C’è tutto quello che ci deve essere. Una finestra aperta con tende arancioni svolazzanti che dà su un tronco abbrustolito di una grossa palma, la brezza calda californiana, un tavolo su cui poggia una macchina da scrivere, un letto disordinato e uno scrittore. Manca solo l’ispirazione. La voglia di riuscire a Los Angeles (pur nel periodo della Grande Depressione), essere partito con qualche soldo in tasca nella speranza di guadagnarne altri prima di finire i pochi che si hanno. Questo cerca lo scrittore, questo cerca Arturo Bandini (Colin Farrell). L’ultimo nichelino, che deve essere ben utilizzato, viene speso in un café all’angolo della strada. Un paio di huarachas (sandali), smalto rosso, camicetta bianca, e rosa rossa tra i capelli neri, il caffè viene servito da un’avvenente cameriera messicana, Camilla Lopez (Salma Hayek).

Eccola, la sua ispirazione. Peccato che fin dal primo loro incontro sono state più le offese, le ripicche e le arrabbiature piuttosto che i complimenti e le tenerezze, perché lui, Arturo Bandini non ci sa fare con le donne, perché non ha vissuto esperienze, perché è sempre stato dietro a una macchina da scrivere. Ma c’è qualcos’altro. Lui attirerà quasi il suo odio per il modo in cui la tratta. Sono offese che non vengono dal cuore, ma dal rancore di un’infanzia passata a subire brutti insulti: tratta la povera ragazza immigrata allo stesso modo in cui veniva trattato lui da ragazzo, ovvero come uno “sporco italiano”. Grazie al suo amore e soprattutto alla franchezza e gioia di vivere della ragazza, la consapevolezza dell’antico rancore e della rabbia interiore viene a galla piano piano in una sorta di processo catartico, che alla fine lo libererà definitivamente. E questa liberazione cammina di pari passo con l’ispirazione ritrovata, anzi è grazie alla frequentazione con la ragazza e al continuo incontro-scontro, che il giovane comincia a riempire d’inchiostro i fogli rimasti bianchi per troppo tempo. E troverà finalmente la sua storia, che è la storia della città in cui vive, degli incontri: il romanzo è la sua vita e i personaggi la gente del suo quartiere.
Tratto dal romanzo di John Fante, “Ask the dust” (“Chiedi alla polvere”), intende, oltre alla polvere di Los Angeles, la polvere in senso biblico: polvere siamo e polvere ritorneremo.
E’ la morte infatti il tema dominante nel film, e alla luce del triste detto, il messaggio è: inutile inseguire con ostinazione le cose terrene, esse sono vane, tutto passa.
Una donna pazza e nevrotica, Vera, sfregiata da violenze, piomba nell’appartamento del giovane rapita dalla nobiltà del suo animo di scrittore e convinta per questo che almeno da lui verrà accettata e amata; rimarrà vittima di una scossa di terremoto. Erano diventati amici, si confidavano. Il giovane le darà vita eterna nel suo romanzo. Chiedi alla polvere, chiedi a Vera come è difficile affrontare l’amore, com’è difficile vivere senza dover inseguire per forza il successo, com’è difficile trovare la felicità. “Los Angeles è una città così bella, la gente pensa solo a scavare invece che viverla. Se Dio ci rimandasse tutti all’inferno, ritornerebbe a essere pura e perfetta”, questo dice il giovane a Vera. E aggiunge, “come lei”, ovvero Camilla, la ragazza messicana di cui è innamorato, perché in lei vede la purezza della donna; per questo preferisce i sandali messicani alle scarpe col tacco e la aggredisce quando la vede truccata e vestita da americana: non tollera l’esaltazione di valori effimeri come l’estetica e la moda. Tutto questo richiama (sempre biblicamente) l’importanza dei valori semplici dell’amore e dello stare bene. Tutto ciò che conta è la felicità. Che i due innamorati trovano seppur per poco tempo nel periodo in cui vivono nella casa al mare. Chiedi alla polvere, chiedi a Camilla, che muore, portata via dalla tubercolosi. Chiedi a lei, se non credi che la felicità possa essere trovata: inseguita, se solo lo si vuole davvero.
Marta Fresolone