Scheda film

Regia e Montaggio: Franco Maresco
Soggetto e sceneggiatura: Franco Maresco e Claudia Uzzo
Fotografia: Luca Bigazzi, Tommaso Lusena De Sarmiento e Irma Vecchio
Scenografia e Costumi: Cesare Inzerillo e Nicola Sferruzza
Musiche: AA.VV.
Italia, 2014 – Docu-fiction – Durata: 94’
Cast: Ciccio Mira, Erik, Vittorio Ricciardi, Tatti Sanguineti, Ficarra e Picone
Uscita: 4 settembre 2014
Distribuzione: Parthénos

Sale: 38

 Lost in Brancaccio

Dopo aver disertato la conferenza stampa e la proiezione ufficiale in quel del Lido, dove Belluscone – Una storia siciliana era stato invitato in concorso nella sezione “Orizzonti” alla 71esima edizione della Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica, a pochi giorni di distanza Franco Maresco continua imperterrito la sua latitanza anche in occasione dell’uscita nelle sale con Parthénos della sua ultima fatica dietro la macchina da presa. Fatica nel vero senso della parola, visti i tre lunghissimi anni che ci sono voluti per portarla a termine. A termine per così dire perché, nel caso della seconda prova in solitaria (il semi-invisibile e pregevolissimo documentario Io sono Tony Scott. Ovvero, come l’Italia fece fuori il più grande clarinettista di jazz) dopo la fine dello storico sodalizio con Ciprì, il regista palermitano porta sullo schermo un’opera incompiuta o incompleta a seconda dei punti di vista che, seguendo traiettorie diverse, non può che riportare alla mente il “maledetto” Don Chisciotte di Terry Gilliam (è notizia recente di un nuovo tentativo), la cui travagliata lavorazione ancora oggi bloccata è stata documentata in Lost in La Mancha da Keith Fulton e Louis Pepe.
Azzardiamo così una parafrasi che vede Maresco alle prese con quello che potrebbe essere battezzato un “Lost in Brancaccio”, proprio lì dove la videocamera ostinatamente kamikaze guidata dal regista siculo ha fatto per gran parte tappa e dove non poteva che arenarsi a causa del tema trattato nel film. E inizia proprio da lì il tour incompiuto nelle periferie palermitane che porterà alla latitanza del cineasta ed è sempre da lì che il funambolo della critica cinematografica nostrana Tatti Sanguineti partirà, una volta giunto a Palermo, per tornare sulle tracce dell’amico di vecchia data e ricostruire le vicissitudini della pellicola. Un’opera, questa, tanto ambiziosa quanto scomoda, che nelle intenzioni del suo autore avrebbe dovuto raccontare le origini criminali di Silvio Berlusconi in Sicilia, passando attraverso una raccolta di testimonianze di fedelissimi come Marcello Dell’Utri, pentiti di mafia (Mutolo) e cantanti neomelodici di bandiera berlusconiana. Muoversi su un terreno minato del genere non poteva che creare una serie di problematiche a chi avesse deciso di provare ad attraversalo, anche se costui risponde al nome di Maresco; uno che le mani non ha mai avuto paura di sporcarsele (vedi “Cinico Tv”, ma soprattutto il dissacrante Totò che visse due volte).
Strategia di marketing, trovata drammaturgica o verità, questo sta allo spettatore di turno scegliere quale tesi sposare, ma di fatto al cospetto di Belluscone è impossibile non pensare a qualcosa che assomiglia più o meno vagamente alla forma e ai caratteri distintivi del mockumentary e della docu-fiction, nei quali le tre suddette strade finiscono con l’intrecciarsi. Regista spericolato, anomalo e inventivo, Maresco dimostra di non volere rinunciare al suo modo di fare cinema, non rinnegando quanto fatto in precedenza a differenza dell’ex collega di set che ha preferito percorrere strade meno tortuose con progetti in solitaria ugualmente personali, ma decisamente meno feroci e fuori dagli schemi. Per questo si tuffa a capofitto in un buco nero a testa bassa senza via d’uscita se non quella d’emergenza (la latitanza), con tutto ciò che ne consegue, ma lasciando un film che testimonia il coraggio di averci provato nonostante tutto e tutti. Ne viene fuori un affresco folle e drammaticamente divertente che mescola politica, biografia, illegalità, sporchi affari, cronaca nera e musica. Non è il solito pseudo-romanzo-criminale in salsa nostrana, tantomeno l’ennesimo attacco frontale al Cavaliere (ultimo in ordine di tempo fu S.B. Io lo conoscevo bene), ma un’irriverente e cinica odissea filmica che gioca con toni e registri, passando con un battito di ciglia dal serio al grottesco. Come Spurlock e Moore, Maresco invade più volte lo schermo e ci mette la faccia, quella tosta di chi non ha paura di fare domande pericolose per ottenere risposte altrettanto pericolose sulla mafia. Si attacca come una sanguisuga a un impresario musicale locale colluso, tale Ciccio Mira, e lo pedina di concerto in concerto, trasformandolo in un bersaglio e nella cartina tornasole di un modo di pensare e di agire che è tipico della mentalità mafiosa. Irresistibili i duetti e gli stralci di interviste che vedono coinvolti Mira e il regista, così come i siparietti che chiamano in causa un Sanguineti caricato a pallettoni che spolvera i suoi immancabili monologhi. Peccato per alcune digressioni (la nota biografica di Ciccio e i suoi trascorsi) e passaggi a vuoto che rallentano il ritmo incalzante di un documentario che sa come provocare, intrattenere e persino fare riflettere.
RARO perché… è programmaticamente tale!

Voto: 8

Francesco Del Grosso