Regia: Stephen Kay
Sceneggiatura: Eric Kripke
Anno: 2005
Nazione: Stati Uniti d’America
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 89′
Data uscita in Italia: 08 luglio 2005
Genere: thriller- horror
Tim Barry Watson
Kate Houghton Emily Deschanel
Franny Roberts Skye McCole Bartusiak
Boogeyman Andrew Glover
Recensione n.1
Tim ha un bel lavoro ed una bella ragazza, Jessica, ma i suoi ricordi di bambino non sono dei migliori. Un presunto “Uomo Nero” è entrato nella sua vita rubandogli il padre, e da allora una paura lo tormenta, ma si tratta di realtà o di qualche trauma infantile?
Questo thriller, che esce nel momento di una stagione estiva e cinematografica sempre più lunga, può essere definito un film di genere senza troppe pretese, ma che ha il pregio di tenere alta la suspance, con una tensione discretamente dosata secondo gli schemi bel rodati di questo tipo di opere. Il film deve essere preso per ciò che è, cioè un’opera senza significativa profondità o ricerca autoriale dentro il genere, come invece è in essere per molti film americani, spagnoli e del sud-est asiatico. Insomma, ci viene offerta una porzione di “paura”, tutto qui, ma a pensarci bene sono proprio questi i film che orientano l’immaginario collettivo più di ogni altro. Per esempio, “La Guerra dei Mondi” è un film sulla “pericolosità del diverso”, e, come avevo immaginato, questo sabato (09/07/05), dopo l’attentato a Londra, ho dovuto fare una fila lunghissima a Roma per riuscire ad acquistare il mio biglietto per “B”, aggiungendo che il film di Spielberg è uscito già due settimane prima, lo proiettano in moltissime sale, e che sono andato allo spettacolo di un afoso pomeriggio estivo alle 15:30!!!
Anche l’Uomo Nero rientra in questo “grande fiume”, che è quello delle opere che prefigurano o orientano i sentimenti della gente in relazione alle contingenze sociali e politiche.
L’Uomo Nero è tante cose: il cattivo nascosto che viene a rubarti la tranquillità e i valori della tua vita, e tu magari pensi che non sia pericoloso e che non esista, ma è proprio questa la sua forza. L’Uomo Nero sono le nostre paure, che solo quando vengono affrontate a cuore aperto e con il giusto impegno intellettuale possono essere sconfitte, contribuendo quindi alla nostra crescita. L’Uomo Nero è qualunque cosa che non conosci e che proprio per questo è cattiva, o, se pensi che sia cattiva, almeno sei protetto, nel senso che ti difendi aprioristicamente, altrimenti sei “divorato vivo”…crederci non nuoce, invece non crederci ti può lasciare indifeso. L’identità di Boogeyman è superflua, infatti il film non offre nessuna interpretazione sulle ragioni dell’esistenza dell’uomo nero. E’ un’entità soprannaturale attiva, ma non sappiamo assolutamente null’altro di lui, e tanto meno il perché agisce in questo dato modo. Il film ci offre qualche scatola a sorpresa, fino all’epilogo finale, e tutto sommato anche quelle sono ormai consuete.
Sam Raimi produce il film e ne vediamo l’impronta attraverso un’iconografia che resta sospesa tra “La Casa” e il maturo “The Gift”, ma che sostanzialmente è dirottata verso una sorta di “teenager thriller” adeguato all’interesse parapsicologico dei nostri tempi e delle varie proposte editoriali.
Un suggerimento: dopo che avete visto il film ripensate all’impronta di sangue nella vasca da bagno, ci può spiegare altre cose….e se dentro ognuno di noi albergasse l’Uomo Nero? Egli vive comunque dal momento che pensiamo che sia reale. O forse lo generiamo al di fuori da noi stessi con i nostri pensieri, pregiudizi e le nostre indifferenze? Magari “the Boogeyman” è tutte queste cose….
Gino Pitaro newfilm@interfree.it
Recensione n.2
Da una una delle paure più ataviche di ogni bambino, quella di essere preso dall’uomo nero che alberga dietro la porta dell’armadio, S.T. Kay ricava questo film in cui il protagonista, traumatizzato da piccolo dalla sparizione del padre risucchiato dal baubau della credenza, si ritrova da adulto nella casa cadente della fanciullezza, dove affronterà tra terrori e cigolii, colui che vive e uccide tra grucce e camicie piegate.
Il film pare partire bene: buona l’idea di fondo, che attinge ad una delle paure più tradizionali e “basiche” di tutti i bambini, per poi perdersi man mano in un manierismo horror ai limiti del sopportabile. Sia chiaro, lodevole è l’impegno, portato avanti per più di un’ora, di evitare scene splatter o visioni di mostri di sorta, ma la struttura è debole. Nella seconda metà poi l’apparizione dell’uomo nero in persona porta il misuratore di sopportazione in territorio negativo, vanificando quel poco (pochissimo) di buono prodotto fino a quel momento. Certo, obietterà qualcuno, il film fa paura (o almeno paurina), ma anche uno schermo nero di dieci secondi con uno sparo forte in Dolby Surround in un cinema buio non è da meno.
Dialoghi al limite dell’imbarazzante, attori televisivi che si impegnano con scarso risultato per sembrare problematici e impauriti, regia di maniera con eccessi stilistici intollerabili (mai viste tante inquadrature plongee nella storia del cinema tutte in una volta sola), montaggio che spesso taglia la suspense nel momento migliore: insomma, c’è di peggio, ma si fa fatica a trovarlo.
Ci si chiede come mai risulti così difficile in estate riempire i cinema, tradizionalmente deserti nella stagione sulle italiche sponde. La risposta forse è proprio in film come Boogeyman, che cercano fortuna tra le briciole dei friabili “Mondi” Spielberghiani facendo leva sul pubblico più adolescenziale. Speriamo che, come talvolta succede, prima o poi anche in questa estate italo-cinefila emerga tra le erbacce un fiore che nessuno aveva previsto, magari proprio nel genere thriller-horror, spesso rivelatore di autori di qualche talento.
Sam Raimi annuncia il suo imprimatur produttivo nei titoli di testa del film, ma fossi in lui la prossima volta prima darei un’occhiata…
VOTO: 3
Andrea W. Castellanza
castellanza@actionzone.it
Recensione n.3
Sam Raimi (id., La Casa, 1982) torna nella “casa” per produrre un film che mette a nudo le paure dell’uomo, quelle legate all’infanzia, quelle legate al buio e alle forme diaboliche che solo il buio può generare. Quanti di voi hanno sentito parlare dell’uomo nero quando erano piccoli? E’ questo lo spunto interessante dal quale partire per realizzare un bel film, diretto da Stephen T. Kay (id., Gli infiltrati, 1999), che da un’idea brillante riesce a generare tensione e angoscia, rendendo terribilmente vere quelle paure che hanno accompagnato l’infanzia di tutti i bambini.
Un film che attraverso le proprie immagini racconta decenni di cinema dell’orrore. Un’arte appresa dai grandi maestri ( dei quali fa indubbiamente parte Sam Raimi) e ora resa sublime attraverso l’uso di effetti digitali, in grado di aumentare il clima di tensione tra i diffidenti spettatori del cinema moderno, difficilmente conquistabili e impressionabili.
Già la prima scena mostra l’infanzia del piccolo Tim, in una stanza, in cui fa la sua prima apparizione l’uomo nero. E’ un’ombra, compare nel buio, scompare alla luce. E’ la paura che si materializza nei luoghi resi da sempre inquietanti grazie al cinema horror, quei luoghi nei quali è possibile far rivivere l’incubo più intimo, legato al ricordo, legato ad una “sciocca” paura infantile. E non poteva di certo mancare la casa di campagna isolata e tetra, un luogo in cui la citazione da film causerebbe una lista infinita di registi che vi hanno ambientato macabre vicende. Sam Raimi su tutti. Ma non solo. La casa è fatta di quei piccoli luoghi in cui nasce la figura dell’uomo nero, quei luoghi che da sempre incontrano le visioni e le paure dell’infanzia, gli angoli bui in cui si può immaginare di essere presi e portati via da figure diaboliche di ogni tipo. Così si guarda sotto il letto o si spia dietro le ante dell’armadio, cercando di allontanare l’incubo, ma ahimè, trovando spesso un riscontro reale.
Porte che si aprono e porte che si chiudono ci conducono all’interno dei luoghi del terrore, dove Tim (Barry Watson) cerca delle risposte, affrontando l’incubo che da sempre lo perseguita, e tentando di risolvere un conto in sospeso col passato. Ci si perde all’interno di spazi che mutano le concezioni del tempo, che divengono inquietanti porte spazio-temporali tra un passato fatto ricordi devastanti, e un presente enigmatico, dove sia Tim che lo spettatore perdono l’orientamento. Unico punto di riferimento una bambina vittima dell’uomo nero e conoscitrice dell’unica via di fuga: affrontare le proprie paure.
Grazie al digitale e a tutte quell’inquadrature ben studiate ( n.b. la scena dell’altalena) The Boogyeman riesce nel suo scopo principale, e cioè fare paura. A volte si rischia di cadere nel già visto, ma non si può dire che il film non sia ben architettato. Quello che forse fa perdere qualche punto ad un prodotto per gran parte sublime è il finale, nel quale l’eccesso di visione distrugge ogni traccia di tensione. Si ha molta più paura dell’invisibile, e l’aver dato forma all’uomo nero fa crollare il film nella goffa rappresentazione visiva di un “cattivo” che non dovrebbe avere né forma né volto. Ne risentono le scene finali dove la tensione accumulata lascia il posto ad un’assenza di gusto, dove tutto è troppo vero, e dove l’immaginazione sfuma pian piano creando un’inutile trionfo finale, quel classico lieto fine, in cui tutto torna, in cui tutto trova una soluzione. Ed è davvero un peccato.
Voto: 7
Endrio Martufi da www.hideout.it