IT 2002 di Paolo Virzì con Sergio Castellitto, Margherita Buy, Alice Teghil, Claudio Amendola, Antonio Carnevale, Paola Tiziana Cruciani, Flavio Bucci, Galatea Ranzi.

Recensione n.1

Una ragazzina impacciata di campagna, un padre deluso dalla vita, una madre che sembra vivere in un mondo tutto suo, questa è la famiglia Iacovoni che decide di fare il grande passo e trasferirsi nella grande città, Roma. Un arrivo quasi traumatico per la timida ragazzina, Caterina, che a scuola incontra realtà così diverse e così lontane dalla realtà di provincia da cui proviene. Diventa amica intima prima di una ragazzina “comunista”, figlia di una celebre intellettuale, poi, a seguito di un episodio spiacevole in presenza del padre, cambia amicizia e si avvicina ad un gruppo di ragazzine, la cui leader è figlia di un onorevole di destra, accostandosi così a persone di uno schieramento politico opposto.
In realtà, se è vero che sono ben rappresentate le due realtà politiche attraverso l’abbigliamento, il linguaggio e il modo di fare delle ragazzine adolescenti, la diversità si annulla completamente di fronte all’ingenuità di Caterina, all’assenza della madre e alle frustrazioni del padre. Soprattutto quest’ultimo è l’artefice di questa banalizzazione politica, perché la questione di fondo non è certo mostrare il vecchio
dualismo tra destra e sinistra, bensì veicolare un messaggio sociale, che è quasi un allarme. Il nuovo film di Paolo Virzì, se apparentemente cade nei soliti luoghi comuni, in realtà vuole diffondere un messaggio che riguarda la nostra società e i rapporti sociali tra le persone. La questione è preoccupante perché riguarda coloro che non hanno un posto dignitoso all’interno della scala sociale, che non hanno un lavoro gratificante e appagante, che si sentono frustrati, inutili, ignorati, in una parola esclusi. E agli occhi di queste persone poco importa se si è di destra o di sinistra, tutti sono uguali, purché contino qualcosa. Semplicemente. Significativo allora è l’incontro in presenza del padre di Caterina, tra due genitori di opposti schieramenti politici, l’onorevole di destra e l’intellettuale di sinistra, che si scambiano amichevolmente pacche sulle spalle, solo in nome della reciproca popolarità. “Pappa e ciccia” li definisce poi Sergio Castelletto (nei panni del padre frustrato), a tavola con la sua famiglia, “avresti dovuto vederli”, continua, irritandosi sempre di più, in un climax ascendente che sfocia in un’isteria già più volte in precedenza manifestata, fino alle urla finali, “quella è gente privilegiata, noi per loro siamo niente, siamo solo dei pupazzi”. Un messaggio sociale quindi, una denuncia che esprime una visione abbastanza pessimistica, anche troppo esasperata, ma forse così intenzionalmente voluta per rendere più chiaro il messaggio. Le impennate isteriche di Sergio Castelletto (sempre di ottima interpretazione) ricordano un po’ le analoghe isterie (anche contestate) del mucciniano “Ricordati di me”, del resto riguardano sempre questioni all’interno del nucleo familiare, anche se qui il problema non si esaurisce in esso, ma volge lo sguardo al di fuori di esso, all’esterno, alla società. E lo sguardo di Caterina dalla finestra del piano di fronte (ospitata da un ragazzo australiano, dopo essere scappata da casa), ricorda il punto di vista “esterno” ben rappresentato da Ozpetek ne “La finestra di fronte”, per un attimo Caterina diventa spettatrice della sua vita, anche se qui l’intento sociologico è molto più annacquato. E forse proprio perché ha avuto la possibilità di guardare la sua vita, quello che sono i suoi genitori, quello che sarebbe diventata, che alla fine reagisce a questa terribile omologazione sociale e quasi predestinazione. Realizza il suo sogno di cantare in un coro, sfugge alle consuete regole della società che impongono l’affermazione sociale, incurante del fatto di dover avere per forza una certa posizione. Lei semplicemente segue la sua attitudine, nella sua ingenuità che l’ha connotata per tutto il film, e che alla fine forse l’ha salvata. Dà così un forte schiaffo morale ad un padre che per tutta la vita ha cercato, annaspando, di avere una posizione dignitosa, ma che alla fine è rimasto inghiottito dai suoi stessi insuccessi e frustrazioni (anche nel privato). Peccato che non abbia potuto vedere la sua Caterina finalmente felice perché fuori dai circoli viziosi della società: non ha fatto in tempo, è andato via con la sua moto, icona di una gioventù e spensieratezza ormai perse per sempre, ha lasciato la famiglia dopo che anche quello che sembrava intoccabile, la dedizione quasi servile della moglie, è stato compromesso.

Marta Fresolone

Recensione n.2

La leggerezza di Paolo Virzi é come un innocuo soffio di vento. Sono gli occhi innocenti degli adolescenti attraverso i quali sceglie sempre di guardare il mondo. Un mondo che appare sempre strampalato. Strampalato come i personaggi che ci vivono dentro. In questo mondo balengo, dove ci sono i ricchi e i poveri. Dove ci sono la destra e la sinistra. Dove bisogna cercare una scusa per avercela con gli altri, per sentirsi diversi, per cercare una via di uscita e non pensare a se stessi. Al proprio mondo interiore, ai propri dolori. E allora si saltella, rimanendo sempre in bilico, ogni volta su una nuova sponda. Può essere una nuova città, una nuova classe, nuovi compagni. Ma la verità é che nulla cambia se non ci si libera da quell’ancora che ci spinge verso il basso. Il contrasto tra la leggerezza dello sguardo “adolescenziale” di Virzì si contrappone allora inevitabilmente alla pesantezza delle insanabili frustrazioni di Sergio Castellitto. Di un uomo che appesantisce la vita della figlia e quella della moglie, senza mai alleggerire la sua di quel fagotto che sono i rimpianti, le occasioni perse, o mai avute, che implacabili continuano un tormento infinito. Poi tutto scoppia, tutto tracolla. Non rimane che la fuga. Una fuga senza senso, però. Il vano tentativo di liberarsi di un peso che invece é dentro e difficilmente abbandona chi ne soffre. Ecco allora che gli “eroi” positivi diventano gli occhi incantati di chi si abbandona alle proprie passioni, a chi ride anche di poco, a chi pensa a costruirsela la vita. Perché la leggerezza non vuol dire superficialità. Può essere un modo per volare un pochino sopra la realtà… senza lasciarsi inghiottire. I personaggi sono tutti riuscitissimi: dalla piccola Caterina alle sue due amiche, dal ministro di destra Claudio Amendola (!) alla mamama Margherita Buy e al papà Sergio Castellitto. Il movimento delle immagini é un po’ quello di chi ha il mal di mare, di chi cerca inutilmente di orientarsi in un mondo che invece é sottosopra e in cui non esiste una logica, ma solo una lezione da imparare, quella di… non atterrarci mai sopra!

Cinzia Bovio

Recensione n.3

° Caterina si trasferisce a Roma insieme al padre, un professore giovane e già frustrato, e alla madre, una casalinga timida e felicemente sottomessa al marito: l’inizio è traumatico, ma presto fa amicizia con alcune compagne di classe e finisce per emanciparsi forse prima del tempo. Sceneggiando il film insieme a Francesco Bruni, Virzì calca appositamente la mano sugli stereotipi adolescenziali per mettere alla berlina certi (mal)costumi scolastici e, di riflesso, quelli sociali-familiari da cui presumibilmente questi provengono: facendo così, però, tradisce in parte lo spirito realistico che anima la sua neo-commedia all’italiana e coinvolge minimamente con scatti surreali/grotteschi che vorrebbero apparire à la page o profondi ma che rivelano soltanto il gusto per una deformazione caricaturale (anche a livello visivo) soltanto fine a sé stessa. Che a Roma gli studenti di terza media parlino già, sia pur in maniera superficiale e accomodante, di politica e impegno collettivo pare una forzatura improbabile e innocua, mentre il solito contorno di genitori post-sessantottini delusi dalla vita e amareggiati nei loro sogni adolescenziali svilisce tanto il tema del confronto generazionale quanto quello dello studio sincero e partecipe di un’età delicata e sfuggente: in più, il cinema popolano di Virzì si perde in un film corale e metropolitano e si lascia sfuggire di mano personaggi e/o situazioni che avrebbero meritato un ulteriore approfondimento (uno per tutti, l’amico fedele del paesello dove Caterina viveva all’inizio), cadendo nei più facili stereotipi dello scontro fra città-corruzione/campagna-purezza. Al solito, buona direzione degli attori, con Castellitto un po’ troppo sopra le righe nella parte di un uomo insopportabile già dopo pochi minuti. Comparsate amichevoli di Roberto Benigni, Maurizio Costanzo, Michele Placido, dell’onorevole Giovanna Melandri e di altri volti noti della televisione e della cultura italiana. COMM 90’ * *

Roberto Donati

Recensione n.4

Roma la capitale, che assorbe i suoi cittadini fino a renderli caricature stereotipate della realtà. E’sulla frenesia e il bisogno di identificarsi o da una parte o dall’altra ( destra/sinistra, pariolini/zecche, modaioli/intellettuali) che punta il regista, Paolo Virzì per far capire il senso di smarrimento della sua piccola Caterina, una “outsider” perché non romana e per questo non ancora ingabbiata negli schematismi convenzionali, estremi e pesanti di una città che per definizione rappresenta la potenza e il potere.
Virzì descrive quello che molti potrebbero definire un sottomondo, un universo fatto di semplicità, provincialismo e, perché no, mediocrità.
Caterina è l’esempio ancora fresco e genuino di quella mediocrità che il padre (Sergio Castellitto) tanto disprezza tentando disperatamente di far fare alla figlia ciò di cui lui non è stato capace…entrare in quel mondo ovattato fatto di potenti e famosi:, in poche parole, la gente che conta.
Qui i buoni e i cattivi non esistono. Esistono solo delle caratterizzazioni spesso esagerate e portate all’estremo che non lasciano spazio a chi sta in mezzo.
Non lasciano spazio quindi alla piccola Caterina che vive in un mondo tutto suo fatto della sua normalità e della sua musica (e difatti la musica che ama Caterina non è quella che in genere ama il popolo dei teenager).
Ma proprio il suo essere così diversa fa della ragazzina una conquista per le due compagne leader della classe che la imprigionano nel gioco amaro del “o con noi o contro di noi”.
Il finale ha tutto sommato un risvolto positivo, nell’accorgersi che si può rimanere come si è nonostante tutto, a patto di non essere inebriati e vinti dalla smania di potere. Sorte questa che spetta al padre di Caterina, vittima di una società ingiusta e a detta sua prerogativa dei soliti noti. Quando la sua vera sottomissione risiede nel lasciarsi affascinare da quello stesso mondo che tanto disprezza e che alla fine lo fa uscire di senno.
Vero e proprio cameo del film la figura della madre (Margherita Buy), sottomessa e schiava di un marito padrone che poco e male la considera.
I piccoli alla fine restano piccoli ma felicemente. La mamma nella sua poetica ingenuità innamorandosi di un uomo che più le assomiglia e Caterina raggiungendo i suoi obbiettivi (cantare al Santa Cecilia) senza rimpiangere il mondo falso che per tutto il film non ha fatto altro che farla sentire spaesata e incredula.
La sua forza? L’incredulità e lo sbigottimento che ha provato e non subito.

Giorgia Zamboni