Il “trittico” veneziano, sul “dittico” coppia-sessualità si completa sugli schermi cittadini con l’arrivo (dopo “Eyes Wide Shut” e “Une liaison pornographique”) dello “scandaloso”, “Bugie” del coreano Sun Woo Jang. Si è scelto di fare uscire questo film in prossimità della stagione estiva, una scelta probabilmente poco azzeccata.

Invaghita dello scultore J (Lee Sang Hyun), una giovane liceale Y (Kim Tea Yeon), gli si concede senza esitare. Il passo dal sesso “tradizionale”, al sado-maso con annessa coprofagia, è breve. La scoperta del sesso viene descritta passo dopo passo, in maniera grottesca e ironica.

E’ certamente fuori strada, chi si aspetta di rinvenire in “Lies” qualche traccia di “porno d’autore”, giacché il film coreano, pur se molto esplicito nel mostrare, raffredda il tutto grazie ad una macchina a mano che, ora vicina, ora lontana dai due amanti, ne altera continuamente la tenuta fisica, togliendo così una delle caratteristiche dello spazio del porno, ossia l’incisione dello spazio in funzione dei corpi presenti. Le dinamiche sono rese in modo rapido e spesso “demitizzato”, mentre il porno, invece, spesso sottolinea e cerca di valorizzare le situazioni “scabrose”.
Diverse sono le chiavi di lettura cui si presta “Lies”: un melò coreano, con una venatura di simil “Ultimo tango a Parigi” (il burro non è lontano…), una metafora delle due Coree, incapaci di avvicinarsi (ma alle Olimpiadi abbiamo visto segni di riavvicinamento), o, forse, la descrizione eccesiva, disperata, per nulla liberatoria, di una crisi esistenziale, di uno stato d’animo regressivo.
Il risultato è un film a tratti folle, a volte ironico, spesso grottesco, che sfinisce lo spettatore con le sua assurdità a lungo andare: il gioco è bello quando dura poco.

Vito Casale