Scheda film
Regia: Tim Burton
Sceneggiatura: Scott Alexander & Larry Karazszewski
Fotografia: Bruno Delbonnel
Montaggio: JC Bond
Scenografie: Rick Heinrichs
Costumi: Colleen Atwood
Musiche: Danny Elfman
USA, 2014 – Biografico/Drammatico  – 105′
Cast: Amy Adams, Christoph Waltz, Danny Huston, Krysten Ritter, Jason Schwartzman, Terence Stamp e Jon Polito.  
Uscita: 1 Gennaio 2015
Distribuzione: Lucky Red


L’arte dell’innocenza

Scordiamoci i mostri, gli zombie, gli scheletri e l’espressionismo tedesco del Gabinetto del Dottor Caligari (R. Wiene 1919), protagonisti e corrente tanto cari a Tim Burton e mettiamoci belli comodi al sole, immersi da colori vivi e sgargianti ad assistere alla storia vera dell’americana Margaret Keane (Amy Adams).
Siamo a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta e la giovane donna con figlia al seguito si improvvisa pittrice fai da te per sbarcare il lunario. I suoi quadri rappresentano bambini con enormi occhi e colpiscono da subito il suo futuro (secondo) marito Walter Keane (Christoph Waltz) incontrato durante un mercatino di strada. L’abile uomo intuisce da subito il valore dei quadri di Margaret, la quale soccomberà al suo fascino fino a permettergli di firmare le sue apprezzate tele. Nasce cosi una delle più grandi frodi nel mondo delle opere d’arte che porterà la famiglia Keane ad avere al suo interno forti dissapori, ma nel mondo un impressionante successo grazie anche alla prima vera forma di commercializzazione dell’arte.
Fresco di ben 3 nominations ai Golden Globe 2014 (Oscar della stampa estera ad Hollywood), che comprendono entrambe le performance dei due attori principali (Adams & Waltz) ed una intensa canzone originale, Big Eyes è il risultato del rapporto tra il regista di Burbank e la famosa pittrice. Questi si sono conosciuti molto prima della lavorazione del film per stessa ammissione di Tim Burton, il quale ha dichiarato di avere nella sua collezione privata diversi quadri con gli ”Occhioni Grandi” e di apprezzare il lavoro intimista di Margaret.
L’autore di Nightmare Before Christmas (1993) sempre attento a quello che si può definire “strano”, che per lui è sinonimo di normalità, ha trovato in questa storia un profondo significato legato alla sua infanzia di ragazzino innocente che vedeva il mondo dei diversi come il suo mondo, dove l’anticonformismo fatto di esseri bizzarri e gotici rappresentava una variante alla società colma di avidità ed arrivismo. Gli esseri che appartengono al suo universo incutono terrore in superficie, ma hanno sempre dimostrato il contrario. I personaggi burtoniani hanno la caratteristica innata di essere dolci e con il cuore tenero, l’esempio più lampante è il meraviglioso Edward mani di forbici (1990) che sembra, con il suo viso ed i suoi occhi sgranati, essere la versione dark dei quadri della Keane. Quadri nei quali è presente una certa forma d’innocenza intrinseca nell’infanzia, una solitaria tenerezza che incontra sulla sua strada anche la paura, il disagio, e l’inadeguatezza. La pittrice rappresenterà svariate volte proprio la figlia, specchio di se stessa alla sua età. Il riassunto esaustivo di tutto questo è un arte naturale, grossolana, non proprio raffinata ma profonda e di grande impatto.
Il paesino “american style” che lascia la ritrattista per andare a cercar fortuna in California è esattamente lo stesso luogo in cui vive Edward (mani di Forbice). Il cineasta fa uscire Edward/Margaret e se stesso dal proprio mondo di appartenenza, assumendosene tutti i rischi con risultati altalenanti.  Dapprima assistiamo all’oscuramento del mondo della pittrice che poi troverà la consacrazione nella propria arte, ma anche una non piena riuscita del film stesso.
Un passaggio rilevante del lungometraggio è rivolto alla sua anima “pop”. Lo scaltro Walter Keane avvia una campagna pubblicitaria mirata alla vendita di massa dei quadri della moglie, filosofia che si lega in parte alla corrente artistica di un grande che di nome fa Andy Warhol. Quest’ultimo sosteneva che l’arte doveva essere fruibile per qualunque individuo, la ripetizione delle opere su larga scala con svariate copie serigrafate permetteva alla società di prendere parte a qualcosa di elitario. Lo scopo del genio di Pittsburgh era mirato sicuramente alla provocazione. La ripetizione dei quadri della Keane portò alla famiglia una smisurata ricchezza ed il contraltare fu lo svuotamento di significato di quei teneri e grandi occhi. Margareth trovò nel momento della più cupa depressione, sequenze dove il regista da il meglio di sé (dipinto emblematico è il momento in cui madre e figlia subiscono i soprusi del marito delirante), il modo per esprimere se stessa attraverso il suo secondo periodo pittorico con opere più mature, ma di minore rilevanza.
L’arte diventa espressione di se quando l’artista, dopo un’illuminazione religiosa, troverà la forza per spodestare il coniuge. In quell’esatto momento la sua arte riprende tutto il proprio valore. Il fanciullo che è in lei vince su tutto.
Cinematograficamente Big Eyes risulta meno intrigante di altre opere del cineasta californiano, soprattutto la parte finale del processo, dove l’ironia, componente base delle opere del regista non è ben calibrata.  La sceneggiatura affidata alla coppia Scott Alexander e Larry Karazszewski, i quali avevano già egregiamente lavorato con Burton in Ed Wood (1994), è didascalica e poco accattivante con la presenza di qualche forzatura di troppo.
Da segnalare le musiche di Danny Elfman, compagno di giochi di Tim Burton, d’atmosfera all’inizio del film e con il susseguirsi degli eventi trova spazio l’uso delle percussioni in linea con l’andamento tortuoso della pellicola.
Quello che rimane di questo lungometraggio, che annovera una fotografia magistrale fatta di colori caldi e luminosi (Bruno Delbonnel, premio oscar nel 2002 per Il famoso mondo di Amélie) è l’interessante, ma già sviscerato in altre occasioni, viaggio nell’universo del fanciullo. Questo è testimoniato anche dalla presenza di una voce narrante tipica del mondo favolistico. La critica pungente indirizzata alla speculazione nell’arte, aspetto che provoca un forte risentimento nell’autore, è la parte più meritevole, e si vede!

Voto: 6

David Siena

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