Una film di vendetta ambientato sullo sfondo della Grande Carestia, che ha devastato l’Irlanda alla fine degli anni ’40 dell 800. Black 47 reinventa l’irlanda come il Far West con latifondieri inglesi cattivi, e uomini dal viso duro .
La prima reazione che la prima mondiale di Berlino di questo film provoca, è la sorpresa che nessun regista abbia sfruttato questa drammatica storia della carestia irlandese prima d’ora. E’ un thriller quasi western cupo, pigro, soffocato dal cliché.
La Grande Carestia fu una insieme drammatico di sfortuna, politica putrefatta, fanatismo religioso, terribile povertà e arrogante malgoverno coloniale britannico. Era una tragedia evitabile che ancora oggi incombe nella memoria popolare irlandese, specialmente negli ambienti nazionalisti, e in modo comprensibile. Anche dopo che la peronospora ha distrutto il raccolto locale che i contadini rurali più poveri hanno invocato per il sostentamento di base, i proprietari terrieri inglesi hanno continuato a esportare montagne di prodotti agricoli all’estero a scopo di lucro.  Circa un milione di persone sono morte per fame o malattia e un altro milione è emigrato.
James Frecheville (Animal Kingdom) interpreta Martin Denny, un disertore irlandese dell’esercito britannico che torna a casa nelle campagne dell’Irlanda occidentale nel 1847 per assistere agli orrori della carestia. Apprende che sua madre è già morta di fame e suo fratello è stato impiccato da un giudice inglese.
Denny è sopraffatto dall’ingiustizia di cui è testimone in Irlanda. Mentre progetta di emigrare in America, si imbarca in una missione di vendetta.
C’è un ampio potenziale in Black 47 . Daly opta per una rappresentazione più ardita del martirio celtico, con montagne coperte di nebbia, morbide ballate popolari e contadini sospettosamente ben nutriti riuniti in case di pietra fatiscenti. I personaggi inglesi, nel frattempo, sono tutti snob schiamazzanti, sadici e razzisti . Le caricature esagerate sono tipiche del cinema di genere, naturalmente.
Il casting di australiani in una storia anglo-irlandese produce risultati contrastanti.
Belle le lunghe scene sottotitolate che presentano solo dialoghi gaelici, che rafforzano il divario culturale tra gli inglesi occupanti e i loro insignificanti soggetti irlandesi. Un grido di denuncia parzialmente riuscito che comunque emoziona.

Vito Casale