Anelli d’argento contenenti informazioni cifrate sono l’obiettivo di una nuova missione dei tre angeli: Natalie, Dylan e Alex, che, tra mille disavventure, dovranno vedersela anche con una ex-collega, passata dalla parte del cattivo. Il tutto tra acrobazie, belle donne ed effetti speciali.
Recensione n.1
Con il primo episodio hanno distrutto il ricordo della serie televisiva trasformando un’icona degli anni settanta/ottanta in uno sconclusionato videoclip senza capo ne’ coda. Nell’immancabile sequel, nato sull’onda dei 264 milioni di dollari raccolti in giro per il mondo dal capostipite, lo stesso cast spinge ulteriormente il pedale sull’accelleratore della demenza. La furbizia dell’operazione consiste ancora nell’appropriasi di un nome conosciuto a livello globale per costruire, con un cast accattivante e tanto marketing, un prodotto fatto su misura per il teen-ager medio, basandosi sulle statistiche di mercato che vogliono le ragazze attente al look e al girl-power e i pischelli a caccia di cosce all’aria e testosterone. Ovviamente della serie televisiva non rimane nulla, se non la superficie: tre ragazze al servizio di uno sconosciuto datore di lavoro con cui entrano in contatto solo tramite un citofono attivato dal fido Bosley. Prima nefasta novita’ e’ proprio la sostituzione del bolso Bill Murray con l’insipido “fratello” nero Bernie Mac, a cui sono riservate le gag peggio riuscite del film. Altra new entry la rediviva Demi Moore, in versione cattivissima e fisicamente tanto in forma da sembrare il frutto di una elaborazione di sintesi. Quanto alle tre esagitate protagoniste, saltano come ossesse dall’inizio alla fine cambiando costume ad ogni inquadratura e divertendosi come pazze. Tanto entusiasmo non e’ pero’ sempre contagioso, nonostante il nonsense della sceneggiatura arrivi qualche volta a spingersi talmente oltre da risultare trash e quindi spassoso. Il giovane McG, chiamato ancora una volta a tenere le fila del pasticcio, continua ad essere molto attento al ritmo, ai colori e ai numeri musicali che, pur essendo (come tutto del resto) completamente gratuiti, risultano tra i momenti migliori del film. Non a caso si e’ affermato dirigendo videoclip. A coprire i buchi dello script, una trita e insipida combinazione di citazioni cinematografiche (“The Blues Brothers”, “Cape Fear”, “Flashdance”, “Terminator II”, “Point Break”) e “camei” di lusso: alcuni ironici (Bruce Willis), altri celebrativi (l’ex-angelo televisivo Jaclyn Smith), altri semplicemente riempitivi (la cantante Pink).
La storia, colpo di scena, e’ invece un pelo piu’ elaborata rispetto al primo episodio, ma rimane un pretesto per costruire sequenze di gratuita fantasia dove il talento visivo e’ messo al servizio del nulla. Il turpiloquio e i doppi sensi alla base dei dialoghi, avvicinano il lungometraggio piu’ al filone demenziale (tipo “Una pallottola spuntata” o “L’aereo piu’ pazzo del mondo” per intenderci) che ad una serie poliziesca. La tensione infatti e’ assente e di coinvolgimento non si puo’ nemmeno parlare. Solo tanti colori in cui immergersi, legati da una certa ironia che impedisce al progetto di affondare completamente. Potrebbe funzionare benissimo come fondale animato in una discoteca, o come intrattenimento mentre si consuma un panino al pub, oppure come sottofondo visivo mentre si pulisce la casa, ma il cinema e’ altrove.
Luca Baroncini
Recensione n.2
Saltano, picchiano, sparano, volano, ballano, seducono, scherzano, si travestono, ma soprattutto ridono. Charlie’s Angels, ovvero il cinema che non pensa.
Può sembrare una critica, per giunta cattiva, mentre invece è lo spot che salva il film.
Charlie’s Angels 2 si presenta con la tipica scena da film d’avventura: nella tana del lupo, fra migliaia di possenti maschioni stupidi e ubriachi, strizzando inconsapevolmente l’occhio all’incipit di Gangs of New York; ci porta poi a spasso tra improbabili gare di motocross (o sarebbe meglio dire moto-volanti) e petroliere nel mezzo dell’oceano, e ci delizia con salti mortali tripli, quadrupli, quintupli. Loro, i tre Angeli, nel frattempo ridono.
Gli slow motion si accavallano uno sopra l’altro, alternandosi ad accelerazioni e stacchi, in una sincope ritmica sempre più accentuata; rombano motori, sibilano proiettili, volano calci e pugni.
Tra le mille citazioni, Matrix è sempre lì, all’orizzonte, mentre i suoi insegnamenti vengono dilatati all’infinito per mantenere alta l’attenzione. Tra un pericolo e l’altro, però, loro continuano a ridere.
E poco importa se lo fanno tra dialoghi sconsolanti, se alcuni personaggi sono del tutto inutili (vedi i rispettivi fidanzati), se certi temi sono abbozzati con una superficialità scandalosa (vedi il timore che Cameron Diaz si sposi e abbandoni le due amiche): ciò che più conta è che siano sempre in movimento, facciano cose sempre più improbabili e soprattutto che ridano.
Si va a guardare questi tre Angeli per lo stesso motivo che ci spinge ad andare al circo: prenderci una boccata d’aria al di fuori dalla nostra giornata.
Potremmo definirla la formula Vanzina: creare un lavoro schietto, che prometta apertamente solo svago e non si travesta, nel caso specifico, da filmone d’azione con la presunzione d’insegnarci qualcosa (il pensiero corre al recente 28 giorni dopo di Boyle).
Anche gli americani hanno capito che funziona.
In questo senso è emblematico lo sguardo di Drew Barrymore, tra l’altro produttrice del film, che brilla di sarcasmo su tutto ciò che vede passarle d’avanti, come a dire: “Si fa per scherzo!”.
Via allora qualsiasi significato: si allestisce un mondo spumeggiante di colori caldi e allegri, gag demenziali e tanto, tanto ritmo.
Quando parte la proiezione, tutti i pensieri rimangono fuori in sala d’attesa. Salgono in cattedra gli effetti speciali e l’entusiasmo dei tre Angeli. Che continuano a ridere.
L’importante, e questo lo sanno i produttori del film, è vedere qualcuno che lo fa.
Il cinema, per chi non lo sapesse, è anche questo.
Francesco Rivelli