuore di Tenebra’; Coppola cerca di girarla e, a un certo punto, scopre che è inutilizzabile. In particolare, il finale.
Dal diario di Eleanor Coppola, 2 agosto 1976: ‘[FFC] non poteva andare avanti a realizzare la sceneggiatura originale di John Milius perchè non esprimeva veramente le sue idee, e non poteva smettere perchè ormai erano stati spesi troppi soldi.
Coppola si ritrova in mezzo al guado, senza un finale praticabile. Notoriamente ne vennero girati tre (qui intendo per finale proprio la scena finale, dopo la morte di Kurtz; in un altro senso intenderemo come finale l’intero episodio di Kurtz): 1) quello che vidi nella prima versione e che è stato mantenuto nella nuova versione, cioè Willard uccide Kurtz e se ne va, rifiutando di prenderne il posto;
2) lo stesso, ma poi arrivano gli aerei americani e bombardano il tempio (qualcuno afferma di averlo visto); 3) Willard prende il posto di Kurtz dopo averlo ucciso: questo ultimo finale non l’ha visto nessuno, che io sappia, ed era anche quello originale di Milius. Il film sarebbe stato coerente, nella trama come nell’ideologia, ma di una coerenza che Coppola finì per respingere.
Non sarete certo tutti d’accordo, ma credo di non essere solo nel ritenere l’ultima mezzora di AN nella prima versione ‘a big letdown’: dopo una serie di blocchi narrativi incredibilmente vividi, tenuti insieme solo dal movimento ascendente verso il mitico Kurtz, si giunge al suo rifugio in una scena sconvolgente… poi appare lui e tutto si ferma, buio, chiacchiere insensate, motivazioni confuse, una risoluzione e via. Dopo averci descritto lungo tutto il film un modello di eroe assoluto, un ufficiale che a 38 riparte da zero fra i marines e si distingue rapidamente in combattimento (due o tre anni prima) e che diventa il terrore dei vietcong perchè è disposto a combattere come loro, ci troviamo di fronte un appena semovente Marlon Brando ed una serie di riferimenti scolastici ad idee quanto meno dubbie.
Coppola rifiuta la soluzione Milius ma non è davvero in grado di proporre una alternativa coerente, avrebbe dovuto rifare tutto il film. Risultato: stallo e confusione.
Nella nuova versione c’è un miglioramento evidente: il personaggio di Kurtz acquista maggiore spessore, insomma si avvicina a valerne la pena. Ma il dilemma non può venire del tutto sciolto.
Torniamo a Conrad ed a cosa ne aveva fatto Milius. Un organizzazione, impegnata in attività disdicevoli in una regione povera e selvaggia invia un uomo lungo un fiume alla ricerca di un suo dipendente sfuggito al controllo e che si è macchiato, dicono, di crimini orribili.
L’Africa di Conrad è un posto insidioso e tutt’altro che benigno: il suo Kurtz ha ceduto al suo fascino ed è regredito, ha perso il suo carattere morale civilizzato. Ma non c’è dubbio che i bianchi sono un gruppo di criminali impegnati in un genocidio ignobile. Non c’è equivalenza fra bianchi e neri.
Nel Vietanam di Milius, per motivi non spiegati (si presume che tutti li conoscano) c’è una guerra in corso e gli americani stanno perdendo contro un avversario durissimo. Gli americani non sanno fare la guerra: bombardano, uccidono, ma senza risultato. Kurtz ha capito come si deve fare la guerra ma è ostacolato dai suoi superiori. Si ribella e loro vogliono ucciderlo. Il Kurtz di Conrad è un vuoto mostruoso: quando Marlowe lo raggiunge parla a lungo ma, per decenza, Marlowe ci risparmia i suoi discorsi vaneggianti tranne poche frasi impressionanti.
Il Kurtz di Milius parla, argomenta, legge Eliot: ci viene presentato un eroe, non solo militare, ma anche umano e di pensiero. L’eroe, è vero, sta cedendo alla pressione: perciò Willard deve prenderne il posto. Un nemico mostruoso deve essere combattuto con le sue stesse armi: crudeltà senza limiti. Il soldato deve essere un combattente morale: per far questo deve respingere il giudizio. Cioè, dev’essere un puro uccisore, meno che umano, più che umano. La moralità del guerriero sta nell’uccidere senza
chiedersi il perchè: la malvagità del nemico è sufficiente giustificazione. Gli americani non lo capiscono, sono troppo civilizzati.
Si tirano fuori teorie di fine 800 sulla vera regalità, sui miti e riti della vegetazione, sulla morte del re, sui miti arturiani, sul ramo d’oro dei sacerdoti di Nemi, sulla perdita di virilità prodotta dall’eccesso di
civilizzazione, sulla necessità della guerra. Nel complesso, roba buona per costruirci attorno un poema o un romanzo: ma nel complesso una bella serie di pseudoconcetti. Forniscono un’armatura su cui Eliot può organizzare la poesia della Waste Land: se va bene, una metafora. Eliot stesso lascia perdere abbastanza presto e si rifugia nel razionalismo cristiano. Sono temi che Conrad conosce bene e trasfigura e tratta per quello che valgono nel suo Cuore di Tenebra.
Milius, mediocremente, li prende sul serio, alla lettera, come altri mediocri prima di lui: ‘una resurrezione violenta del MITO, che esige la partecipazione ad una comunità definita da pseudo-valori arcaici: la razza, il sangue, il capo. Il fascismo è l’ARCAISMO TECNICAMENTE EQUIPAGGIATO. Il SURROGATO decomposto del mito che esso presenta è ripreso nel contesto spettacolare dei mezzi di condizionamento e d’illusione più moderni. (Esempio trash: l’Hell’s Angel che vive il suo mito di libertà post-civilizzata grazie al fatto che qualcuno, da qualche parte, lavora con la tecnologia più avanzata per procurargli delle Harley Davison. Film del 1970: The Losers, con gli Hell’s Angels californiani di Sonny Berger vanno in Vietnam con le loro Harley ed ammazzano un mucchio di comunisti. Una cagata che solo qualche anno d’anticipo ha impedito di diventare un classico. Ma il film che la moglie di Bruce Willis guarda in albergo in Pulp Fiction).
Depurata dei suoi aspetti mitologici, ridotta a misura hollywoodiana standard, l’ideologia di Kurtz/Milius diventerà il Rambismo che ha dominato l’intrattenimento patriottico fin da allora. Milius stesso finisce per produrre il suo corretto compitino repubblicano, Addio al Re, in cui Nolte è una versione politically correct di destra di Brando. Un film ben fatto e mediocre, come tanti.
Coppola intuisce il pericolo ma è troppo tardi. Le contraddizioni non si risolvono. Il più grande regista del decennio, l’uomo da cui si attende IL film sul Vietnam, schiacciato dalla responsabilità fino all’orlo della pazzia e della catastrofe, non farà un film fascista.
A questo punto si inserisce il più sostanzioso inserto nella nuova versione di AN: la scena dei francesi. E’ vero: sembra un’altro film. E’ vero: stilisticamente rallenta ed appesantisce la parte finale del film, già più lenta e pesante del resto. Ma sembra suggerire una terza via dall’impasse e sarei curioso sapere chi l’ha scritta e come Coppola l’ha poi realizzata.
Quando vediamo i francesi sono in perfetta uniforme ed ordine militare; rendono gli onori militari al soldato americano caduto. Sono oltre l’ultimo avamposto americano; sono isolati da tutto ed in lotta contro tutti. Hanno respinto attacchi vietcong ed americani e (forse) degli uomini di Kurtz. Non vediamo alcun orrore, alcun cadavere impalato o mucchi di teste. Solo decor Merchants-Ivory e discussioni interminabili e disgregazione familiare: ma l’ordine militare è mantenuto. Sì, certo, simbolo del colonialismo europeo, ma anche terza via di fronte all’alternativa posta da Milius fra la guerra falsa degli americani e la guerra vera di Kurtz.
Per terminare, back to the real world. Se il rambismo di Kurtz è l’immagine dominante dell’immaginario militare hollywoodiano, la realtà è l’esatto opposto. Gli uomini che vogliono far fuori Kurtz hanno capito la lezione del Vietnam (a parte quella del controllo delle notizie): mai esporre inutilmente al pericolo quella creatura fragile e nervosa, il soldato americano. Bombardare, bombardare dal più alto possibile contro avversari non in grado di replicare. Poi, al massimo, mandare dei soldati a ripulire il terreno. E’ così che si vincono le guerre, non dando retta a pseudo-intellettuali che prendono troppo sul serio Eliot.
Stefano Trucco