Scheda film
Regia: James Gray
Soggetto e sceneggiatura: James Gray, Richard Menello
Fotografia: Darius Khondji
Montaggio: John Axelrad
Scenografia: Happy Massee
Costumi: Patricia Norris
Musiche: Chris Spelman
USA, 2013 – Drammatico – Durata: 120’
Cast: Jeremy Renner, Marion Cotillard, Joaquin Phoenix, Dagmara Dominczyk
Uscita: 16 gennaio 2014
Distribuzione: BIM Distribuzione
Nuovomondo
Lo avevamo lasciato lo scorso novembre impegnato a presiedere la giuria dell’ottavo Festival Internazionale del Film di Roma, lo ritroviamo a pochi mesi di distanza sugli schermi nostrani con la sua nuova pellicola C’era una volta a New York, obbrobrioso titolo scelto dalla BIM (con il più che evidente tentativo di rievocare l’intramontabile capolavoro leoniano) per distribuire a partire dal 16 gennaio quello che nella versione originale rispondeva invece a The Immigrant. L’identikit è quello di James Gray, qui alle prese con il quinto tassello di una filmografia che, nonostante non sia particolarmente ricca, può contare comunque su una serie di assolo che hanno lasciato il segno tra gli addetti ai lavori e non solo. Forse per questo quando hai alle spalle film come I padroni della notte o Two Lovers l’attesa nei confronti dei progetti futuri cresce proporzionalmente e con essa la delusione per un possibile flop. Purtroppo l’attesa di cinque anni ha prodotto un’opera che non soddisfa appieno le suddette aspettative, a maggior ragione perché va considerata, vista la natura del progetto, la più ambiziosa della sua carriera, almeno fino a questo momento. Trattasi, infatti, del suo primo film in costume che per caratteristiche, impianto produttivo, ambientazioni, tecnici e attori coinvolti, tipologia di plot e genere d’appartenenza, non può passare inosservato. Non che i precedenti non avessero motivi di uguale interesse e spessore, ma è indubbio che un film come C’era una volta a New York rappresenti un banco di prova per qualsiasi regista.
Nella pellicola presentata in concorso alla 66esima edizione del Festival di Cannes, scritta a quattro mani con il sodale e compianto Richard Menello, il regista e sceneggiatore statunitense esplora ancora una volta l’ossessione nei confronti della classe sociale, tema ricorrente nel suo cinema, ma staccandosi dai giorni nostri per catapultare plot e personaggi nei primi del Novecento per raccontare una storia d’immigrazione. Siamo nel 1921 al seguito di Ewa Cybulski e della sorella Magda, partite dalla natia Polonia per cercare fortuna negli Stati Uniti d’America, destinazione New York. Quando arrivano ad Ellis Island, i dottori scoprono che Magda è malata e le due donne vengono separate. Ewa si ritrova nelle pericolose strade di Manhattan, mentre sua sorella viene messa in quarantena. Sola, senza un posto dove andare e nel disperato tentativo di ricongiungersi con Magda, Ewa diventa presto preda di Bruno, un uomo affascinante ma malvagio che la prende con sé e la spinge a prostituirsi. Ma l’arrivo di Orlando, ardito illusionista e cugino di Bruno, le ridona la fiducia e la speranza per un futuro migliore, ma Ewa non ha tenuto conto della gelosia di Bruno.
Non nuovo a riferimenti alti che lo hanno portato a trarre profonda ispirazione persino da Dostoevskij quando si è trovato a dare forma e sostanza all’intensa vicenda narrata in Two Lovers, questa volta il cineasta americano ha deciso di guardare alla sterminata tradizione dell’Opera e del melodramma, in particolare a un classico come “Suor Angelica” di Puccini, per comporre un dramma della gelosia che parla anche del senso di colpa e del concetto di peccato reale o solo percepito in una chiave austera e mitica.
Per quanto ci riguarda, Gray ha dato vita a un film visivamente magnetico se si analizza a 360° la confezione formale e l’autenticità della messa in scena, persino poetico e fortemente evocativo dal punto di vista iconografico, oltre che storico-artistico, ma discontinuo sul fronte drammaturgico. Se da una parte lo straordinario team creativo coinvolto (in primis il direttore della fotografia Darius Khondji) ha consentito all’operazione di ricreare sullo schermo una successione di immagini che restituiscono in tutto e per tutto le atmosfere intrise di grande nostalgia, angoscia e trepidazione, che caratterizzavano quegli anni così delicati (i riferimenti ai dipinti di George Bellows sono ricorrenti), molto di più di quanto fatto da Crialese e dalla troupe a sua disposizione per la realizzazione di Nuovomondo, dall’altra il racconto subisce non poche battute d’arresto che non consentono allo spettatore di turno di restare incollato alla vicenda, a causa del livello di coinvolgimento che risulta piuttosto basso. Demerito di personaggi con i quali, nonostante le ottime interpretazioni del trio formato da Jeremy Renner (Orlando), Marion Cotillard (Ewa) e Joaquin Phoenix (Bruno), non si riesce a interagire empaticamente. Anche se ben delineati da una scrittura sobria e attenta alle diverse sfumature, infatti, restano comunque freddi e raramente accessibili.
Il flusso d’informazioni, i tempi eccessivamente dilatati, le frequenti digressioni e le tante sottotracce incanalate nello scheletro drammaturgico principale (dal processo d’immigrazione che vede impegnata la protagonista, al rapporto di dipendenza reciproca che si viene a creare tra lei e il suo carnefice Bruno, dal tentativo d’isperato di Ewa di ricongiungersi con la sorella che la porta a prostituirsi al triangolo amoroso che coinvolge la donna e i suoi due contendenti), rendono la fruizione raramente scorrevole e piuttosto faticosa.
Voto: 7
Francesco Del Grosso