Avete l’infanzia segnata dal trauma dello sceneggiato francese “Belfagor – il fantasma del Louvre”? Non ne avete mai sentito parlare e siete incuriositi? Qualunque sia la vostra motivazione, potete evitare la nuova versione di Jean-Paul Salome’, che aggiorna all’estetica visiva del nuovo traballante millennio una storia carica di fascino e mistero, privandola però di una componente determinante: l’atmosfera. E dire che gli elementi giusti ci sono: la possibilità di sfruttare la scenografia naturale di uno dei musei più famosi del mondo e un’interprete, Sophie Marceau, bellissima e capace di trasmettere emozione.
Eppure il risultato e’ al di sotto di qualsiasi aspettativa.
La storia viene ridotta alla poco originale ricerca di pace eterna da parte del solito antico spirito egizio, che per raggiungere il suo scopo si impossessa del corpo e della mente della malcapitata di turno. La regia clipparola si limita a cercare inquadrature oblique, alternando repentine accelerazioni nello scorrere dei fotogrammi a inutili “ralenti”. La sceneggiatura inanella banalità senza sosta e non approfondisce alcun personaggio, lasciando ogni velata ispirazione in superficie. Gli effetti speciali, concentrati principalmente nella rappresentazione ectoplasmica dello spirito, scimmiottano in malo modo le varie mummie d’oltreoceano, senza regalare alcun brivido e nessuno stupore.
Ma il problema di fondo e’ che l’esibizione schiaccia l’immaginazione, togliendo ogni mistero al frenetico, ma meccanico, scorrere degli eventi. Anche le battute sdrammatizzanti non fanno ridere e soprattutto stonano in un contesto in cui non c’e’ nulla da sdrammatizzare, visto che la capacità di creare tensione sembra l’ultima preoccupazione del regista. Insomma, il tentativo di rinverdire i fasti del mitico sceneggiato televisivo cade nel vuoto concettuale e visivo, e l’ambizione alla “grandeur” sembra spremere il peggio dei “pop-corn movies” americani, con cui il nuovo “Belfagor” si mette in fallimentare competizione.
Luca Baroncini