Recensione n.1
La cosa che colpisce – fra le tante – in un film come questo è vedere che gli attori devono REALMENTE recitare. Nessuno ha mai considerato Janet Gaynor e George O’Brien come dei grandi attori, anche se, specie la Gaynor, erano delle grosse star al tempo. O’Brien, come molti attori del tempo, aveva avuto una vita prima del cinema (oggi chi recita non ha mai fatto nient’altro nella vita, di solito): figlio del capo della polizia di San Francisco, si arruola in marina e diventa campione di boxe. Finisce a Hollywood è alla fine degli anni 20 recita nel primo grande western di John Ford, The Iron Horse e poi in Sunrise. Con il sonoro si trasforma in un caratterista, recitando in innumerevoli western di serie B (in un periodo in cui non c’erano più western di serie A). Si arruola di nuovo durante la guerra diventando capitano di una nave. Probabilmente lo avete visto in qualche western di John Ford, come Fort Apache o I Cavalieri del Nord-Ovest. O’Brien era un uomo imponente, anche pesante, di una bellezza parecchio virile ma se costretto era capace di esprimere una serie completa di emozioni, come in questo film. Janet Gaynor era una vera stella e vinse l’Oscar per Aurora e rimase una stella anche con l’avvento del sono o:nel 1937 fu la protagonista della prima versione di E’ Nata una Stella. Si ritirò poco dopo, prima didiventare una patetica. Da una parte, la Gaynor è ancora una Donna-Angelo-Bambina, un personaggio che imperversa nei film di Griffith e nel muto americano in genere e sparisce immediatamente con l’avvento del sonoro. Angelo sofferente nella prima parte del film e ne le inquadrature finali, è l’immagine della gioia nelle scene comiche centrali. Anche lei è un grado di esprimere tutte le necessarie emozioni. All’epoca di doveva usare tutto il corpo e gli occhi dovevano essere espressivi. Con il sonoro l’impassibilità diventa una possibilità, poichè le emozioni possono essere semplicemente dette e molte grandi star divennero a mala penadeambulanti e prive di espressioni, le fotografie di se stesse. So benissimo che non si può tornare indietro e far finta che il sonoro non esista, ma spesso mi chiedo se non si sia davvero perso qualcosa, almeno dal punto di vista della recitazione. Ma il muto è un periodo illimitato e irripetibili, che non è più teatro e rimane fuori dalla corrente principale del cinema che ancor oggi continua. Del film – che dovreste proprio vedere – mi limito a notare un fatto. Aurora gira attorno alla vecchia e abusata convenzione del contrasto campagna=buona e città=cattiva ma lo rovescia completamente. All’inizio, nell’idilliaca campagna l’Uomo è corrotto dalla Donna di Città e tenta di uccidere la Moglie. L’Uomo e la Moglie finiscono nella Città, gigantesca e spaventosa a prima vista, ma che si rivela il luogo della gioia e della riconciliazione. Il film tragico diventa una commedia con parecchio slapstick, per poi ridiventare tragico al ritorno in campagna. Il ‘messaggio’ del film viene rovesciato completamente (Murnau non aveva molta pazienza con la campagna, mi sa). Un altro dettaglio: il film è ambientato in una generica città europea. E’ strano notare quanti film degli anni 20 e 30 siano ambientati non solo fuori dagli USA ma anche senza personaggi americani, un concetto che (a parte i film storici in costume) sarebbe diventato rarissimo dopo la guerra e assurdo oggi. L’idea di un film come, per esempio, Grand Hotel o Grand Hotel, ambientati in Germania e del tutto privi di americani sarebbe oggi impossibile.
Stefano Trucco
Recensione n.2
Ieri presentazione del DVD restaurato di Aurora, di F. Murnau. Signori, che roba.
All’inizio ho sofferto molto e stavo per accogliere felice il sonno che mi faceva ciondolare la testa, nonostante l’esaltante incipit. Per fortuna, qualcosa mi ha svegliato e sono completamente entrata nel film, una tipica novella edificante dove un Marito tradisce la Moglie con una Donna di Citta’ (sono cosi’ definiti anche nei titoli di testa). Tra effetti speciali e riprese incredibili, Murnau racconta le montagne russe dell’amore e la cecita’ dell’uomo che non si accorge piu’ di che tesoro ha in casa finche’ non la porta fuori, in quella rutilante citta’ dipinta come un luna park che dopo un po’ ti fa desiderare il ritorno alla tua fattoria (ripresa come un dipinto a carboncino).
Due o tre tocchi di humour d’autore (impagabile il primo piano del porcellino ubriaco), sequenze audaci e ancora convincenti (l’immagine dell’amante che lo abbraccia virtualmente, ma soprattutto la citta’, con quel tram che vola, ma come ha fatto?).
Forse era meglio se il cinema restava muto 🙂
Mafe