Recensione n.1
Una favola che non incanta
ChocolatCi sono tutti gli elementi della favola: incantesimi, sortilegi e pozioni magiche che liberano passioni e buoni sentimenti.
Un paese francese immobile e succube della propria “tranquillite” viene scosso dall’arrivo di due donne, Juliette Binoche e figlioletta, che vi aprono una ‘cioccolateria’. Ed ecco che scoppia la guerra tra buoni e cattivi combattuta a colpi di miracolose golosità da un fronte e di bigotte malignità dall’altro. Un magico miscuglio di cacao e peperoncino non guarisce però la protagonista dalla maledizione ereditata dalla madre e simbolizzata da uno strano e misterioso contenitore. Al soffio del vento del Nord si scatena nuovamente l’istinto nomade e l’irrefrenabile impulso alla fuga. Emblematica anche la casa viaggiante dello zingaro Johnny Depp, il quale tuttavia ammette “è solo un mezzo che uso per spostarmi da un posto all’altro… e scappare da quello che gli altri si aspettano da me”. La paura di essere amati si rivela allora il male più subdolo e difficile da debellare, poiché insediato nella profondità delle loro stesse anime.
Ma il sentimento, come in tutte le favole che si rispettino, è più forte: lo zingaro ritorna dall’innamorata, mentre le due donne si affrancano per sempre dal sortilegio innescato dai venti.
Il tempo pare sospeso in questo paese raccolto, ritratto da prospettive aeree che gli donano un’atmosfera surreale, tipicamente fiabesca. Ma la pellicola di Lasse Hallstrom soffre di ritmi eccessivamente rilassati e dilatati, che talvolta sconfinano nella noia.
Nonostante il fascino e la qualità degli interpreti, il film non emoziona.
Dal romanzo omonimo di Joanne Harris.
Cinzia Bovio
Recensione n.2
Ci sono tutti gli elementi della favola nel nuovo film di Lasse Hallstrom: il “c’era una volta” con cui la storia incomincia, l’eroina dal passato misterioso sola contro tutti, l’orco cattivo che poi tanto cattivo non e’, il bene e il male facilmente riconoscibili e addirittura l’amore a suggellare il tutto. Pensare con razionalità a tutto ciò pone più di un dubbio sulla sua efficacia, ma il film si dimostra in questo senso molto più coraggioso di tante sperimentazioni avanguardistiche o esplicite e pruriginose provocazioni. Nella prima parte, infatti, riesce nel difficile intento di trasportare altrove, in Francia nel 1959 (ma potrebbe essere “nonsisadove” e “nonsisaquando”), in un piccolo paese dove l’arrivo di Juliette Binoche scuote la comunità dal torpore di una grigia “tranquillite'”. Di grande fascino visivo, ma anche narrativo, la costruzione del negozio, la minuziosa preparazione delle delizie al cioccolato e i primi momenti di complicità con i morigerati e timorosi abitanti del paese.
Il potere taumaturgico del cioccolato in tutte le sue varianti regala vitalità ed energia trasmettendo speranze ed illusioni anche negli spettatori, e la grazia della messa in scena (tipica di Lasse Hallstrom), permette di creare una sorta di sospensione di incredulità che riconduce alle origini della magia del cinema. Buona parte del merito di questa alchimia va agli interpreti, davvero efficaci, a partire da Juliette Binoche, perfetta nel tratteggiare una positività non gratuita dove ogni cosa ha il giusto peso, fino ad arrivare alla veterana Judy Dench, capace in poche sequenze di dare anima al suo personaggio. La seconda parte del film, però, non mantiene le premesse e l’entrata in scena di Johnny Depp in versione rock-star gitana risulta troppo sfacciatamente “piaciona” anche per una favola. Se uniamo a questo l’eccessiva semplificazione della tolleranza nei confronti delle minoranze e il prevedibile evolversi degli eventi, il film arriva prima della sua conclusione a riportarci alla realtà, lasciando l’altrove in cui ci aveva condotti come un miraggio lontano. Resta il piacere di riscoprire la favola raccontata al cinema, ma anche il retrogusto di un cioccolato troppo dolce per non risultare stucchevole.
Luca Baroncini de “Gli Spietati”