Scheda film
Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Álex de la Iglesia
Fotografia: Kiko de la Rica
Montaggio: Alejandro Lázaro
Scenografie: Eduardo Hidalgo hijo, Federico del Cerro
Costumi: Paco Delgado
Musiche: Roque Baños
Spagna/Francia, 2010 – Grottesco – Durata: 108′
Con Carlos Areces, Antonio de la Torre, Carolina Bang, Manuel Tallafé, Alejandro Tejería, Manuel Tejada, Enrique Villén
Uscita: 8 novembre 2012
Distribuzione: Mikado/Lucky Red
Sale: 9
Triangoli e trapezi
Ogni regista alla fine, gira che ti rigira, tende a rifare sempre lo stesso film. Questo Balada triste de trompeta di Álex De La Iglesia, presentato a Venezia nel 2010, recupera l’esperienza dell’inedito da noi Muertos de risa, rendendola adulta e virandola verso il romantico. Se nel primo film erano due semplici comici a litigare, due personaggi stronzi, ma estremamente infantili, qui sono due clown, il “tonto” (l’augusto) Sergio (Antonio de la Torre) ed il “triste” (il bianco) Javier (Carlos Areces). Il primo è un violento, in ossequio al luogo comune che vuole i pagliacci molto più grigi nella vita reale, uno che porta rancore dentro, mentre il secondo la violenza l’ha subita fin da bambino, ormai non ha più scelta e può essere solo un triste, per la lezione di vita ricevuta, da quando il padre, anche lui clown, venne catturato durante la guerra civile e poi ucciso in un tentativo di fuga. L’elemento “maturo” in più, il giro di vite alla storia è dato dall’entrata in scena di Natalia (Carolina Bang), bellissima acrobata del circo, legata a Sergio, che innescherà il triangolo amoroso. Così come comparirà, rotolando lungo una fascia di tessuto colorato, così se ne andrà, ma avrà trovato in Javier, quella tenerezza, quell’umanità addomesticata dall’orrore vissuto, che da Sergio non avrebbe mai potuto avere.
Ispirandosi alla canzone “Balada de trompeta” di Raphael, artista molto noto in Spagna, che in un momento clou della vicenda compare anche travestito da pagliaccio in un film mentre la canta, De La Iglesia, compie nuovamente, fin dai titoli di testa, un viaggio nella storia nazionale ed occidentale, dal 1937 al 1973, per raccontare, un po’ come Zemeckis in Forrest Gump, le ragioni della violenza di un paese, immerso per quarant’anni in una dittatura che finisce per risultare anche meno peggio dei suoi figli: in una scena “el Caudillo” Franco (Juan Viadas) – è uno dei pochi film spagnoli non esattamente storici che riesce a mostrarlo, dopo un’allusione in Spia e + spia di Javier Fesser col personaggio del dittatore di Tirannia – ha un moto di misericordia nei confronti di Javier, vessato da un colonnello che ha da anni un conto aperto con lui, per poi essere subito smentito, ricevendone un morso su una mano.
È una violenza coatta, che lacera le persone in altrettanti Dr.Jekyll e Mr.Hyde rendendo figure apparentemente innocue come i clown degli esseri molto pericolosi, che logora le menti ma anche i corpi: quello di Sergio per mano del rivale in amore, martoriato in volto con una tromba, e quello dell’altro per autolesionismo, schiarendosi il volto con la soda caustica e imprimendosi i rossi col ferro da stiro. Due maschere grottesche, ormai non più divertenti, ma spaventose, i due nel finale si ritroveranno, ancora più soli dei Nino e Bruno di Muertos de risa, a piangere disperati.
Non nuovo alle corde del regista spagnolo, che qui sceneggia in autonomia senza purtroppo il fido e dotato Jorge Guerricaechevarría, il mélo funziona egregiamente, mentre, tra infinite citazioni da King Kong ad altri classici d’ambientazione circense, a cigolare, come nei suoi film meno riusciti, sono alcuni passaggi di scrittura troppo meccanici e forzati, se non addirittura gratuiti.
Notevoli e preziosi la fotografia di Kiko de la Rica, che si sbiadisce tendendo al bianco e nero all’inizio ed alla fine, e l’intero cast, dai tre straordinari protagonisti fino alle partecipazioni di cari feticci come Santiago Segura, nel ruolo del padre di Javier, e Sancho Gracia, nella parte del colonnello Salcedo.
Balada triste de trompeta è un film imperfetto che però si nutre del forte e noto talento visionario di Álex De La Iglesia, per il quale non a caso a Venezia 2010 (la giuria presieduta da) Tarantino gli assegnò il premio per la migliore sceneggiatura ed il Leone d’argento per la miglior regia, e che proprio per questo non può lasciare soddisfatti ad una primo assaggio, meritando di maturare sotto la pelle dello spettatore, per essere meglio apprezzato ad una seconda visione.
RARO perché… De La Iglesia è un autore alquanto trascurato in Italia: altri due suoi film di qualche anno fa sono tuttora inediti da noi e questo rischiava di fare la stessa fine!
Voto: * * *½
Paolo Dallimonti