Scheda film

Regia e Sceneggiatura: Stanley Kubrick
Soggetto: dal romanzo di Anthony Burgess
Fotografia: John Alcott
Montaggio: Bill Butler
Scenografie: John Barry
Costumi: Milena Canonero
Musiche: Wendy Carlos, Erika Eigen (non accreditata)
G.B./USA, 1971 – Fantascienza/Drammatico – Durata: 136′
Cast: Malcolm McDowell, Patrick Magee, Michael Bates, Warren Clarke, Adrienne Corri, John Clive, Carl Duering
Uscita: 7 settembre 1972
Distribuzione: Warner Bros. Pictures

 Dal romanzo di Anthony Burgess…

Dal romanzo di Anthony Burgess (la prima versione inglese, mancante del capitolo finale più ottimistico): Alex, capo di una banda di teppisti denominati drughi (in russo “amici”, secondo lo slang di burgessiana invenzione), viene tradito dai compagni e catturato dalla polizia. Sceglierà una speciale cura (“Ludovico”, lui è amante di Beethoven) a base di film violenti per poter uscire di prigione, ormai nauseato da ogni tipo di violenza; le subirà lui stesso e tenterà di suicidarsi. Ma alla fine “guarisce”. Capolavoro di allarmante attualità. Il film, amarissimo e profetico, un pugno allo stomaco, è un apologo sulla violenza, sia individuale che sociale, sorta di parafrasi delle disavventure di un cinico “eroe” romantico 800esco.

Mostra come la follia pura di un ragazzo non debba essere più detestabile di quella che la società impone ai suoi individui, soltanto perché più palese. La (pericolosa) ambiguità del personaggio e della storia serve proprio a questo: a non far capire e far coincidere i due tipi di violenza. Semmai tra le due è quasi migliore la violenza istintiva del singolo (come Kubrick fa capire usando musiche armoniose e melodiche nella prima parte e musiche distorte nella seconda). Alla fine, la violenza individuale viene assorbita e strumentalizzata dalla società (Alex diventa un’arancia meccanica nelle mani di altri) ma Kubrick è contrario come si capisce dall’ultima, volgare e squallida, inquadratura che sottolinea come, in realtà, Alex non sia guarito affatto: non è infatti mai diventato buono e per questo Enzo Natta di Famiglia Cristiana ha giustamente osservato che il film è “un trattato teologico sul libero arbitrio”. Dal punto di vista formale e stilistico, è uno dei film più raffinati di Kubrick per le invenzioni visive e registiche (soggettive, ralenti, accelerazioni, grandangoli, deformazioni, carrellate…) e per le idee per cui è diventato subito un cult (la parlata, gli abiti vittoriani, il pestaggio a suon di Singin in the rain ideato in parte da McDowell, il décor, le movenze artificiose di Alex quando si fa imboccare) immerso in pieno nella cultura anni 60-70 a base di droghe, pop art, libertà sessuale, improvvisazione ed estasi, anarchia, connivenza fra malavita e governo, ecc.. Tutto sommato, anche divertente ed esaltante, il film ironizza pure sulle teorie secondo cui la violenza al cinema genera violenza (qui la cura Ludovico non genera il male, ma nemmeno il bene) e offre una eclatante metafora della visione (a parte la cura, il film parte con l’inquadratura di un occhio). Scioccò il pubblico degli anni ’70, ma colpisce ancora, tanto che in patria fu proibito e ritirato (per le infamanti accuse di fascismo) da Kubrick stesso e in tv in Italia non si è mai visto (in Gran Bretagna è stato trasmesso – evento anticipato la sera prima da un documentario di Paul Joyce sull’avvenimento – per la prima volta il 13 ottobre 2002, in seconda serata su Channel 4). Per Malcolm McDowell (doppiato da Adalberto Maria Merli), strepitoso, ha rappresentato il ruolo della vita. Rieditato nel 1998 in Italia, non in lingua originale.

RD VC