Scheda film
Regia: Massimo Andrei
Soggetto: liberamente tratto dalla commedia teatrale “BENHUR” di Gianni Clementi
Sceneggiatura: Gianni Clementi, con la collaborazione di Massimo Andrei
Fotografia: Vittorio Omodei Zorini
Montaggio: Claudio Di Mauro e Shara Spinella
Scenografie: Massimiliano Nocente
Costumi: Isabella Rizza
Musiche: Nicola Piovani
Italia, 2012 – Commedia – Durata: 98′
Cast: Nicola Pistoia, Paolo Triestino, Elisabetta De Vito, Teresa Del Vecchio, Stefano Fresi, Mauro Mandolini, Giorgio Carosi
Uscita: 1° maggio 2013
Distribuzione: Movimento Film
All’ombra del Colosseo
In seguito a una pratica piuttosto diffusa dalle nostre parti nei decenni che furono, molti testi teatrali e pièce hanno trovato terreno fertile nella Settima Arte, diventando le basi narrative e drammaturgiche di una serie di adattamenti per il piccolo e soprattutto per il grande schermo, alcuni dei quali ancora stampati nella memoria del pubblico e degli addetti ai lavori (il lavoro dietro la macchina da presa di Eduardo De Filippo in tal senso basta e avanza per rendere perfettamente l’idea), altri non all’altezza della situazione e nemmeno delle rispettive origini. Sull’onda di un trend negativo, legato ad una serie di palesi insuccessi miseramente raccolti ai botteghini (da Uomini sull’orlo di una crisi di nervi a Stregati dalla luna), la suddetta pratica ha subito negli ultimi decenni un drastico e sostanziale ridimensionamento che ha portato registi e produttori nostrani ad affidarsi sempre di meno al teatro, rivolgendo il proprio sguardo verso altro, magari alla letteratura o alla cronaca giornalistica presente e passata. Il cartellone cinematografico della stagione attuale, però, sembra volerci dire che un ritorno di fiamma per quanto riguarda la produzione italiana sul fronte degli adattamenti (in altre cinematografie, in particolare europee come quella francese o inglese, il sodalizio tra le due Arti non ha conosciuto una brusca frenata come da noi) è tutto tranne che una remota possibilità. A confermarcelo l’uscita a distanza di una manciata di settimane l’uno dall’altro di Razzabastarda prima e di Benur – Un gladiatore in affitto poi, entrambi presentati alla scorsa edizione del Festival Internazionale del Film di Roma.
Archiviata la pellicola di Alessandro Gassman, che proprio da uno spettacolo di successo dal titolo “Roman e il suo cucciolo” (andato in scena per tre stagioni teatrali consecutive per un totale di 240 repliche complessive) ha tratto la sua opera prima, tocca ora alla commedia teatrale “Ben Hur” di Gianni Clementi trovare la via della sala con Movimento Film a partire dal 1° Maggio. Tanto il cambio di rotta riscontrabile nell’epilogo (decisamente più consolatorio e costruito per offrire diverse chiavi di lettura), quanto lo spostamento di gran parte delle azioni al di fuori dell’unica location che caratterizza invece il testo nativo di Clementi, ambientato all’interno del salotto di una casa capitolina, mettono in chiaro il fatto che ci si trova al cospetto di un libero adattamento. Benur – Un gladiatore in affitto alterna interni ad esterni, proiettando il racconto dalle quattro mura dell’appartamento abitato da un fratello e una sorella ai luoghi riconoscibili della Roma Classica. Ciò dà vita a un interessante cortocircuito e accostamento scenografico tra un presente degradato e abbandonato fatto di palazzine ammucchiate in una zona periferica della Capitale (per la precisione Tor Sapienza) e un passato legato ai luoghi simbolo e ai fasti di un Impero. Uno sfondamento necessario quanto scontato delle pareti teatrali dove la storia era in prima istanza circoscritta, che permette così alla vicenda di allargare i propri orizzonti oltre la soglia di una casa sino all’ombra del Colosseo.
Sullo sfondo di questo conflitto spazio-temporale, che intelligentemente non presta mai il fianco a sortite in ambienti borghesi, prende forma drammaturgica e sostanza visiva una storia di incontro e scontro tra culture e idiomi, modi di vivere e affrontare la vita, di tre anime ognuna alla ricerca di qualcosa. Sergio è un ex stuntman di Cinecittà infortunatosi sul set di un film americano, che per sbarcare il lunario si arrangia con impieghi fantasiosi, come fare il Centurione al Colosseo. La sorella Maria, con cui Sergio divide l’appartamento nell’estrema periferia romana, lavora da casa per una hot-line erotica. Due vite alla deriva, finché un giorno a cambiare le cose ci pensa Milan, immigrato clandestino bielorusso, che stravolgerà la loro esistenza. Pur di lavorare Milan è disposto a diventare lo “schiavo” di Sergio, sostituendosi a lui nel ruolo di “Centurione” al Colosseo. L’intraprendente extracomunitario diventerà ben presto l’idolo dei turisti, anche perché per battere la concorrenza Milan – ingegnere nel suo paese – costruisce una biga come quella del film “Ben Hur”, grande attrattiva per i turisti. Lo straordinario incontro si trasformerà in una lucrosa occasione di guadagno per Sergio, ed in un’improbabile storia d’amore per Maria dalle conseguenze tanto disperate quanto comiche.
Al di là dei suddetti aggiustamenti di rito, il plot resta piuttosto fedele alla sua provenienza, proponendo allo spettatore cinematografico il medesimo mix di comicità sopra le righe e temi sociali (dallo sfruttamento degli extra-comunitari al problema dell’irregolarità degli immigrati clandestini, passando per gli infortuni sul lavoro per lo più a nero) precedentemente offerto allo spettatore teatrale. Lo humour cinico e prepotente che pervade il testo dalla prima all’ultima riga viene ancora una volta scaraventato verso la platea a più livelli e a decibel altissimi, diventando di fatto lo strumento scelto dagli autori per portare sullo schermo un storia che mostra l’immigrazione da una prospettiva diversa dal solito, ossia quella che riguarda una seconda fase, ossia quella degli stranieri che si sono già integrati nel tessuto sociale. Questo crea spunti di riflessione altri, che in Italia stanno iniziando a trovare spazio al cinema solo da poco (vedi Claudio Giovannesi con il dittico formato da Fratelli d’Italia e Alì ha gli occhi azzurri o Sta per piovere del regista iracheno di adozione tricolore Haider Rashid) e per questo meritevoli di attenzione. Viste le tematiche sollevate, non è un caso, infatti, che a dirigere il film sia stato chiamato uno come Massimo Andrei, che proprio nei confronti di esse ha sempre dimostrato di avere un certa sensibilità e propensione. Quanto basta per evitare al suo lavoro, davanti e dietro la macchina da presa, di scadere nei luoghi comuni e nei cliché. In tal senso, la sua opera prima battezzata Mater Natura ne è la riprova. Ibrido nella sua complessità ipercolorata che mescola influenze popolari e populiste della sceneggiata con rimandi “alti” al neorealismo e al cinema napoletano recente, il melodramma con la commedia e il grottesco, la trasgressività in campo sessuale con le cadenze di un musical, quello del 2005 è un film che risulta compatto nella struttura e originale nello stile.
Purtroppo, non si può dire lo stesso di Benur – Un gladiatore in affitto che, nonostante regali al pubblico una gradevole commedia agro-dolce e non pochi momenti di ilarità (la cinese di Vetralla, la supposta per Milan), è costretto ad appoggiarsi a una successione di sketch piuttosto che a un corpus unico e compatto, ma soprattutto alla performance dei tre protagonisti capitanati da Nicola Pistoia. Senza di loro, che su quei personaggi hanno potuto lavorare e sperimentare per trecento e passa repliche, probabilmente il film non avrebbe avuto da quel punto di vista lo stesso sapore.
Francesco Del Grosso